domenica 7 novembre 2010

La Puna a Yavi

L'ingresso a Yavi


Le nuvole appaiono più vicine. La luna appare più vicina. L’aria è di cristallo e solitudine. Sono spariti gli alberi, poche piante resistono ai venti, al freddo e alla aridità della Puna. Altopiani fra i tremila e quattromila metri. Ana, autista delle Ande, e il suo scassato pulmino ci portano fino a Yavi, l’ultimo paese dell’Argentina. Terra celebre: resistenza indigena contro gli Spagnoli, marchesato importante nelle gerarchie coloniali, regione di ottocenteschi conflitti tragici per la terra. Da qui, nel 1946, partì una marcia di 174 indigeni fino a Buenos Aires per rivendicare diritti sulle terre comunitarie. Ha aspettato per decenni la gente di Yavi prima di ottenere il riconoscimento alla proprietà delle loro terre.

Ombra nella notte
Il treno fra l’Argentina e la Bolivia, agli inizi del ‘900, ha segnato la condanna di Yavi. Fino ad allora era crocicchio strategico dei cammini fra il Perù., la Bolivia e l’Argentina. Le case di Yavi sono i fango e terra battuta, sono sdraiate su questo deserto di alta quota per non fornire appigli al vento. Nessuno è per strada. E’ estraniante, Yavi. Qualche ombra avvolta in uno scialle appare e scompare. Il vento muove mulinelli di polvere. Una macchina malridotta. Cani trotterellano vicino ai muri. Le porte sembrano chiuse: il mondo è là dietro. Basta avvicinarsi, poggiare la mano sulla maniglia e scoprire che nessuno chiude le porte. Ma bisognerebbe essere nati a queste altezze per poterlo fare. Saper interpretare i silenzi assoluti. Solo gli ubriachi, seduti ai tavolini delle botteghe, parlano e sbandano. Due ragazzi rasta hanno aperto un hostal. Cucinano piatti prelibati, giocano a scacchi e dadi e mettono musica rock di altri tempi e dolcissimi tango. Mi appaiono come due marziani. Marisol, giovane donna, ci accompagna per la Puna, in cerca di pitture rupestri. Dona Costantina ci mostra una libreria popolare eccezionale. La chiesa ha altari barocchi e finestre protette da lastre di onice.
La Puna di Yavi

Guardo le ombre addossate ai muri. Nessun bambino ci corre dietro. Marisol mi dice che ci sono state lunghissime riunioni per decidere che atteggiamento avere verso il turismo arrivato a questa altezza sette anni fa. Le apertura sono incerte, caute, diffidenti. Eppure tutti intuiscono che è l’unica economia in movimento di queste solitudini. Sono ragazzi delle città più lontane ad aprire strani locali alternativi.
Le ombre continuano a passeggiare addossati ai muri di fango. Non c’è un solo rumore attorno. Terra del silenzio.

Yavi, 25 ottobre

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