sabato 29 settembre 2012

Varcare una frontiera





Bisogna ricordare Irena Tarlowska. Non sono stato capace di trovare una sua foto. La immagino come una bella donna. Dallo sguardo curioso e intelligente. Fu lei a cambiare il destino di Ryszard Kapuścińki, il più celebre scrittore-giornalista del ‘900. Fu lei, nel 1956, a decidere di inviare quel ragazzo che vagava per le stanze dello Sztandar Mlodych, ‘La Bandiera dei Giovani’, in India. Ryszard fu stordito dalla notizia. Le frontiere della Polonia comunista, allora, erano chiuse come camere stagne. Quasi nessuno poteva uscirne. Ma quel giovane giornalista voleva varcare una frontiera a tutti costi. Voleva compiere solo quel movimento: attraversare un confine. Non era possibile in quel mondo rinchiuso in se stesso. Chi comandava si illudeva di poter imprigionare perfino l’immaginazione e l’irrequietudine. Si sbagliavano.

Kapu (da eastjournal.net)


Irena era davvero una grande donna. Donò a Ryszard le chiavi per varcare la frontiera. Si accorse subito dello sconcerto del ragazzo. Della sua paura. E allora aprì un armadio, andò a colpo sicuro e ne estrasse un libro ‘rilegato in tela gialla’. Erano le Storie di Erodoto. Erano state pubblicate in Polonia solo due anni dopo la morte di Stalin. Prima non sarebbe stato possibile.

Fu Erodoto a guidare i primi passi di uno scrittore destinato a diventare leggenda. Fu Erodoto a fornirgli ‘i ferri del mestiere’. Fu Erodoto a spiegargli che raccontare (e viaggiare) aiuta non dimenticare le ‘imprese…né le gesta grandi e meravigliose così dei Greci come dei Barbari’. Per anni e anni, Erodoto sussurrò nelle orecchie di quel giornalista inesperto che la memoria è storia importante. Erodoto fu la miglior guida che Ryszard potesse avere. Il vecchio viaggiatore greco viaggiava perché voleva vedere con i suoi occhi, voleva prendere parte. Ryszard ne è consapevole: ‘Voglio diventare parte del mondo che descrivo…ho bisogno di illudermi, sia pure fuggevolmente, che il mondo dove mi trovo in quel momento sia l’unico esistente’.



Questo proviamo a fare con questa nuova rivista. Oggi viaggiare è molto più facile che ai tempi di Erodoto e di Ryszard. Oppure: oggi viaggiare è molto più difficile che ai tempi di Erodoto e di Ryszard (io sono convinto di questo). Ma noi vogliamo vedere il mondo. Siamo testardi. Vogliamo raccontarlo. Con parole e immagini. Vogliamo esserci. Il web non ci basta (se solo potessimo questa rivista sarebbe di carta e ci faremmo aeroplanini per farla volare). Per ora ci basta che questa rivista sia fatta da uomini e donne con occhi sensibili, con cuore che si emoziona, con testa che ragiona e che coltiva dubbi. Chi parte così sa già scrivere, fotografare, filmare. Potrà mandarci le sue storie, se ne ha voglia. Vorremmo che chi viaggia sia fratello e sorella di coloro che incontra per strada. Vogliamo essere capaci di empatia. Ne abbiamo bisogno. Per questo fare questa rivista di viaggi è una necessità alla quale non vogliamo rinunciare. Ci proveremo.

Foto di Chiara Bridi


Molti anni fa, incontrai Ryszard. Alla fine di un lungo parlare e ascoltare, mi disse: ‘Il nostro dovere è essere insoddisfatti, cambiare sempre punto di vista, ma avere rispetto per il mondo. Bisogna camminare, riscoprire la lentezza. Avere dubbi e timori. Ma continuare a viaggiare’.

Noi vi chiediamo di viaggiare, di varcare frontiere e di leggere questa rivista.

Foto Chiara Bridi


Vi dobbiamo una spiegazione. Sono tentato di dire che abbiamo aggiunto 108 al nome di Erodoto perché così ce lo chiedessero in tanti. E noi non avremmo risposto, ci saremmo limitati a un sorriso. No, chi ha creato questa rivista è più matto di quel che sembra. E sa di aritmetica e sacralità orientali. Un anno fa quattro persone si ritrovarono in via 27 aprile a Firenze per creare questa rivista. 27 per quattro fa 108. Tutto qui.
No, non è tutto qui. I grani del rosario indiano, il Mala, sono 108. Le divinità induiste sono 108. Krishna, nella città di Vrindavana, si è ritrovato a ballare con 108 pastorelle. Le stelle sacre dell’astrologia cinese sono 108. In Giappone il nuovo anno è salutato con 108 rintocchi di campana.
Questa rivista vivrà, una prima volta, almeno 108 anni. 


venerdì 21 settembre 2012

Castelmezzano.3/La pioggia e il Santo

Castelmezzano


Castelmezzano
Il cielo non ha voluto fare un altro regalo a Castelmezzano. Oggi le Dolomiti hanno nuvole e pioggia. Comincia il vento degli autunni. C’è una bellezza profonda nel paese. Oggi, spiegano i manifesti, è tempo religioso. La festa laica è finita. Oggi, 13 settembre, a due mesi esatti dalla vera ricorrenza, è giorno di Sant’Antonio. Il Santo dovrà viaggiare per il paese. Non sarà solo: il corteo salmodiante della piccola folla di Castelmezzano accompagnerà anche San Vito e l’amatissimo San Rocco con il suo cappello messicano.

Parte la banda

La banda fra i vicoli

Il passaggio della banda

Il passaggio della banda


I ragazzi si sono vestiti a festa. Via le magliette stracciate e arrossate dal vino. Via i pantaloni da rissa. Indossano scarpe lucide, jeans freschi di bucato e camice azzurrine. Hanno fatto shampoo e i capelli sono lindi. Le ragazze vogliono fare colpo. Tubini neri, scarpe luccicanti con tacco eccessivo, gonne attillate, camicette con i pizzo. Capelli al vento. E sorriso sfrontato. Un altro paese. Almeno nelle ore del sacro.

La questua

La questua

La foto alla banda

La questua

La questua


Arriva la banda da Calitri. Agghindata a matrimonio. I ragazzi del Comitato vanno per i vicoli del paese con vassoi del Campari in mano. Giro di questua. Colletta per la festa. Musica come avviso. Sulle porte della case i vecchi, le donne, qualche bambino. Prendono l’immagine del Santo, la ‘figurina’, lasciano un foglio da dieci euro nel vassoio, portano il santino alle labbra, guardano la banda sfilare. I vicoli sono stretti, si passa in due al massimo, si salgono scale, si scende, ci si biforca, si rallenta, si prende fiato. Suonare un trombone in salita è soffio difficile dai polmoni. I musicisti se la ridono. Paesani offrono taralli e bibite ai ragazzi. Il cielo minaccia pioggia.

La processione lascia la chiesa

San Rocco fra i vicoli

Il trombone e la partitura
San Vito e le scale

Le ragazze e la croce

La processione e la pioggia

San Vito davanti al Comune


A mezzogiorno, passata la messa, i tre Santi affrontano il maltempo. ‘Siamo usciti, niente ci può fermare’, dice don Alessandro, più forte del temporale. Questa volta il cielo ascolta e dà tregua. La processione scende e sale, si inerpica, le vecchie fanno fatica, ma non perdono il passo, si aggrappano al braccio della figlia o della nuora. Dalle case esce il profumo da acquolina in bocca dei peperoni friggitelli. Viene voglia di fermarsi a ogni porta e farsi invitare. La processione si ingolfa nelle stradelle più strette, affronta i vicoli a gradoni, punta sulla parte alta del paese, ridiscende verso la strada principale intasata di bancarelle. I Santi devono affacciarsi all’anfiteatro della valle. 

L'arrivo dei Santi sul corso

San Vito

Gli uomini della processione

Il Santo aspetta i fuochi

La gente della processione
Il ritorno in chiesa della processione

Tre tavoli-altare aspettano i tre Santi. Che si godano anche loro i fuochi di artificio esplosi di giorno. Sincretismi della modernità: i bancarellai sono, per lo più, senegalesi mouride e arabi, gente musulmana che sale al paese per la festa dei cristiani. Bella storia. Loro vendono pesci rossi, chincaglieria, ombrelli (saltati fuori alla prima nuvola grigia), tessuti, artigiano finto-africano. I Santi esibiscono gli ori delle grazie donate. Osservo un orologio importante appeso al velluto di Sant’Antonio. Finiscono i fuochi, i Santi tornano alla chiesa, la banda suona con alle spalle la bellezza delle Dolomiti. La gente corre alle case. C’è la pasta al forno già sul tavolo. La tempesta d’acqua può scoppiare in santa pace. Troviamo rifugio in un bar dove Luigi, sedici anni, è indaffarato con il suo nuovo Iphone.

Il circolo

Tifano Juve e il Santo

L'elenco dei doni all'asta

I beni dell'asta

Si prepara l'asta

L'attesa dell'asta

L'attesa dell'asta

‘Non perdetevi l’asta. E’ divertente’, consiglia don Alessandro. E ha ragione. Un tempo, pochi anni fa, alla Cima dell’albero si appendevano targhette con su indicato i premi. Si staccavano i fucili da sopra il caminetto e si andava a sparare. Qualcuno si azzardava anche a salire fino in cima. Oggi manca l’abilità degli scalatori (ma Mimmo ci prova, è un furetto, arriva a metà, rinuncia) e un questore, anni fa, appena arrivato, decise che era l’ora di finirla con gli spari in paese.

Un bicchiere di vino all'asta

L'asta

L'elenco dei doni all'asta

Una bottiglia all'asta

Peperoni all'asta

Il controllo dell'asta

Durante l'asta

Durante l'asta

Allora, a Castelmezzano, ci si è inventati l’asta. I paesani portano doni: conigli, foulard, polli, piante, bottiglie di vino, casse di birra, formaggi, scarpe da donna, cavatappi, capre, tacchini, maialini, marmellate, lampade, rasoi elettrici, perfino un forno a microonde da macchina, palloni da calcio, olio, cinque quintali di cemento e tre gomme da auto. Un caravanserraglio di regali. Luciano batte il prezzo d’asta. Alla fine c’è tutto il paese sotto l’albero. Incuranti della pioggia che va e viene. Ci si diverte davvero. A battersi per formaggi o un bicchiere di vino. Chi vince la cassa di birra, ne distribuisce bottiglie ai paesani. Il formaggio viene subito tagliato e offerto. Ha orgoglio chi si porta a casa un grosso, grasso tacchino bianco. Un bambina in carrozzina gioisce dei due pelouche 'vinti' dalla mamma. Viene messa in asta anche un bicchiere di vino. Raggiunge la quotazione di otto euro. Va avanti fino a buio l’asta. Quattro ore. C’è da fare invidia a Sotheby’s.

La banda e il paese

La banda e il paese


C’è anche la lotteria. I tempi sono cambiati. Un  Ipad (primo premio) vale più di un vitello (terzo premio). Si può vincere anche una manciata di gratta e vinci.

La solitudine dell'albero

La notte dell'albero


Riprende la pioggia. Sono arrivati (controvoglia) i musicisti da Napoli. Hanno camicie e pantaloni neri. E volti spigolosi. Teloni proteggono gli strumenti. La gente cammina fra le bancarelle. Ci saranno i fuochi a mezzanotte. Un bambino gira da solo sulla giostra. I ragazzi si sfidano tirando pugni a un pallone da boxe. Rocco, amico di Pietrapertosa, ci offre un kebab al camion-panini. Cibo turco. Conosco la ragazza dei panini: è una toscana venuta a vivere qua, migrazione a rovescio. Segni dei tempi cambiati. Modernità di montagna lucana della festa. 
Castelmezzano, 13 settembre

mercoledì 19 settembre 2012

Castelmezzano.2/Il corteo degli alberi


Castelmezzano e le sue Dolomiti

Il Maggio di settembre, il Maggio di Castelmezzano, è festa dei ragazzi. Almeno all’alba. Hanno l’aria stremata e spavalda di chi ha passato la notte insonne nel bosco. La festa è un’idea di libertà. Vino e fuoco. E risate che si perdono nel buio. Notte maschile. All’alba, all’acqua della Virgilia, non c’è nemmeno una ragazza. Fabio arriva con l’irruenza di un trattore. Vi ha montato sopra le casse di un amplificatore, fiori e una damigiana di vino. Ha le guance arrossate e gli occhi eccitati. Luciano fa parte del Comitato (c’è sempre un comitato nei paesi delle Dolomite Lucane) cerca di sorvegliare i ragazzi. Di dare un ritmo a una banda barcollante.

Il taglio della Cima

La discesa della Cima

La Cima

'Benedizione' della Cima

Il trasporto della Cima

I Cimaioli


Si sale nel bosco. Pochi metri. Incertezza sulla pianta. Questi ragazzi sono i cimaioli. Bisogna tagliare l’agrifoglio, la Cima. Qui nessuno parla di un matrimonio degli alberi. Si taglia e si trasporta perché così è la festa. Chiedo perché proprio questo albero: ‘Perché è più raccolto’. Devono tradurmelo. Lo hanno detto in dialetto e non riesco a trascrivere la parola. Età media attorno a me: diciotto anni. Forse meno. Felicità pura. Sono voraci, questi ragazzi. Hanno energia. Fabio ha portato la grappa. Si beve a garganella. E la gola brucia. Si aggancia la sposa al trattore di Fabio. Non deve perdere foglie, non deve strisciare lungo l’asfalto. Via, partenza, è tardi. L’albero maschio, il cerro aspetta al bivio di Collalto. C’è strada da fare. Sound-system delle montagne. Musica ad alto volume. Trattore suonante. Fabio sbanda, raddrizza il volante. L’agrifoglio viaggia.

L'arrivo dei buoi da Pietrapertosa

La musica per l'arrivo dei buoi


Strano appuntamento sotto l’albero sacro della Regina Pura di Collalto. Il Maggio aspetta da tre giorni. La Sposa sta arrivando con impazienza. Da Pietrapertosa, ecco i paricch’  dei buoi. Al mattino avevo visto Andrea, Mimmo, Mario e gli altri preparare i gioghi e le corde. Sono lì con i loro abiti da montagna. Sono teatranti del bosco, gli uomini di Pietrapertosa. Orgogliosi di mostrare la loro abilità e la bellezza delle proprie bestie. Sembrano sopite le rivalità da rissa fra Castelemezzano e Pietrapertosa. Giovanni, nell’attesa, mi racconta di piazza trasformate in pedane di pugilato. Vecchie storie di vino e di donne. Storie lontane. ‘Ora abbiamo sotterrato le asce di guerra’, mi dice.

Parte il corteo dei trattori

Il Maggio tirato dai trattori

Il corteo dei trattori

Il Maggio tirato dai trattori

Strano appuntamento. Gli uomini di Castelmezzano sono arrivati con i trattori. Buoi, alberi, macchine della campagna, uomini e ragazzi si mischiano. Appaiono le ragazze: distribuiscono caffè, anice, paste, vino.
Il corteo cerca di darsi una forma. Carabinieri in testa, poi la Cima, il trattore di Fabio e i ragazzi. Suona la fisarmonica, rulla un tamburello. Le ragazze saltellano. Poi la sfilata di undici trattori dalle ruote colossali. Ognuno ha un’immagine di Sant’Antonio sul parabrezza. Ognuno, per un breve tratto, tirerà l’albero. ‘Per devozione al santo’. Il corteo rallenta per le manovre necessarie a sganciare ed agganciare l’albero. Sei chilometri da Collalto alle case di paese. La giornata è smagliante. Le campagne brillano dell’umidità della notte. I campi sono scuri della terra rivoltata e imbruniti dalle stoppie. Il profilo delle Dolomiti Lucane vuol tagliare il cielo d’autunno. Viaggio festoso.

Il viaggio del Maggio

I ragazzi della Cima

I ragazzi della Cima
Il viaggio del Maggio

Il viaggio del Maggio

Il viaggio del Maggio

Poi Donata, nella sua casa (costruita pietra dopo pietra dal marito scalpellino), offre pizze, focacce e vino. E’ felice, Donata. Ha lavorato tutto il giorno per i pochi minuti della sosta del corteo della festa. Canta con i ragazzi che le regalano una serenata. Si unisce al coro.

Le pizze di Donata

Cantata per Donata


Ecco, le case di Santa Croce. Finalmente è tempo dei buoi. Per loro è stata una passeggiata. Scenografia di paese. L’albero deve entrare a Castelmezzano trainato dai buoi. Sono appena settecento metri, ma ne va dell’orgoglio della festa. Si intuiscono le fierezze di paese. I gualani di Pietrapertosa sfoggiano giubbotti, cappelli da cow-boy e le stelle di sceriffo con Sant’Antonio. Aggangiano con rapidità esperta i buoi al Maggio. Fanno battere i ferri dai ragazzi di Castelmezzano. Poi, via. A passo di carica.  La Cima è sulle spalle dei cimaioli. Via. Di corsa. Gridando, ballando, danzando. I ragazzi ci tengono da matti. Fanno impennare l’agrifoglio, lo ruotano, vogliono mostrare all’albero la bellezza del paese appoggiandolo sul balcone che si affaccia sulle Dolomiti. Quartiere di Santa Croce, rione nuovo del paese. Drappi rossi ai balconi. Peperoni alle ringhiere. La gente schierata sulla strada. Appare la banda con le sue musiche. Due belle ragazze fanno vibrare i clarini con sorrisi ingenui. Passano, come bersaglieri, i ragazzi della Cima. Baruffano con il carabiniere che vuole fermarli prima del paese vecchio. Niente da fare, la Cima deve ruotare nella piazza della chiesa.  Ci sono i pali delle luminarie, le bancarelle. Il paese è affollato. Arrivano i buoi. Anche i gualani di Castelmezzano vogliono entrare di corsa. I buoi sembrano puledri. Ci si apre un varco fra le bancarelle. Manovra difficile. L’albero deve ruotare, girare su sé stesso, deve essere pronto a essere innalzato. Il paese è un palcoscenico: tutti vogliono mostrare bravura e devozione. Fabio grida senza voce: ‘Viva Sant’Antonio’. Le donne arrivano con i cesti dei ‘uscuott, i taralli secchi: vengono infilati alle corna dei buoi.

L'attesa del corteo nuziale

I buoi agghindati

La Cima arriva al paese

Il Maggio arriva al paese

La banda

Ingresso in paese del Maggio

La Cima, di corsa

I biscotti nelle corna

Il Maggio fa dietro front. Retromarcia. Fino alla via Provinciale. Panorama di bellezza sulle case di Castelmezzano, aggrappate alla Dolomiti. I buoi vengono sganciati. Qui c’è la fossa che aspetta l’albero per l’innalzamento. Tempo del cibo. Generoso, come sempre. Gli uomini grigliano i muglitidd’, involtini di carne, le donne hanno preparato pollo con i peperoni, formaggi e pomodori dalla polpa dolcissima. Mimmo sparge sale, Andrea offre vino e compra delle nastecche per i suoi buoi in un’asta improvvisata. Salsiccia nella sugna. No, questa non è storia per vegetariani. Don Alessandro brinda con i maggiaioli. Festa e parole. Fuori, i ragazzi sfidano gli adulti in una morra vociante e adrenalinica.

L'offerta dei taralli

Il pranzo dei gualani

La morra

La morra

Ma poi è tempo di lavoro. Il Maggio di Castelmezzano si consuma nel giro delle ore di un giorno. I ragazzi ripuliscono il grande cerro. Tolgono cortecce e imperfezioni. Lo lisciano. Preparano l’innesto della Cima. Incidono solchi nel legno. Passano fili di ferro, rifilano la ceppa. Alla fine, appare l’autogru. Nuova tradizione meccanica. Viene da Potenza. Si fa pagare una somma irrisoria. Ha devozione anche il gruista, mi dicono. La fatica degli uomini qui si fa abilità, attenzione. Gioco di operai, di ganci, di catene, di movimenti meccanici. In cielo si incrociano l’albero e il braccio della gru. Ci vuole il divino.

Lavori all'innesto
I lavori all'innesto

L'innesto

Vino e Sant'Antonio

La gru e il Maggio

La gru e il Maggio

Dalla chiesa esce la processione. Sant’Antonio va incontro all’albero. Ora mi accorgo che sulla strada superiore alla via Provinciale hanno tolto un pezzo di ringhiera. Un ragazzo ripulisce con frenesia la piccola scarpata. Il Santo deve affacciarsi. Deve guardare l’albero, osservare gli sposi, ammirare il lavoro degli uomini. Maggio e Cima intrecciati uno all’altro. Deve dare il suo consenso, il Santo. E così fa. Arriva sulla strada principale, gli uomini poggiano la statua di Sant’Antonio su un tavolo, lui guarda in basso. La gru fa un ultimo sforzo. Il Maggio è innalzato di botto. Oscilla con un fremito di paura. Si ferma. E’ in piedi. Il matrimonio è avvenuto. La festa si è compiuta. Il Santo riprende il suo cammino. Per gli uomini, ancora una bottiglia di birra. Il senso di una giornata. I ragazzi sono stremati. Gli uomini hanno il passo pesante. Risalgono verso il paese.

Si alza il Maggio

Il Maggio scende nella sua fossa

Arrivo di Sant'Antonio

L'albero e il Santo

Castelemezzano, 12 settembre