giovedì 18 agosto 2011

Dominicana/Primo giorno di scuola


La maestra Robertina nella scuola vuota


Non ci saranno foto di bambini con uniforme linde il primo giorno di scuola. 17 agosto, il giorno dopo la festa nazionale (ricorda l’inizio della guerra di indipendenza. Quale indipendenza?), comincia il nuovo anno scolastico, con l'orgoglio pomposo di una voce tonante alla radio e le parole retoriche di ministri e politici. Ma i bambini non vanno a scuola. Né il primo giorno, né domani. Non ci andranno per settimane. ‘Por tradicion- mi spiega Ramon, arrabbiato direttore della scuola del bateye Cuchillo – La scuola comincia, ma nessuno se ne accorge. Verranno fra una settimana, forse due. Forse tra un mese’. 'Andranno a settembre', mi spiega Jorge, il nostro autista, con tranquillità popolare. 
Per capirsi: la scuola di Cuchilla è ai confini del piccolo bateye, le baracche o le case in muratura sono a un passo, la scuola ha 215 bambini iscritti ai cinque anni della primaria. E i bambini sono lì. Davanti a noi. Giocano nel fango della tempesta di ieri sera o hanno lavori da fare. Il direttore sta seduto all’ombra della tettoia della scuola. Scrive a mano biglietti in cui richiede alle famiglie documenti su documenti sui loro figli. E si arrabbia con los padres dei ragazzini. Due maestre (su quattro) arrivano a scuola: sanno che non avranno da lavorare. C’è la donna delle pulizie, la donna della mensa (che non dovrà cucinare) e il guardiano. Tutti lì. In aule deserte. Fanno compassione le venti piantine di palma, alte una spanna, messe ad abbellire la radura della scuola. La tradicion vuole che si vada a scuola con qualche settimana di ritardo.

Robertina parla con la ragazzine


Con Robertina, brava maestra, andiamo in giro per il bateye. A cercar bambini. Un gruppetto gioca fuori dai cancelli. C’è perfino il figlio del direttore. Che promette di andare a scuola al lunedì. Gli altri non si pongono nemmeno il problema. In una casa Isabella, undici anni, deve badare al pranzo delle quattro sorelle più giovani. Non sa dire dove è andata la madre. Il padre è in cerca di lavoro: è stato appena licenziato dal Consorzio zuccheriero. Le ragazzine stanno lì, attorno alla pentola, appoggiata su carboni: aspettano il piatto di riso. Tre metri quadrati di casa. Niente latrine. Robertina toglie dei carboni dal fuoco. Va risparmiato, la bambina ubbidisce, toglie metà del carbone e ci versa sopra acqua. Non ci sono soldi per comprar carbone.

Un morso alla canna da zucchero


Altri ragazzini si fanno beffe di noi quando domandiamo perché non sono a scuola. Confesso: mi sento un po’ stupido. Non ascoltatemi, ma ho la tentazione di pensare che abbiano ragione loro. Un ragazzetto dall’aria da bullo affila con un machete una canna da zucchero e se la sgranocchia sputacchiando le schegge. Altri ragazzi giocano a domino o a carte. Manuelito deve andare a fare hierba per l'asino. Altro che andare a scuola.

Una madre ci spiega che non ha fatto in tempo a fare le treccine alle figlie. Un’altra ci dice che non ha uniformi, né scarpe per mandare le figlie a scuola. Paradosso dell’uniforme: devi indossarla per andare a scuola (camicetta azzurrina, pantaloncini color crema), lo Stato te la dà gratuitamente (così assicura il direttore Ramon, chiedo a una madre e mi dice che tocca comprarsela: 'E costa cara').  In ogni caso, l'uniforme npon  è mai arrivata in tempo per l’inizio delle lezioni da che memoria di madre ricordi. Interviene Vision Mundial, ngo americana e protestante (obbligo di due ore di teologia alla settimana per i suoi cooperanti): ci pensiamo noi, assicurano. Ma nemmeno le uniformi di Vision Mundial arrivano in tempo. Senza uniforme, niente scuola. Quella dello scorso anno è stata devastata. E non si può andare a scuola a piedi scalzi. Quanto hanno delle scarpe al bateye Cuchilla?

Alla fine convinciamo la piccola Maria ad andare a scuola nel pomeriggio. Promessa di bambina. Il direttore ci dice che ne ha recuperati ben sette. Noi lo troviamo sulla stessa sedia in cui lo avevamo lasciato a metter timbri su pezzetti di carta scritti a mano.

Ad ottobre comincerà la raccolta del caffé sulle montagne vicine. Molte famiglie saliranno fino alle piantagioni. Due mesi di lavoro. Los padres si porteranno dietro i figli. Per lavorare. Passerà così il primo semestre di scuola. Ci sarà anche la raccolta dei pomodori nella piana oltre i confini dei canneti dello zucchero. Altro lavoro, semplice e faticoso, per i ragazzini dei bateyes. Ricordo che Diego, il primo giorno che sono venuto qui, mi avvertì: ‘A scuola no me pagan’.
Sull’isola, 17 agosto

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