venerdì 5 agosto 2011

Dominicana/La coda di Emily

La piazza di Neyba 


Il cielo si è fatto grigio come ‘le viscere di un pesce’. E’ cominciato a piovere e non ha più smesso. Da ieri notte a oggi pomeriggio. E’ la coda di Emily, tormenta tropicale. Il ciclone è passato, questa è la sua eredità. Le strade sono torrenti in piena, l’acqua salta con violenza, annega ogni sbalzo del terreno, i motorini affondano. Non hanno parafanghi e i ragazzi si proteggono dagli schizzi con foglie di neem, albero multiuso.
La pioggia sembra una festa. Sono tutti fuori a prendersi l’acqua. Il governo avverte di non lavarsi con l’acqua piovana e allora c’è gente che se ne esce con il sapone per tuffarsi nelle pozze. 

Doccia sotto la grondaia



Un ragazzo se la gode sotto una grondaia. I bambini, nudi, scalciano in ogni lago di pioggia e fango. Prendono a manate i salti dell’acqua. Ci si mette a sedere sotto l’acqua e si continua la conversazione. I più prudenti stanno al riparo della veranda, ma non si perdono la tempesta. I più solerti vanno a togliere erbacce dai buchi dei canali: che almeno l’acqua scorra e se ne vada da altre parti.
Nei bateyes i tetti cigolano e l’acqua gronda in casa. In molti non hanno riparo.
La tempesta oscura le nostre parole, non si riesce nemmeno a parlare dentro casa. Tetto di lamiera nella casa che ci ospita al bateye Otto.

Padre Pablo nella parrocchia di San Martin de los Porres, santo mulatto e bastardo



Padre Pablo ha messo una fila di mattoni grigi a proteggere l’ingresso del suo ufficio. Diga fragile di fronte alla potenza della tormenta. Ci prova: con qualche sacco tenta di arginare le falle. Temo che rimarrà sommerso. Dovrà alzare il crocifisso che è poggiato in una minuscolo stanzino di preghiera. Ci vogliono i santi. Soprattutto quelli che pesano ben più di cento chili, sudano con rivoli che scendono lungo le guance e parlano uno spagnolo che si confonde con il francese. Nero ebano, padre Pablo. Chissà quale è il suo vero nome, laggiù in Kasai? Questa volta i dominicani hanno ragione a chiamarlo congose: padre Pablo viene davvero dal Congo, è parroco al bateye 8 da tre anni. Altro che frontiera, sta al centro del mondo, padre Pablo. E cerca altri nomi alla teologia della liberazione. ‘Dobbiamo rinnovarla’. E offre un succo dolcissimo fino al caramello mentre sprofonda in una poltrona che vacilla sotto il suo peso. Dovremo avere tempo per padre Pablo. Sempre preti si trovano sulle frontiere. E anche un Cristo. Nero, africano, ferito. La croce è di canne intrecciate e legate assieme una all’altra. Cristo canero. Fra le gambe ha una mocha, il machete usato dagli haitiani per tagliare la canna: ‘E’ messo lì perché vogliamo deporre le nostre speranze ai piedi di Cristo’.

Vado a prendermi un po’ di pioggia. Intuisco l’ebbrezza dei ragazzi che si strizzano le magliette. Ma sono bianco. Quando la tempesta rallenta lascia sulla strada detriti, pietre, sabbie, scarpe, rifiuti, plastiche, ossa, poltiglie. I cani, piccoli e secchi, grufolano. I pompieri mandano in giro un camion, i poliziotti osservano senza un solo sorriso. Dicono che la pioggia durerà tre giorni.
Sull’isola, 4 agosto



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