giovedì 4 agosto 2011

Dominicana/Dove è finita Emily?

Emily ha deciso di prendere un’altra strada. ‘La loma, la montagna, devia gli uragani’, mi spiega Jorge. Che dice che il peggior ciclone che colpì questa regione risale all’anno in cui nacque. Cinquantasei anni fa. Ma, alle due, oggi aspettavamo Emily scrutando il nero del cielo, ma lui (lei?) aveva già deciso di andarsene verso Haiti. Sfiga su sfiga per l’altra metà dell’isola. Condanna della geografia e degli uomini. Ricordate: da una parte il Paradiso, dall’altra l’inferno.

Felix, Pirin e Pedro sotto l'albero di neem



Al mattino, con qualche cautela, siamo entrati nel primo batey. Siamo qui per questo. Per raccontare la vita dei villaggi, sorti quasi un secolo fa, per consentire poche ore di sonno ai braceros, ai braccianti della canna da zucchero. Fu un’idea degli americani: allora, quasi un secolo fa, erano i padroni di questa mezza isola e decisero di sistemare in baracche gli uomini delle piantagioni.
L’isola si fa arida attorno ai bateyes. E’ quasi savana, una piana dall’aria stremata in un mondo tropicale. Le piantagioni accerchiano i villaggi. I binari di una ferrovia zuccheriera dividono la piana. La terra è bianca, disseccata, le case malridotte. Vecchie baracche e di legno e case in muratura dall’aria spossata. Nessun orto, giardino, quasi nessuna pianta. Maiali che grufolano. Caldo. La gente, al solito, si immobilizza. Ti segue con lo sguardo seduta su sedie di plastica bianca. Questa è un’isola di plastica. Si beve birra in bicchieri di plastica, si mangia nei road-restaurant in contenitori di plastica.

Sediamo sotto un albero di neem. Si cerca l’ombra, spostiamo le sedie con il movimento di un sole bianco-sudario. Devono sapere che i neem non perde mai le foglie e che, all’altro capo del mondo, in India, è un albero considerato capace di tener lontano gli insetti. I neem crescono su qualsiasi terreno, sono gli alberi dei bateyes. Sediamo con Felix, con Pirin, con Pedro. I vecchi del batey Tre. Dominicani. Gente che, al loro tempo, era importante. Guardie, maggiordomi, responsabili della grua, la pesatura della canna e il loro trasporto fino allo zuccherificio.
I tre vecchi sono uno dei lati della storia. La guardia racconta del maltrato, gli anni del maltrato: ‘Raccogliere la canna era un lavoro forzato. Venivi preso a forza. Non potevi rifiutarti. E io facevo la guardia, dovevo obbedire agli ordini. Mi dicevo di andare a svegliare i braccianti, io andavo’. Il capo, il maggiordomo, dice della povertà: ‘Ma almeno mangiavamo quello che guadagnavamo. Oggi è miseria’. Pirin ammette che i tagliatori erano truffati ogni volta che pesavano quanto avevano tagliato. Venivano ingannati. Sempre tre, quattro tonnellate in meno. ‘Il sistema era ingiusto e duro, ma funzionava’, dicono i tre vecchi. I vecchi hanno nostalgia degli anni lontani. In tre hanno avuto 22 figli e 467 nipoti. Dicono che molti di loro hanno studiato. Hanno un seguro social Felix, Pirin e Pedro. Cento euro al mese. Niente più. ‘Ci hanno spremuto e poi dimenticato’.  Avevano un’alternativa? Pedro ha dei curiosi calzini a pallini neri. E’ l’unico con le scarpe chiuse.

Fraintendimenti. Credevano che fossimo venuti per sapere dei loro problemi. Speravano che qualcuno mettesse mano alle fogne del batey. Non è un posto orribile il batey, ma i tubi delle fogne sono un colabrodo. I vecchi occupano le case slabbrate degli antichi capi. Sono a tre passi dalla strada asfaltata. No, non siamo qui per rifare le fogne. Abbiamo solo bisogno di parole. E non diamo nulla in cambio.
Un famiglia di maiali passa al galoppo, il sole di mezzogiorno calcina la terra bianca. Alcuni ragazzi smontano un motorino per truccarlo. Altri provano giocano a baseball con un bastone e un tappo di gomma. La stagione della zafra, del raccolto della canna, è lontana. E’ finita due mesi fa. Ricomincerà a dicembre. Ora è tempo muerto.‘ I guai veri sono cominciati quando hanno privatizzato le piantagioni’, dicono i vecchi. Dodici anni fa. ‘Il lavoro è sparito. Sono arrivate le macchine. Un uomo al posto di cinquanta. Prima un trattorista aveva quattro aiutanti e tutti mangiavano. Ora non c’è più nemmeno il trattorista. I nuovi padroni, guatemaltechi, americani, francesi, hanno chiuso i dispensari. Peggio la compagnia si è presa anche i piccoli campi dove coltivavamo qualche banana e qualche palma da cocco’.
Sull’isola, tre agosto

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