Le donne della legna |
Le donne della legna
Un tempo avrei voluto scrivere attorno a loro. Non ho mai
avuto una sufficiente tenacia. Da venti anni le vedo scendere dal colle di
Entoto, montagna di Addis Abeba. Questo è un paesaggio di altura: la capitale
dell’Etiopia è a oltre duemila metri di quota. A Entoto si sale a tremila e
cento metri. Non ho mai visto salire queste donne: sono già in piedi prima
dell’alba quando il freddo di queste montagne africane è intenso. Si inerpicano fra i boschi di
eucalipti, vanno in cerca di legna, rami spezzati, lunghi tronchi che qualche
pioggia o il vento hanno abbattuto. Mi dicono che possono raccogliere solo la
legna già caduta. Non so se questa imposizione venga rispettata. Sono donne
piccole, minute, dall’aria fragile, dal volto che è fatica, dal corpo che è
fatica. Mi raccontano che, in gran maggioranza, sono dorze, popolazione del Sud. Sono venute nella capitale in cerca di
una impossibile fortuna. Vendono legna ai ristoranti e a chi ha un camino o un braciere a casa.
L’eucalipto è una pessima legna da ardere. Brucia senza braci, fa fumo, si
sfarina più che consumarsi. Ma questi sono gli alberi di Addis Abeba. La
capitale dell’Etiopia esiste perché a fine ‘800 Menelik II decise di piantare
eucalipti.
Le donne raccolgono carichi immensi. Li mettono in
equilibrio sulle spalle con cinghie che stringono il petto. Quando scendono
sembrano grandi uccelli che non riescono a prendere il volo, Camminano, a passi
brevi, in maniera goffa. In discesa non riescono a rallentare, vengono spinte
dal peso che hanno sulle spalle. Ogni tanto si accasciano su un parapetto o su
una pietra, non si slacciano la fascina di legna, sentono il sudore colare per
il viso. Cercano di riprendere fiato. Moltissime sono ragazzine appena
adolescenti. Indossano gonne oramai prive di colore e la testa è protetta da un
fazzoletto sporco. Una fascina viene venduta a 25, 50 birr. Un euro, a volte
due. Per una giornata di lavoro.
I turisti salgono verso il pianoro di Entoto. Guardano con
qualche stupore le donne della legna. Alcuni si fermano. Non si avvicinano, ma
tirano fuori i teleobiettivi. Le donne allora accelerano la loro corsa, liberano
una mano dalle cinghie e chiedono: money.
La fotografia è un business molto più redditizio della legna da ardere. Ci sono
troppe donne per i pochi fotografi. Solo le più coraggiose riescono ad
afferrare un biglietto da dieci birr. Cinquanta centesimi di euro. Spesso, il
turista è così rapido che riesce a chiudersi nel suo fuoristrada senza metter
mani ai birr che ha in tasca.
Le donne della legna |
Le donne delle legna |
Le donne della legna |
Mestieri di Addis
Le donne delle legna sono dorze, i lustrascarpe sono wolayta,
altra gente del Sud, la popolazione dell’attuale primo ministro del paese. I
ragazzini che vendono i biglietti delle lotterie sono amhara della regione del Goggiam.
Business
Un tempo una piccola società, gestita da italiani, voleva
aprire una pizzeria dentro il circolo Juventus. Mi dicono che la storia non è
andata a buon fine. La società si chiamava ‘Ama
il prossimo tuo business ltd.’
Nella chiesa di Beta Raguel |
Soldi
Il ferroviere della gare
di Addis Abeba mi dice che guadagna 500 birr al mese. Poco più di venti
euro al mese. Il mio autista ne guadagna duemila. Un salario medio ruota
attorno a mille, mille cinquecento birr al mese. Meno di settanta euro al mese.
Il ferroviere mi dice che vive con tranquillità. Un maestro scuote la testa:
non ce la faccio. Un cameriere arriva a mille birr al mese, ma conta sulle
mance. Un operaio guadagna 450 birr al mese. Il teff, cereale d’Etiopia, alimento base, oramai costa 15 birr al
chilo. Se ne possono ricavare quattro, cinque ‘njera, focacce spugnose. Non sono sufficienti per il pranzo di una
piccola famiglia.
Vi avverto: io chiedo in giro, ma non ho fatto alcuna
verifica.
Foto ricordo a Entoto |
A San Giorgio |
Globalizzazioni
Cercano di spiegarmi (io raccolgo solo chiacchiere di
strada, non verifico, di questo vi ho già informato, non lo faccio per pigrizia,
forse per non-capacità e perché, con qualche ipocrisia, dico che voglio che
queste pagine nascano nei bar o nelle parole casuali) l’industria
automobilistica etiopica. Le auto si chiamano Tacazzè, Abbay, Bishofu, Lifan,
Shebele. Geografie dell’Etiopia. Mi dipingono complessi mosaici globalizzati.
Non so se siano veri. Motori coreani, pezzi indiani, proprietari olandesi.
Oppure: tutto costruito in Cina e assemblato qua. Il taxista, a bordo delle sua
Fiat mille e cinquecento che perde i pezzi, scuote la testa quando vede passare
una di queste auto.
La donna di Raguel |
La foto di Beta
Raguel
E’ bella la chiesa di Raguel a Entoto. Una ragazza, giovane
e minuta, avvolta in uno shamma candido,
sta scrivendo qualcosa su un blocco per appunti. La prego di spostarsi, di stare
sullo spigolo di un ingresso. Di mettersi quasi in posa. E’ appoggiata alla
pietra di una antica cappella rupestre. Mi piacerebbe farle avere la foto. Come
indirizzo mi dà il numero di telefono. Rimango interdetto come un occidentale.
Viene dalle campagne, la ragazza. Lei capisce, mi prende la penna e scrive……yahoo.com
Addis Abeba, 18 novembre
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