La foresta di Managhesha |
La foresta di
Managhesha
Domenica a Managhesha, bella foresta di antichi ginepri a
trenta chilometri da Addis Abeba. Un’ora di salita a piedi per raggiungere il
monastero di Medhane Alem. Il fiato manca ai tremila metri dell’altopiano.
Un uomo mi vede camminare con fatica. Si avvicina e mi
allunga una manciata di kolò, orzo
tostato. Arrivano un altro gruppetto di uomini e donne. Stanno scendendo. Vogliono una foto. Una donna rimane indietro. Da sola. Vuole una foto per lei.
Un mendicante solitario è a mezza strada. Non passano molti pellegrini di qua. Ma lui sta lì. Ha messo alcune monetine sopra un fazzoletto lurido. Lasciamo tre birr. Il vecchio non crede ai suoi
occhi. Meno di cinque centesimi.
La piccola chiesa di Medhane Alem venne fatta costruire da
Hailé Selassiè (cosa non è stato costruito dall’ultimo Negus?) mezzo secolo fa.
Oggi stanno costruendo un’altra chiesa che racchiuderà la vecchia costruzione.
Una chiesa-matrioska. Anche i preti hanno frenesia di costruzioni.
La chiesa ortodossa è uno dei poteri di questo paese.
Ghebre Sadik |
Il servitore di Sadik
Credevo che fosse un monaco. Era avvolto in uno shamma che aveva perso il suo colore
giallo. No, Ghebre Sadik, il servitore di Sadik (nome stranissimo, ammesso che
abbia ben capito. Nome musulmano per un ragazzo che vive in un monastero
cristiano?), è solo un guardiano, un uomo di fatica. Ci accompagna alla grotta
sotterranea degli eremiti del monte Managesha. Ha una cassetta di legno a tracolla. Deve raccogliere offerte. Accende candele di sego e si infila nel sotterraneo. Racconta:
‘Vengo dal Goggiam. Mi sono messo in cammino senza una ragione. Non avevo una
famiglia, nessun legame. Sono arrivato qui quattro anni fa’. Questo monastero è
solitario. Nascosto da una fitta foresta di ginepri. ‘Nessuno ha detto niente.
Avevano bisogno di qualcuno per alcuni lavori. Faccio il guardiano. Vorrei
diventare prete, ma non so dove studiare. Dovrei tornare al mio paese’. Non
dice altro, Ghebre Sadik. Mi rimane in testa quella frase: ‘Mi sono messo in
cammino senza una ragione’….
La donna che ha chiesto di essere fotografata |
I ragazzi del mehabir di fronte alla nuova chiesa di Medhane Alem |
Mehabir
Di fronte al monastero, all’ombra dei ginepri, un gruppo di
ragazzi e ragazze, vestiti con gli shamma
candidi, cantano con dolcezza. Poi parlano fra di loro divisi in piccoli
gruppi. E’ un mehabir, mi spiegano.
Una classe di amici, un gruppo di
persone unite dal lavoro o dall’età. Organizzano piccoli viaggi. Verso luoghi
sacri. Rinforzano legami. Pregano assieme.
Un 95.... |
Uno scambio di '95' |
Il gruzzolo di un '95' |
I mestieri di Addis
Alla fermate dei minibus, si aggirano ragazzi con le mani
piene di monetine. Sono quasi scomparse le monete ad Addis Abeba. Riappaiono in
mano ai mendicanti o a questi ragazzi. Il viaggio in minibus costa almeno un
birr e settanta centesimi. Ben pochi hanno la moneta contata. I ragazzi
cambiano cento birr. Danno indietro, per un biglietto, novanticinque centesimi.
Il loro lavoro è conosciuto così: 95.
Altri ragazzi si riuniscono in gruppo. Un minibus parte solo
se è pieno. Nessuno sale su un minibus vuoto: dovrebbe aspettare a lungo prima
che si riempia. E così l’autista paga
(in genere offrirà un passaggio gratuito) dei ragazzi perché fingano di riempire il suo
veicolo. Quando un po’ di gente sale, loro scendono. Non sono riuscito a farmi
dire se questo lavoro ha un nome.
Addis Abeba, 18 novembre
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