A Santo Stefano, pieno centro di Addis Abeba, un vecchio
monaco, dai pantaloni laceri, mi racconta, in un inglese impeccabile, la storia della chiesa. Sorride
divertito. Capisce che deve spiegarmi: ‘Ero un uomo di affari. Ho vissuto negli
Stati Uniti. Poi ho lasciato tutto. Sono qui. Che altro c’è di importante?’. E’
indica il cielo. Non chiede una mancia. Indossa lo shamma giallo di chi ha
fatto voto di castità. Sembra un folletto. Ha occhi che scintillano. Cammina da
un lato all’altro del piazzale della chiesa appoggiandosi a un bastone.
Treni di Addis Abeba
Alla gare di Addis
Abeba parlano ancora francese. Per lavorare qui, bisognava sapere il francese, questo
era lo chemin de fer Djibouti-Ethiopie.
Al telefono rispondevano: bon jour. I
binari correvano fino a Gibuti. Ora non ci sono più treni. Da anni. Vacche fra
le rotaie. Un carro è abbandonato di fronte alla stazione: è stato costruito a
Napoli nel 1915. Mi piace questo posto. E’ nostalgia. Guardo i cartelli in
francese.
I cinesi hanno alzato nuovi, grandi capannoni. Li hanno
dipinti di azzurro. Cinesi e turchi costruiranno la nuova ferrovia. Duemila
chilometri di binari. ‘Roba scadente’, scuotono la testa i vecchi ferrovieri. I nuovi treni non arriveranno alla vecchia stazione. Banche cinesi, turche, indiane e brasiliane
finanziano questa impresa. ‘Nessuna banca europea: voi chiedere democrazia,
mentre ai cinesi non importa. Loro ci mettono i soldi senza pensarci tanto’, mi
spiegano alla gare.
Diciassette impiegati lavorano ancora in una stazione senza
treni. C’è il caissier speciale. Che ci
guida, con astuzia, giocando con il nostro desiderio di nostalgia. Fa sparire
veloce una mancia più che generosa. Non mi apre i vagoni dei vagoni del Negus.
Chiacchiere
‘L’Etiopia è una roccaforte del Corno d’Africa. Il mondo non
può permettersi che questo paese salti per aria. Per questo cinesi, sauditi,
qatarini, americani vengono qui con un sacco di soldi. Qui gira denaro. Si
costruiscono grattacieli e palazzi senza fermarsi a pensarci su’.
I cinesi hanno costruito (10 miliardi di dollari, mi dice il
taxi-driver) il palazzo dell’Unione Africa. E’ immenso e bellissimo. Devono
ancora finire gli alberghi. E’ un’astronave spaziale in una prima periferia
della città. Sorge là dove c’era la prigione di Addis Abeba. I diplomatici
africani, dalle giacche stazzonate, scendono dai taxi e si perdono nei suoi
spazi come se fossero una scolaresca in gita.
Globalizzazione
Bevo caffè tradizionale in una tazzina made in China.
Ayele Mamo e il suo mandolino |
Girma Negash |
Zaritù |
Jazz
Ma poi a sera andiamo ad ascoltare jazz al Jazzamba, il
‘santuario del jazz’. Un vecchio (la mia età?), dal viso superbo, suona il
mandolino. So che ne è l’unico suonatore d’Etiopia. E’ un uomo bellissimo e
serio, ma le sue mani sono un incanto. Fa venire i brividi. Credo che si chiami
Aleye Mamo. Salgono sul palco due grandi cantanti degli anni ’60. Vestiti in
doppio petto. Si agitano come ragazzi. Mi dicono che uno dei due, Girma Negash,
fa il taxi-driver. Mi innamoro della loro voce. Sono felici come bambini. Il
Jazzamba è nelle sale dell’hotel Taytu, il primo albergo della città, vecchio
di cento anni. Nello sgangherato quartiere di Piazza. C’è bellezza in questa
sala. E penombra. Gli etiopici non amano le luci. Mi commuovono questi
musicisti. C’è anche una cantante vestita da bambolina, la sua voce scivola via
cercando un’intesa con il mandolino del bel vecchio. Sono felice di essere qui.
Penso anche che, in sette, abbiamo speso come lo stipendio
di un mese di un ferroviere. Più dello stipendio di un mese. Ma è un pensiero
che fugge via. Mi piace questa musica. Mi piace questo posto. Mi dicono che
Jazzamba finanzia una scuola di jazz per ragazzi. Devo andare a conoscerla.
Addis Abeba, 17
novembre
A Matera sono che vi è un altro concerto. Stanno
festeggiando l’anniversario di un’assenza. E mi piace pensare i musicisti nella
chiesa del palazzo Lanfranchi. Là, il sole è impetuoso. Qua, la luce di una
candela cerca di essere discreta. E’ possibile scambiare le voci fra Addis
Abeba e Matera?
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