lunedì 3 ottobre 2011

Etiopia/La frontiera della Dancalia

Soldato etiopico a Dallol


I soldati convocano gli uomini magri della frontiera. Spiegano, ordinano, minacciano. Avvertono: è vietato attraversare la frontiera. Il soldato parla e gli uomini guardano i suoi stivali neri e lucidi in mezzo alla polvere. Il soldato non ha il vocabolario adatto. Conosce solo parole che lasciano nell’aria il sapore dei denti. Gli uomini magri hanno il tempo. Quando la riunione finirà, faranno un gesto nell’aria e le parole del soldato vengono scrollate via. Aspetteranno un giorno e, a notte, con un due cammelli, si incammineranno verso il nulla. Andranno oltre la frontiera. In Eritrea. Dai nemici. Quattro ore a piedi nel deserto del sale per raggiungere Sanda. Alcune precauzioni: bisogna passare lontani da Badda, puntare direttamente verso oriente, oltre lo scoglio di sale rosso di As Salè. Di là, c’è il villaggio di Sanda. Più a sud quello di Weima. Molti afar di Ahmed Ela, sono nati in questi due paesi al di là della frontiera. Si sono trasferiti al villaggio dei cavatori negli anni ’90, quando le guerre avevano rallentato le loro storie e ad Ahmed Ela era ripreso, con regole nuove, il lavoro del sale.

Commerci fra le due sponte della Piana del Sale. A Sanda si offrono stuoie e capre in cambio di caffé e zucchero. A Sanda, come ad Asagalla, si può andare per acquisti importanti: qui si trovano i kalshinikov che qualcuno ha portato da Gibuti e dai supermarket guerrieri della Somalia. Ci vogliono undicimila birr per un ak-47 molto usato. E’ il costo di un cammello. Cammello e ak-47 sono potere in questo deserto. Ma poi bisogna pensare anche alle pallottole.

A Sanda, mi dicono, ci sono anche le palme dum. Le donne le usano per intrecciare le stuoie. Bisogna andare a comprarle oppure convincere qualche mercante a portarle per te.

Oltre un secolo fa, gli uomini con il casco coloniale a proteggere una pelle troppo bianca per queste solitudini, non si misero a prender misure per stabilire dove fosse la frontiera fra Eritrea ed Etiopia nei deserti della Dancalia. Contarono, senza esattezza, sessanta chilometri fra il mare e le colate di lava e tirarono una riga parallela alle onde del mar Rosso. Quello era il confine per i bianchi. Un tratto di matita che è rimasto a segnare la storia. Oggi gli uomini del potere africano, fra il ghebì di Addis Abeba e il palazzo dall’intonaco giallo di Asmara, tirano fuori quelle antiche mappe e fingono di non sapere niente delle storie invisibili della frontiera. 

Contrabbandieri lungo le piste di lava dell'Erta Ale


La pista dell’Erta Ale, lontana dal confine più conteso, è più sicura  per chi vuole passare la frontiera fra due stati in guerra. Ci sono meno soldati qua. Il passaggio degli uomini magri lascia tracce chiarissime. ‘Shiftà’, dice Ahmed e indica un tremolio all’orizzonte. Due uomini, due cammelli, un carico di stuoie. Stanno tornando dai baratti di Asagalla. Forse sotto il carico non c’è niente. Forse ci sono due nuovi fucili per gli uomini di Karsawat. Qui bisogna essere armati. Anche i ragazzi più piccoli più piccoli lo sono. Quello che ci scorta avrà quattordici anni.

Il ragazzo che ci ha scorato fino all'Erta Ale


A Badda, oltre Dallol, c’è l’esercito. Ci sono i soldati. Da un lato e dall’altro del fiume di pietre. Il paese è attraversato dalla frontiera. Follie degli uomini anche in questo luogo impossibile. Qui Etiopia ed Eritrea si toccano. Si guardano negli occhi. Si puntano addosso il fucile. Ma, a sera, i soldati dell’Etiopia guardano la televisione del nemico, la sola che raggiunga le antenne storte piantate fra le rocce. Badda poteva essere contesa con battaglie furibonde. Invece è stata semplicemente replicata. C’è una Badda a oriente del fiume. C’è una Badda a occidente. Così non ci sono risse, sfide, rivendicazioni. Ma solo rappresentazione della guerra (in attesa di un'altra guerra vera dopo averne combattute altre). Di notte, gli uomini magri passano da un lato all’altro. Per commerci, dicono. In realtà, hanno voglia di chiacchierare fra loro. Non amano le frontiera i popoli quasi nomadi. Hanno voglia di vedersi ogni tanto.

Il fuoco dell'Erta Ale


I canadesi della Allana Potash, la gente che è venuta dal freddo per cavare potassio nella terra più calda del mondo, fanno finta di ignorare la frontiera. Dal prossimo anno, cominceranno a estrarre il potassio dal ventre della Piana del Sale e continuano a sostenere, di fronte ai loro azionisti, che porteranno via il minerale dal mar Rosso. Nelle loro carte arrivano a pubblicare perfino la mappa del percorso dell’antica ferrovia italiana che attraversava questi deserti. Non dicono che fra le loro miniere e il mare, c’è l’Eritrea e due eserciti schierati. O, forse, i canadesi sanno qualcosa più di noi. O, forse, hanno preso accordi con chi si fa beffe della frontiera.
Ahmed Ela, 21 settembre



Nessun commento:

Posta un commento