domenica 17 luglio 2011

Libia/L'enigma della strana guerra. Il 14 luglio, Ramadan e i primo settembre

Un giorno di preghiera a Tripoli




Bisogna essere onesti, avere esperienza sulle spalle, forse sono necessari anche i capelli bianchi per raccontare. Bernardo Valli, a più di ottanta anni, se ne va a Tripoli e, a differenza di molti altri suoi colleghi, racconta. Di una Tripoli surreale. Di una Tripoli ‘normale’. Con la gente che va al mare e con i negozi vuoti, ma aperti. Va a cena nei ristoranti, trova una stanza, uno dei pochi a non andare al Rixos, all'hotel Corinthya, un passo dalla Medina di Tripoli. E ammette di non avere risposte (quelle che da cinque mesi, invece, sembrano avere molti ministri degli esteri europei): non sa quanto potrà durare Muammar Gheddafi.

Un giorno di festa a Tripoli

Strani giorni questi (ammesso che vi siano giorni non strani durante una guerra). In poche ore la Francia ha ammesso ‘contatti’ con il regime di Tripoli e il ministro della difesa di Parigi si era spinto a prevedere una sospensione dei bombardamenti. Il primo ministro francese si era persino sbilanciato: ‘Soluzione politica indispensabile’.
Repentino cambio di idea in una manciata di ore. E’ il ministro degli esteri inglese, William Hague, ad annunciare più violenti bombardamenti sulla Libia (ma cosa stanno bombardando dopo 15mila missioni?) e distacca sui cieli nordafricani quattro Tornado in più.

Causa ed effetto. Il Gruppo di Contatto (22 paesi più sei organizzazioni internazionali) fra i paesi impegnati nella guerra ha riconosciuto ufficialmente gli insorti di Bengasi come unico rappresentante della Libia. Follow the money, allora, perché questa è una storia di soldi: il riconoscimento ufficiale è un cavillo burocratico, ma questo passaggio, a leggere interpretazioni estensive, consentirebbe al Consiglio di Transizione di mettere le mani sulle grandi ricchezze libiche congelate nelle banche internazionali (160 miliardi di dollari?). Pessima notizia per la banche stesse che, in qualche modo, lucrano su soldi che nessuno può toccare. Ottima per Bengasi. Ma i bene informati dicono che la generosità araba e occidentale (i soldi di Gheddafi stanno lì, fra New York, Londra e gli Emirati Arabi, paese che fa parte della coalizione guerriera contro Tripoli) non sarà assoluta:  i ribelli potranno contare sul 10-20% delle somme a suo tempo depositati dal Fondo Sovrano libico o della Compagnia petrolifera libica. Non di più. Non è che ci si fidi del tutto degli insorti. Li abbiamo perfino costretti a firmare una carta in cui c'è scritto che rispetteranno i diritti umani (deve aver avuto qualche dubbio perfino Hillary Clinton). L’Italia promette a Bengasi, a seconda delle diverse fonti, 100 o 300 milioni di dollari. Timido tentativo di conquistare credibilità con chi si pensa governerà in futuro la Libia. Ma l’Italia la guerra di Libia l’ha già persa: Tripoli fa sapere che l’Eni non rimetterà mai più piede nei suoi deserti. Bengasi, a fine giugno, ha già detto che tutti i contratti petroliferi saranno rinegoziati. L’Eni, in cuor suo, ha già detto addio al monopolio, un po’ sprezzante, che ha avuto sulla Libia per oltre mezzo secolo. Si spera che abbia altre strategie. Davvero nei palazzi Eni nessuno ha mai pensato a un piano B?

Gheddafi all'Eliseo (da Peacereporter)


Il presidente francese Sarkozy non ha avuto il suo regalo per il 14 luglio, festa della Rivoluzione Francese. Sta continuando a spendere un milione di euro al giorno nella guerra (e pensare che il ministro degli esteri Alain Juppè, a marzo, aveva detto che in poche settimane Gheddafi sarebbe stato cacciato). Fra due settimane, il primo di agosto, comincia Ramadan, mese sacro dell’Islam. Si combatte durante i giorni santi? ‘Nessuna controindicazione’, a sentire Juppè (come se una guerra fosse una medicina). ‘Maometto ha combattuto durante il Ramadan’, fanno sapere a Bengasi (ma hanno troppo interesse a continuarla che i dettami religiosi passano in secondo piano nella capitale cirenaica). Solo il vescovo cattolico di Tripoli, Giovanni Martinelli, si ostina a credere che le armi debbano tacere durante i giorni più importanti dell’Islam. Ascoltare la sua saggezza sarebbe un bene o un male? E per chi? E dopo Ramadan, arriva il primo settembre. 43esimo anniversario della Rivoluzione ghedaffiana. Data simbolo del suo regno. E cosa si inventerà il rais per quel giorno? Sarà ancora a guidare, dai suoi nascondigli, la resistenza e la paura dei tripolini? Davvero questa guerra può durare all’infinito? Ha ragione Bernardo Valli: non ci sono risposte, chi dice di averle, mente senza pudore.
Padova, 17 luglio  

Nessun commento:

Posta un commento