Tripoli, il vecchio quartiere italiano |
Si avvicina Ramadan, mese sacro dell’Islam. Cosa accadrà in Libia? La guerra appare indecifrabile. Almeno a vederla da questa sponda del Mediterraneo. Qualcuno, un giorno, dovrà rimontare la scansione delle parole dei ministri, degli intellettuali, dei militari: appaiono una babele, una sorta di stupidario privo di qualsiasi senso di responsabilità. La guerra, noiosa come tutte le guerre che non siano blitz cinematografici, sta fuori dai giornali e dalle televisioni. I giornalisti vanno e vengono dall’hotel Rixos di Tripoli, non vanno più nemmeno a Bengasi. Chissà cosa sta accadendo a Misurata? I nostri amici, nel Sud della Libia, continuano una vita ‘tranquilla’, quasi indifferenti a quel che accade a Nord. Chissà chi controlla Sebha, capoluogo del deserto?
Il filosofo Bernard-Henri Lévy, guru spregiudicato di questa guerra, sostiene che la disfatta di Gheddafi è vicina. Viaggia nelle montagna del Jabel Nafusa, fronte meridionale dello scontro mortale fra ghedaffiani e insorti. Racconta, con soddisfazione non celata, di uomini in armi ben addestrati, smentisce le voci di violenze dei ribelli (si fida) contro la popolazione civile e assiste all’arrivo di armi francesi destinate agli oppositori di Gheddafi (la definisce ‘un progresso’. Si contraddice un po’: parla di decine di tonnellate di armamenti e poco più sotto scrive di mezza tonnellata di armi semi-pesanti).
Passa solo un giorno dal reportage di Henri-Lèvy e il ministro degli esteri francese, Alain Juppé, dice che ‘Gheddafi potrebbe restare nel paese, se rinunciasse al potere’. Cambio radicale di linea di Parigi, paese in prima fila nella guerra contro il colonnello. Gli Stati Uniti, a loro volta, parlano di salvacondotto per il rais e ammettono incontri con suoi inviati in Tunisia. Gli inglesi si trincerano nell’ambiguità: ‘Il destino di Gheddafi deve essere deciso dai libici’. Si arrabbiano, allora, all’Aja: ‘Gheddafi deve essere arrestato’, ricorda Florence Olara, portavoce della Corte Internazionali di Giustizia. C’è o non c’è un mandato di cattura internazionale?
A leggere il database del Guardian sono stati colpiti, dall’inizio dei bombardamenti Nato, 2094 obiettivi. Cos’altro c’è da bombardare nelle regioni dei ghedaffiani? La caserma di Bab al-Azazya non è più grande di un isolato: quante volte è stata bombardata?
Torniamo a seguire il denaro. Londra espelle diplomatici libici (quindi ce ne erano ancora in Inghilterra) e riconosce il Consiglio di Transizione di Bengasi come unico rappresentante del paese. Attenzione, appare come un passo diplomatico dettato da ragioni di burocrazia e coerenza con le decisioni del ‘gruppo di contatto’ dei 22 paesi in guerra. Non è solo così, è uno strappo a regole consolidate della diplomazia britannica (si riconoscono gli stati, non i governi) e viene compiuto solo per permettere di scongelare 91 milioni di sterline appartenente all’Arabian Gulf Oil Company, filiale cirenaica della vecchia agenzia statale petrolifera libica. Viene scritto che il Consiglio bengasino ha promesso che con questi soldi non comprerà armi, ma benzina.
Londra avverte: i bombardamenti, cioè la loro guerra, potrà avere una durata ‘indefinita’.
San Casciano, 27 luglio
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