venerdì 29 luglio 2011

Africa/ Sono troppo diverso

Il mercato africano (savana del Mali)



Copio. Con qualche legittimità. Paolo Rumiz mi perdonerà. A sua volta, Paolo ha copiato una lettera di suo figlio, Michele. Lo ha fatto quando, smarrito in una savana del Nord Uganda (intuisco cosa si prova, intuisco il desiderio di copiare quelle parole del figlio), ha riletto una vecchia lettera. Questa volta non ci sono trucchi da giornalista. Michele ha regalato parole che aiutano a capire qualcosa che, in quel momento, sta dentro la pancia, la testa e il cuore, ma non si riesce a mettere a fuoco.
Siamo nel Nord dell’Uganda. E Michele è in un luogo che si chiama Kalongo da qualche mese. Un bianco in uno dei cuori dell’Africa. Paolo legge la sua lettera e si sente un ‘displaced people’
Ecco le parole di Michele prestate a suo padre Paolo Rumiz.

Lottatore nubiano


‘Una notte in cui la Luna illuminava il grande plateau di Kalongo, abbiamo giocato a carte senza lampadine, né candele. Tutto intorno era cobalto e argento, ombre di foglie su altre foglie, ombra sull’erba, ombra degli alberi sui tetti. Il cielo era mozzafiato, miliardi di stelle e la via Lattea era una nube di cui percepivamo il volume. Eppure non c’era una stella che riconoscessi….

Quando prendo la bicicletta faccio ridere tutti. La bicicletta è per i poveri, e un bianco povero, qui non si è mai visto. La prima volta ci ho riso sopra anch’io. Poi ho sentito solo un senso di isolamento che cresceva. Sono troppo diverso. L’ho capito anche con Margaret. Ha occhi dolci e grandi, e una postura regale come solo le Acholi paiono avere, con i tratti già simili ai nubiani. Mi piace tanto, ma non gliel’ho mai detto. Troppa differenza fra noi. Io ho la mia pancia piena, il mio passaporto europeo, la mia pelle bianca. Lei vive in una capanna, terza di otto figli. Se solo mi avvicinassi, la squaliferei per la vita. Mi sono sentito in colpa persino quando a Natale, le ho regalato i libri per le scuole secondarie. Lei non se li poteva permettere.

Jamila


Quel giorno ho deciso di non restare. Ho capito che per funzionare in Africa avrei dovuto cambiare paradigma. Mi è apparso chiaro che ero davanti a un bivio: ‘funzionare’ in Africa o ‘funzionare’ a casa. Alcuni lo chiamano African bug, l’insetto che ti punge e ti tiene legato a questo continente così ruvido, vivo, solare e impietoso. Un luogo dove tutto è vita, vita che sovrasta altra vita, dove tutto cresce, si trasforma, prende il sopravvento e poi svanisce con una irruenza che costringe a cambiare i nostri parametri di sensibilità.

Era giorno, pieno giorno, quando mi sono guardato nel cuore e ho capito che non sarei mai stato felice se avessi scelto di restare. Tutte le mie certezze si erano sgretolata sotto il sole dell’Africa. Un sole che non concede ombre, ti lascia nudo. Tornerò a casa’

Grazie, Michele. Grazie Paolo.

San Casciano, 29 luglio

Paolo Rumiz ha copiato la lettera di suo figlio nel piccolo libro ‘Il bene ostinato’, edito da Feltrinelli (2011). Paolo racconta la storia del Cuamm, Medici con l’Africa. Un libro da leggere. Con questa avvertenza: che le parole di Michele siano una domanda anche per chi lavora da decenni in Africa. L’importante, credo, sia porsi domande.


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