giovedì 21 ottobre 2010

I minatori di Salinas Grandes

Salinas Grandes


Francisco ha 39 anni, tre figli, un fisico massiccio e ombra di foglie di coca sulle labbra. Siamo saliti oltre i quattromila metri dell'Abra de Lìpan per raggiungere un immenso salar di alta quota. Qui, da sempre, si cava il sale, questa distesa accecante è il fondale di un antico mare: ha lasciato in eredità una coltre salina sfruttata per centinaia e centinaia di anni da piccole popolazioni indigene. Francisco sa di essere un indio colla, ma si definisce semplicemente un abitante originario. E' uno dei dirigenti di una cooperativa che raccoglie 43 famiglie di salineros, gli abitanti di due desolati villaggi, Pozo Colorado e Sanctuario. 'A nessuno di noi piace lavorare il sale, ma dobbiamo farlo. Per patriottismo. Questa è la nostra terra, il nostro sale. Ce lo hanno tolto. Lo stato ci ha tolto terre che appartenevano ai nostri padri. Ci hanno restituito una concessione e noi vediamo sfumare il nostro guadagno in tasse e imposte'. Mestiere devastante, il salinero. Le facce degli cavatori sono coperte da passamontagna, il sole brucia la pelle a queste altezze. Si tagliano vasche nella crosta salina, si lascia a decantare una salamoia di acqua e sale per quasi un anno. Il tempo che si cristallizzi e sia pronto per essere polverizzato. Si lavora otto ore al giorno, sotto un sole impietoso. Gambe a mollo nell'acqua salata.
La cooperativa di Francisco vende attraverso intermediari. Il sale serve alle industrie (zuccherifici, fabbricanti di carta). Vale pochissimo: 50 pesos (dieci euro) la tonnellata. In un mese di lavoro, i salineros della cooperativa estraggono mille tonnellate di sale. Attorno a loro si stringe il cerchio di altri estrattori. Le Salinas Grandes sono disseminate di cavatori. 'E stanno arrivando le multinazionale. Loro hanno fame di litio', dice Francisco. Già sono cominciate le prime ricerche.
Benito
Una dozzina di cavatori si sono trasformati in artigiani. Cavano il sale alla mattina e nel pomeriggio intagliano statuette di sale. Bei lavori. I turisti salgono a Salinas Grandes da Purmamarca. 50 pesos (quanto una tonnellata di sale) l'escursione in pulmino. Vengono fino a qua, si fermano un'ora, comprano gli oggetti dei cavatori, scattano foto. 'Non riusciremmo a vivere senza i turisti', ammette Francisco. Il patto per l'intervista è stato chiaro: 'Io ti racconto, ma tu compri qualcosa'. Va bene così.
I minatori-artigiani
Nei due villaggi (una sola strada, case basse e schiacciate dal vento, alberi tramortiti, una cappella, solo i cani in giro) vivono quattrocentocinquanta persone. 'Non sappiamo niente della nostra storia - spiega Francisco - La nostra lingua originaria è scomparsa, non sappiamo chi eravamo, sappiamo che i nostri padri hanno vissuto qui'.
Francisco
Il fratello di Francisco mi sorprende: mi chiede il mio indirizzo mail. Francisco mi dà il numero del suo celluilare e se ne va sopra una sgangherata motocicletta. Altri turisti stanno arrivando. Un minatore solitario, Benito, 28 anni (non vedrò il suo volto, nascosto da un cappuccio nero) lavora solitario a colpi di piccone e vanga in una vasca in cui il sale è già pronto, un bull-dozer carica il sale su un gigantesco camion. Donne indie aspettano da ore il passaggio di un bus. Ci chiedono acqua.



 Ridiscendiamo a Purmamarca. Un tango per scacciare malinconie. Attorno il paesaggio è di una bellezza estrema. I colori impazziscono al tramonto. Questa è la strada che, con un passo che sfiora in cinquemila metri, porta in Cile. La percorrono colossali bisarche piene di automobili. Tutto ci appare oltre ogni limite.
Salinas Grandes, 20 ottobre

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