venerdì 29 ottobre 2010

Conversazione con Pablo

Pablo suona Vivaldi a Iruya


Pablo vive a Iruya da quattro anni. E’ un porteno. Viene da Buenos Aires. Qua, montagne andine, occidente della Quebrada di Humaucha, ha trovato un equilibrio. Accoglie i turisti in una bella casa. Al mattino la sua terra si apre sulle montagne. Pablo, a sera, commuove quando suona il violino per i suoi ospiti. Musiche delle montagna mischiate a Vivaldi (conosciuto in queste terre grazie all’ostinazione di Gaetano Zipoli, celebre missionario di queste valli) e un tango.

‘Sì, i giovani vogliono lasciare queste montagne. La televisione è arrivata fino a qui e mostra un mondo diverso, lucente, inimmaginabile in queste solitudini. Qua la vita è dura. In estate arrivano le piogge, i paesi, a volte, sono irraggiungibili. Si scatenano tempeste elettriche terribili. Ogni giorno bisogna pascolare le capre. I vecchi hanno artriti, reumatismi. Per passare le notti, si beve. Vino e birra. Vino di pessima qualità. Vinup, vino mischiato a Seven Up.
Però, allo stesso momento, qui la vita è tranquilla. Ha un suo ritmo. Lento e bello. Chi è andato in città, a fare il muratore, scopre quanto può essere miserabile la vita di ogni giorno. Qui hai quanto basta per vivere: la casa, il campo, la tua terra. Là ti confronti con il denaro che non basta mai.
Qua tutto si mischia. Tutto sembra tenersi. Un villaggio ha un nome cristiano, San Juan, e quello più vicino si chiama Chiyayoc. I missionari hanno portato i loro santi e la gente delle montagne li ha ‘cambiati’. Sono passati cinquecento anni dalla Conquista e i popoli andini, nonostante un genocidio fisico e culturale violentissimo, non sono scomparsi. Sono tenaci, silenziosi, testardi. Sanno come sopravvivere’.

Dona Patrona non conosce la sua età. Non ha documenti. Vende erbe per medicina e tisane ai turisti che scendono dalle corriere che sfiorano i precipizi di Iruya. Scoprirò poi, stolto europeo, che lei compra quelle erbe che io credevo coltivasse. Dona Patrona è scesa dalle montagne solo qualche mese fa. Non potrà più tornare alla sua solitudine. Troppo vecchia, troppo malata. ‘Vivevo bene lassù. Avevo il mais, la legna, le verdure, la carne, l’acqua. A qui se paga todo e devo vendere per sopravvivere’. Lassù è a ore di cammino da Iruya. La moglie di suo figlio non è mai voluta salire a conoscere la casa solitaria di dona Patrona.
Iruya, 23 ottobre

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