venerdì 8 novembre 2013

I due universi di Addis Abeba

Betoniere


Cantieri


Abitudini


Le strade vengono divelte una dopo l’altra. Chiusa l’Asmara Road, la European Comunity road, accerchiata la chiesa di San Giorgio. Il traffico si impiglia. Sbarramenti di pietre. Uomini nel sottosuolo a spaccare massi ostinati. Si sbanda attorno a colline di terra rimossa. Si smontano e si rimontano bancarelle in una battaglia perduta contro i caterpillar. Ma il business di strada può durare un giorno di più. Andare o non andare a trovare qualcuno è deciso da un capocantiere, da un geometra, da un urbanista. Alla fine, dicono in città, geometri e operai si chiuderanno dentro un perimetro di trincee e non sapranno più uscirne. Carattere della gente di Addis: il traffico è una recita silenziosa. Nessun clacson, nessuna imprecazione, nessun urlo, si aspetta tutta la vita, tanto vale attendere in auto. Ebbrezza del progresso. I minibus guidano con la tecnica dei velista: virata rapida e immediata. Non bisogna viaggiare al loro fianco. Scendo dal taxi e vado a piedi. 

Salita verso Washa Mikael

I giovani eucalipti di Washa Mikael

E a piedi risalgo il contrafforte di Entoto. Crinale occidentale. Verso i tremila metri. Strada lastricata. Muro di cinta dell’ambasciata italiana. Là dentro dovrebbero esserci ancora due generali della tirannia di Menghistu che vi si rifugiarono più di venti anni fa. Cammino, prendo una guida, mi inerpico per un giovane bosco di eucalipti. Addis ha queste sorprese: scarti di lato e sei in un altro universo. Salgo verso le rovine di Washa Mikael. Sono stato qui venti anni fa. Una delle chiese rupestri più meridionali dell’Etiopia. Cambio mondo: i ragazzi pascolano due vacche e tre pecore, non portano sacchi di cemento ai manovali sospesi a trenta metri di altezza. Si lavano i panni in pozze dall’acqua verdastra. Si raccoglie fango con un cesto per rinsaldare la parete di una capanna che le piogge hanno sfaldato.


Washa Mikael e lo strano Cristo della chiesa nuova


Un’ora di salita. I ruderi della chiesa. Tutto immobile, paesaggio che riconosco. Il guardiano. Lo stesso di due decenni fa? Sbalzo di tempo. Mi dice che ha cinquant’anni. Potrebbe averne trenta di più. Mi racconta nuovamente che la chiesa è stata bombardata dagli italiani. Io allora lo scrissi e un lettore erudito quasi mi disprezzò. Ha importanza? Nel prato davanti alla chiesa, un uomo vigila i suoi animali. Il maestro del villaggio vicino riprende il cammino per scendere in città. Ogni giorno due ore di salita per insegnare cinquanta ragazzini. Una grande euforbia ha abbracciato un ginepro. Leggo dei re leggendari che avrebbero costruito questa chiesa. Ma questa pietra non era adatta per un monumento di pietra. Washa Mikael, semplicemente, crollò e i preti spostarono l’Arca dell’Alleanza in una chiesa di città. Qua rimase una pace che avvolge. Mi addormento al sole dei tremila metri. Il guardiano rimane in piedi all’ombra di un ginepro.

La tradizione insegue la tecnologia: a Washa Mikael ora si paga se fai foto con un mobyle e con un laptop. E lo scrivono in un villaggio senza alfabetizzazione. Si dimenticano che la mia macchina può fare anche video. Mi viene voglia di aggiungere una tariffa. Il guardiano, figlio di prete, ha un cellulare con la suoneria a canto del gallo. Tanto per non dimenticare il suo pollaio.



Mezz'ora a piedi, fuori dalla città

Torno in città. Avverto la fatica di camminare in quota. Le capanne di Chola si arrampicano fra gli eucalipti. Le donne si caricano di legna, fanno la coda alla fontana dell’acqua, puliscono catini di panni, cucinano, spediscono le figlie a badare i due vitelli. Periferia di città. Incontro dei due universi. Non fotografo barbieri di strada. Mi dico che così non va. Non trovo desideri oggi. Non so muovermi in città.



Il gioco delle impalcature e della fatica

A sera mangio al club armeno. Il giorno dopo al club greco. Domani al club Juventus (io, un interista). Zuppa di yogurt e polpettine, zatiziki e lasagne. Evito la 'njera. E mi piacciono questi luoghi della nostalgia. Tizita, dicono gli etiopici, per la loro storia. 'Qualcosa che rimane'. 



Endless love


Sotto i portici della Churchill road, si gira un film. ‘Endless love’. Tre uomini fingono di bere un macchiato attorno a un tavolini messo per strada. L’attore mi punta il dito contro: ‘You have to ask permission’. Il cameraman  è incuriosito dalla mia piccola macchina fotografica. Guardo le scarpe dell’attrice. Mi abbasso. Fotografo.

2 commenti:

  1. Perchè nel 1963 stavo sdraiato su un divano e l'Inter batteva il real Madrir. Perchè Mariolini Corso segnò un gol da meraviglia all'Indipendiente, perchè Sandro Mazzola scartò due volte tutta una difesa prima di segnare al Ferencvaros e io, cavolo, cerco di essere fedele alla mia adolescenza e gioventù. E' una fedeltà a cui tengo. Per il resto, mi piace il calcio e la prossima settima c'è Nigeria-Etiopia per la Coppa del Mondo...

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