venerdì 1 novembre 2013

Viaggiatrici Viaggianti/E un giorno Ida è partita



Secondo giorno di primavera del 1842. Esiste un giorno migliore per cambiare vita senza, in fondo, saperlo? Ida Laura Reyer Pfeiffer, donna di quarantacinque anni, bassa di statura e leggermente incurvata, un’austriaca dalle origini borghesi, sale i gradini della passerella di un piroscafo a vapore. Il vecchio steamer sta lasciando le banchine del porto fluviale di Vienna sul Danubio. E’ diretto al mar Nero. Chissà se immaginava che il viaggio sarebbe diventato la sua nuova vita? Per la prima volta, viaggiava sul serio. Fino ad allora era stata una casalinga. Aveva visto il mare solo sei anni prima. A Trieste. Non lo sapeva, ma era destinata a diventare la prima donna mai accolta nella Società Geografica di Berlino, avrebbe compiuto per due volte il giro del mondo. Quei suoi passi che la stanno conducendo a bordo del piroscafo saranno i primi di 240mila chilometri via mare e 32mila via terra che percorrerà nei 16 anni che ancora le rimanevano davanti.  Ma questa storia non può limitarsi alla contabilità delle distanze. E’ una storia strana. Perché ‘normale’.



Ho incontrato Ida nella vetrina di una mostra (Andata e Ricordo, al Mart di Rovereto, ha chiuso un mese fa). Vi era un piccolo libro ottocentesco. Era il diario di un viaggio attorno al mondo. Non vi era alcuna spiegazione. Il volume appariva come messo lì per caso e poi abbandonato. Lo aveva scritto lei. Più di centocinquanta anni fa. A casa, ho cercato su internet. Non ho letto il libro. Non l’ho trovato. Ma ho visto un ritratto di questa donna. Non appariva una viaggiatrice, né una ribelle. Indossava abiti austeri: cuffia a crinolina, scialle, pizzi e merletti. Mi ha incuriosito, però, quel mappamondo poggiato sul tavolo. Ida ha amato, fin da piccola, le carte geografiche. Nei suoi diari, ricorda che andava per strada a osservare il passaggio delle diligenze: da bambina, immaginava di seguirle fino alla loro misteriosa destinazione.

Questa è la storia di una donna comune che è riuscita a compiere imprese straordinarie. Non è un’esploratrice, non è una accademica, non è ricca, ha sposato un uomo che non amava e ha allevato due figli. Poi, un giorno, è partita. E non si è più fermata. Ha scritto tredici diari di viaggio.



Ida è nata a Vienna nell’ottobre del 1797. Figlia di un agiato mercante di tessuti. Ha cinque fratelli. Cresce, questo è vero, come un maschio. Quando il padre muore, ha appena nove anni: sua madre vuole darle un’educazione femminile. E lei si innamora del suo tutore, un giovane appassionato di libri. Un amore impossibile. E’ la madre a decidere il suo matrimonio. Ida sposerà un avvocato. Anton Pfeiffer è una brava persona: denuncerà la corruzione degli ambienti militari dell’impero viennese e si ritroverà senza lavoro e senza soldi. Ida, per mantenere la famiglia, si arrabatta come segretaria. Darà lezioni di pianoforte. I suoi anni saranno difficili, malinconici: ‘Solo il cielo sa cosa ho sofferto. Vi sono stati giorni in cui vi era solo pane secco per la cena dei miei figli’.



Poi, la separazione dal marito, la sua morte e quella della madre. Una piccola eredità. I figli grandi. Ida, a 45 anni, si rende conto che è libera. E ha davvero visto il mare. Il solo viaggio che era socialmente consentito a una donna della società viennese dell’800 era il pellegrinaggio in Terra Santa. Quella nave a vapore è solo il primo mezzo di trasporto verso la Palestina. Dal mar Nero raggiunge Costantinopoli e poi Gerusalemme. Scopre la follia del viaggio. Non può fermarsi. Per tornare a Vienna sceglie di passare dall’Egitto e dall’Italia. Oramai è sfiorata dalla bellezza dell’andare. Dall’emozione della curiosità. Viaggia per viaggiare. Impiega sei mesi per tornare a Vienna. Con nella testa mille altri viaggi. Scrive, Ida. Ogni notte. A matita. Con calligrafia minuta e quasi invisibile. Il suo diario diventa libro. Sulla copertina ci sono solo le sue iniziali. Alla quarta ristampa, dodici anni dopo, compare il suo nome.



Nel 1845 riparte: verso Nord. In Scandinavia.  Sbarca in Islanda. Non ha attrezzatture, non possiede un equipaggiamento da viaggiatrice, non ha un marito missionario o archeologo. E’ sola. ‘Nessuna anima gentile mi si avvicinò. In quella mischia ero davvero sola e confidavo in Dio e nelle mie forze’. Torna e riparte ancora una volta. Il primo maggio del 1846, Ida sale un’altra passerella: questa volta è un veliero ad aiutarla ad attraversare un oceano. Va in Brasile. Non tornerà se non dopo aver fatto il giro del mondo. Cile, Tahiti, Cina, India, Persia, Turchia….e ogni notte la pagina di un diario. Parole minime, niente è descritto come una grande impresa: Rio de Janeiro le appare una città quasi insignificante. I suoi pensieri non sono inquieti. Mente a se stessa? Cosa la spinge a viaggiare sempre? Solo la curiosità, un infinito desiderio di sapere, un ardore di novità. ‘Bisogna essere animati da una vera passione per i viaggi’, annota in un suo diario. Non ha soldi.  Dopo il viaggio in Islanda, ha scoperto che può vendere le piante e gli insetti che raccoglie nelle praterie e nelle foreste. I suoi libri hanno un buon successo. Sono credenziali che le consentono di implorare passaggi gratuiti sulle navi delle quali diventa ospite. E’ una pioniera, questa donna. Del viaggiatore squattrinato che sbroglia un problema dopo l’altro. Del viandante che ha un solo scopo: andare…
Torna a Vienna nel 1848. Ma solo per preparare un altro giro del mondo. Oramai è una viaggiatrice esperta. Partirà preparata. Nel 1851. Va verso Sud, questa volta. In Sudafrica, ma l’Africa nera rimarrà un miraggio: non ha il denaro per una spedizione all’interno del continente. Dovrà dimenticarsi anche dell’Australia. E allora si smarrisce nell’infinito arcipelago indonesiano. Va a vivere nei villaggi dei cacciatori di testa del Borneo. Scrive: ‘Ci meravigliamo tanto di questa pratica, ma quante teste sono appese ai saloni di Versailles?’. Il viaggio è destinato a durare quasi quattro anni. Torna a Vienna solo nel 1855.



L’Africa è la sola terra che non si è rivelata ai suoi occhi. E’ il nuovo, ultimo richiamo. Nel 1857 è ancora una nave a sbarcarla sulle coste del Madagascar. L’ultimo viaggio. Ida è coinvolta in un oscuro tentativo di deporre la crudele regina dell’isola. Cristiani e stranieri (erano solo sei ad Antananarivo) vengono imprigionati. Evitano la condanna a morte, ma sono espulsi dal paese. Lei torna ancora una volta a Vienna. Questa volta è malata, stremata da una malaria contratta già a Sumatra, dalla prigionia, probabilmente ha un tumore. Muore nel 1858 a casa del fratello.
Non so trovare una conclusione alla storia di Ida Pfeiffer. Non ho appigli. Non ho letto i suoi libri. Fino a poche settimane fa non ne sapevo niente. Guardo il suo ritratto e non vi trovo le inquietudini che ho visto negli occhi delle altre donne in viaggio. Intuisco solo che così non è: questa donna normale ha scritto una storia di un semplice, impossibile coraggio. E lo ha fatto senza essere né maledetta, né condannata dal suo destino. Voleva viaggiare. Ha viaggiato.




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