sabato 23 novembre 2013

Il poliziotto di Dubti

Abdu

Continuo a fare la stessa domanda. E tutti mi lanciano un’occhiata dal basso verso l’alto con un mezzo sorriso un po’ sorpreso. Come a dire: non essere sciocco, non ha alcuna importanza. Ma devono accontentare un bianco. Anche ad Abdu, poliziotto di Dubti, villaggio del clan Arabata degli afar, popolo della Dancalia, chiedo quanti anni ha. La sua astuzia gentile cerca un numero tondo: quaranta anni. Lo guardo. Osservo il viso affilato, la stempiatura, gli occhi che sfuggono da ogni parte, ma guardano con attenzione, i fili bianchi di un pizzo nobiliare, la bolla frontale della preghiera islamica. E poi ascolto i suoi racconti: sei più vecchio di quanti mi dici. Ha importanza? Perché mi ostino  a chiedere l’età?
Famiglia di lignaggio, quella di Abdu. Il padre era un piccolo vassallo del sultano Alì Mirah, il signore del mondo afar del ‘900. Gli anni della tirannia di Menghistu costrinsero il padre di Abdu a fuggire a Gibuti. I legami clanici non conoscono frontiere. Il ritorno nella Dancalia etiopica aspettò la fine della dittatura militare. Avvenne nei primi anni ’90.
A vent’anni, Abdu lavorava in un garage del paese. Ma la sua militanza nell’Afar Liberation Front, opposizione armata a Menghistu, meritava una ricompensa. Quando la regione degli afar creò una propria polizia, Abdu chiese di farne parte. Da ventidue anni, Abdu è un poliziotto. Indossa la camicia azzurra della Qafaar Policia.
Mi racconta dell’uccisione di cinque turisti bianchi avvenuta due anni fa sulla vetta del vulcano Erta Ale. ‘Era gente venuta dall’Eritrea. Afar che hanno tradito la nostra storia. Gli ospiti sono sacri. Le leggi dell’ospitalità non possono essere violate. Puoi aver commesso crimini grave, ma se sei nostro ospite avrai il nostro rispetto. I turisti furono uccisi per una storia politica. Fra Etiopia ed Eritrea. Niente che riguardi gli afar, ma chi ha commesso questo gesto non fa più parte del nostro popolo’.
Ti credo, Abdu.

Ha sei figli. Due sono gemelli.

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