lunedì 25 novembre 2013

Mohammed e il bar della Piana del Sale

Mohammed


C’è un bar in mezzo alla Piana del Sale, accecante deserto dell’estremo Nord della Dancalia. Offre tè e caffè alla fatica degli uomini che cavano il sale. E’ accerchiato dall’indifferenza dei dromedari. E arroventato da un sole impietoso.
Ogni mattina due grandi teiere, una pentola e qualche tazza di plastica sono caricate sopra un asino. Quasi dieci chilometri fra Hamed Ela, remoto villaggio dei cavatori del sale, e la cava dove si estrae il sole rompendo la crosta di questo antico mare scomparso.

Ogni volta ho preso il tè in questo bar. Mi sono accucciato fra gli uomini che inzuppano borgutta, il pane del viaggio, nel liquido nerastro e succhiano, con rumore, il caffè. Una trincea di blocchi di sale protegge dal vento il fuoco sul quale bolle l’acqua. Ho sempre incontrato un uomo senza capelli a gestire questo locale senza pareti. Quest’anno c’era un ragazzo. Mohammed ha venti anni ed è nato a Hamed Ela. ‘Non c’è altro lavoro qua’, mi dice. Racconta che è stata creata un’associazione per questo bar. ‘Voglio studiare chimica’, dice ancora. E io lo guardo come se osservassi un marziano. Pantaloni mimetici, maglietta nera e un sciarpetta attorno al collo. E' bello, Mohammed. E' giovane. Attorno vedo solo il lavoro disperato di chi solleva una crosta salina e poi la intaglia per una manciata di birr. ‘Sono arrivato alla decima, ma non ho ottenuto il punteggio sufficienti per entrare nei corsi preparatori dell’università. Sono tornato qui’. Mohammed cerca di guadagnare i soldi per partire nuovamente. Non li guadagnerà con il tè. A sera, al ritorno da una giornata sotto il sole, mi dirà: ‘In sei anni riuscirò a comprarmi un asino’. In questo bar, il tè, per i bianchi, costa 5 birr. Venti centesimi di euro. 

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