giovedì 29 dicembre 2011

Paradosso Qatar/2


Il Qatar è un apparente paradosso.
Un paese piccolo, 11mila chilometri quadrati. Come dire: metà della Toscana.
Un milione e settecentomila abitanti. Ma solo 640mila sono arabi di origine qatarina. Gli altri sono immigrati. Indiani, pakistani, singalesi, iraniani. Lavoratori senza diritti. Semi-schiavi, in altre parole.
Il 96% dei qatarini vive a Doha.
Il Qatar è indipendente da appena quaranta anni.
Paese islamico. Sunnita. Wahhabita, corrente conservatrice dell’Islam. Nel mondo musulmano solo l’Arabia Saudita è ufficialmente wahhbita.
Il Qatar è un paese moderno. Capofila dell’Islam di mercato. Spregiudicato in economia. Ma ortodosso e integralista nella sua fede.
In Qatar si trova una importante base militare statunitense.
Reddito pro-capite attorno ai 120mila dollari all’anno.  Secondo nella classifica mondiale, dopo il Liechtenstein. Pil da 150 miliardi di dollari. In Qatar si trova il più grande giacimento al mondo di gas naturale. Terzo paese produttore al mondo dopo Russia e Iran. Quattordicesimo posto per il petrolio (26 trilioni di metri cubi di riserve).

Il Qatar è stato il primo paese arabo a riconoscere i ribelli di Bengasi. Il secondo al mondo, dopo la Francia.
Il Qatar ha fatto parte della coalizione Nato schieratasi con i ribelli di Bengasi nella guerra civile libica: ha inviato sei mirage nei cieli della Libia. Notizie non confermate parlano di una presenza di istruttori e militari qatarini nel territorio libico. Uomini di Doha avrebbero partecipato alla battaglia per Tripoli. Sicuramente Doha ha fornito armi e munizioni ai ribelli bengasini.
Doha ha subito promesso di comprare il petrolio messo in vendita da Bengasi.
Il Qatar aspira al comando della forza internazionale che dovrebbe garantire la ‘stabilizzazione’ della Libia. In realtà, dopo la fine della guerra, sembra che l’interesse a questa missione militare sia diminuito. Si calcola che in Libia vi siano 125mila uomini in armi. Fanno parte di una settantina di milizie. Il controllo di Tripoli è ripartito fra 17 milizie armate.

Fonti giornalistiche rivelano che Doha ha stanziato 500 milioni di dollari per sostenere il bilancio dell’Egitto. Avrebbe finanziato il partito salafita del Cairo. Ha sostenuto apertamente il partito di ispirazione islamica vincitore delle elezioni in Tunisia.  Il Qatar ha assicurato protezione e visibilità (trasmissioni di approfondimento su al Jazeera, fondatore di Islamonline) a Yusuf al-Qaradawi, uno dei più influenti predicatori islamici: di origini egiziane, è considerato ispiratore del partito islamico tunisino e è apparso in piazza Tahir al Cairo.

In Qatar aveva trovato rifugio Sayh Alì al-Salabi, il mediatore, nel 2009, fra Saif al-Islam, il figlio di Gheddafi, e i fondamentalisti libici del Libyan Islamic Fighting Group. Il loro accordo condusse alla liberazione di numerosi ‘pentiti’ dell’opposizione islamista a Gheddafi. Fra di loro il controverso Abdel Hakim Belhaj. Oggi è il ‘governatore militare’ di Tripoli e, secondo molti osservatori, la sua brigata è stata armata dal Qatar. Al-Salabi ha ingaggiato una sfida contro le componenti ‘laiche’ del Consiglio di Transizione libico. Alla fine della guerra, ha, di fatto, ottenuto le dimissioni del ‘primo ministro’ Mahmud Jibril.

Dal calcio alla televisione. Per approdare alla guerra, all’economia, ai giochi aggrovigliati e spietati della politica internazionale. Il Qatar è più che un paradosso. Lo sa bene la diplomazia europea: Lorenzo Declich (islamistica.com, 30secondi.globalist.it), su Limes, fa notare che l’Italia ha nominato ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Maria Buccino Grimaldi. Parigi, invece, ha inviato Antoine Sivan. Si ritrovano dopo qualche anno (e saranno rivali): entrambi fra il 2004 e il 2008 erano stati ambasciatori a Doha. Un caso?
San Casciano in Val di Pesa, 28 dicembre





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