martedì 13 dicembre 2011

Frammenti/Una mattina, verso Milano

La stazione di Pioltello


Frammenti/Una mattina, verso Milano
Piccola pioggia. Leggera. Incerta. Altri potrebbero definirla insistente e fastidiosa. Ma la pioggia di questa mattina non era così. Navigava a mezz’aria. Ti  circondava di umidità. Tutto qui. Non era nemmeno troppo tardi. Però le strade erano vuote. Piccole pozzanghere nelle sconnessioni del selciato. Ho un trolley e il rumore sull’acciottolato è un fragore. Penso che sto svegliando un sacco di persone dietro le finestre. Nessuna luce. Eppure, davvero, non è troppo tardi. Nessuno in giro. Fino al fiume non incontro nessuno. Mi chiedo se esiste una parola in italiano per dire ‘trolley’.

In una strada più stretta, uno spazzino è una macchia arancione nel buio. Scopa con diligenza quasi rabbiosa. Sposta cartacce e spazzatura minima in mezzo all’asfalto. Aspetta una macchina pulitrice, immagino. Si accanisce contro la poltiglia di un foglietto che non vuole staccarsi da terra. Alla fine, rinuncia.

In piazza della stazione, riunione operativa di un gruppo di rom. Ne sento le voci roboanti. Le donne hanno toni acuti. Stanno lì, le mani in tasca, maglioni da Caritas, cappelli di lana, davanti al Waldorf Suite. Escono due ospiti del residence. Gente che ha che fare con il cinema. O la televisione. Hanno ingombranti cavalletti e pannelli riflettenti legati alle grandi valige. Hanno fretta. Passano in mezzo ai rom. Nessuno li degna di uno sguardo. Una donna, serissima, con le occhiaie, è accucciata in un angolo dell’ingresso del Waldorf Suite. Fuma una sigaretta, ha un bicchiere di polistirolo in mano. Ma non le serve per la cenere. Guarda avanti. Senza vedere nulla. Si avvicinano altre due donne. Dalle gonne che arrivano fino alle scarpe. Hanno volti segnati. Non so da cosa. Camminano a passi lunghi. I rom stanno per sparpagliarsi, secondo un piano ben collaudato, per la città. Un sabato di lavoro.

La stazione di Pioltello


Ho un biglietto da ritirare alle macchinette self-service. Armeggio con i tasti. Non funziona la lettera I. Cambio postazione. Digito. Niente da fare. Devo sbagliare qualcosa. Faccio un terzo tentativo, ma ancora mi appare una maschera: ‘Absent object’. O qualcosa del genere. Non provo un’altra volta. Vado verso il treno. Parlo con una capotreno. Dice: ‘Ha dimenticato qualcosa. Controllerò io sul treno’.
Il treno va troppo veloce. Non riesco nemmeno ad aprire il computer che siamo già a Bologna. La capotreno non è passata.

Alla stazione di Milano so di dover prendere un treno per Pioltello. Non so dove sia Pioltello. Non ci sono più i cartelloni di carta. Quelli dove sono scritte tutte le stazioni. Forse ce n’è rimasto uno in un angolo della stazione. Ma ora non lo vedo. Ci sono solo avvisi luminosi e digitali. Treni che vanno a Bergamo, a Lecco, da altre parti. Pioltello su quale linea sarà?

Cerco di fare il biglietto per Treviglio. La macchinetta non accetta i miei venti euro. Un uomo (un uomo? Non alzo nemmeno la testa, non so che faccia abbia) si avvicina all’improvviso, forse si china verso di me. Dice: ‘Mi compri un biglietto?’ Sobbalzo. Credo impaurito. Momento di rabbia. Urlo, quasi urlo: ‘No’. E scappo via, senza voltarmi. Verso il treno. Salgo senza biglietto.

La stazione di Pioltello


Sale un ragazzo. Quasi elegante. Felpa e blu-jeans. Il treno parte e lui comincia ad andare avanti e indietro per il vagone. Io sono solo in uno spazio di otto posti. Mi sono rannicchiato lì. Il ragazzo passa e lascia un foglietto giallo. Chiede soldi. Oppure un buono pasto. Vi è scritto: ‘Vivo così’. Dico ancora una volta: ‘No’. Ma lui è già andata via e ha lasciato sulla poltroncina accanto alla mia, il suo foglietto. Mi sembra che mi scotti addosso. Mi alzo. Sto in piedi. Nel corridoio vicino alla porta. Lontano dal quel cartoncino giallo. Il ragazzo ripassa. In silenzio. Si riprende il biglietto. Lo guardo camminare nel vagone. Penso che ha dei bei jeans.

A Lambrate sale un uomo di sessanta anni. Piccolo, grasottello. Lo noto perché è in maglietta a maniche corte. Fa freddo là fuori e lui è in maglietta. Ha tre grandi borse, in falsa juta. Colorate. Una borsa celeste, una verde, l’altra azzurra. Spuntano fuori giornali, carte, una confezione da supermercato di carne grondante sangue, surgelati, scatole di biscotti. L’uomo poggia le borse per terra. Prende un giornale vecchio di venti giorni. Cerca gli occhiali in un borsetto, gadget di un operatore turistico. Occhiali vezzosi, moderni, color rosso vino. Comincia a sfogliare il giornale. Lascia cadere le pagine che sembrano non interessarlo. Guardo i fogli svolazzare nel vagone.  L’uomo scorre gli articoli, strappa delle pagine, non so se legga gli articoli. Non capisco cosa cerchi. Si ferma sulle pagine finanziare. Prende altri giornali. Fa la stessa operazione. Alla fina strappa una doppia pagina. Rimane con un solo foglio in mano. Lo piega con cura. Più volte. Alla fine se lo mette nel taschino della camicia. Siamo a Pioltello. L’uomo raccoglie le pagine che sono volate via. Le rimette, quasi accartocciate, nelle borse. Si prepara a scendere alla nuova stazione. Scende. Si ferma sulla banchina. Guarda il treno in partenza sul binario più vicino. Si avvicina, ma il treno parte. Rimane lì.

Penso che non ho fatto fotografie questa mattina.
Treviglio, 11 dicembre


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