Ibrahim |
Non ho mai visto una gazzella a Waideddu. Eppure questo
significa il nome di questa oasi di palme dum. Ho sempre dovuto andare in cerca delle
capanne che, dicono, vi si nascondano. Sta a Nord della piana di Dodom. E' la Dancalia della
polvere, del fango risecchito, delle piene improvvise del Saba River quando
piove in altopiano e del vento di Dio che soffia impietoso nei giorni della
primavera. Dodom è terra da evitare. Non c’è un vero orizzonte. Non c’è bellezza. Non
c’è gloria. Non c'è nemmeno un vera pista. Almeno noi e la gente dell'altopiano non vede le tracce invisibili che solo un afar riesce a scorgere. Pensi solo: per fortuna non sono nato qui. Eppure, la guardo come
si osserva un mistero.
Tutti gli esploratori che sono passati di qua, quasi
sorvolano con le loro parole sulla piana di Dodom. Come se volessero
dimenticare quei giorni. Ricordano solo la fatica e la sete che non può essere
placata. Sono sbruffoni e allora parlano della ‘lussuria del rischio’.
Ibrahim ha l’aria del capo. Barba arrossata dall’hennè. Se
ne fa beffe dei nostri pensieri. Da un po’ di tempo, i bianchi si accampano a
Waideddu. E lui viene a vedere. Dicono che qui vi siano duemila abitanti. Io
fatico a trovare poche capanne isolate. E non ho domande da fare a Ibrahim.
Come se la piana di Dodom mi avesse disseccato le parole. Eppure ci guardiamo a
lungo. Sì, non ho voglia di sapere. Mi basta una foto. Per essere certo che
questa piana esista davvero. Che ci sia gente che qui vive. Scambio solo il
nome con l’uomo che è apparso.
In realtà incontro Ibrahim quasi ogni anno. Ora so che i nomadi (seminomadi afar) della Dancalia sono ben stanziali. Li ritrovo sempre. Nel solito posto.
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