Mohammed |
C’è un bar in mezzo alla Piana del Sale, accecante deserto
dell’estremo Nord della Dancalia. Offre tè e caffè alla fatica degli uomini che
cavano il sale. E’ accerchiato dall’indifferenza dei dromedari. E arroventato
da un sole impietoso.
Ogni mattina due grandi teiere, una pentola e qualche tazza
di plastica sono caricate sopra un asino. Quasi dieci chilometri fra Hamed Ela, remoto
villaggio dei cavatori del sale, e la cava dove si estrae il sole rompendo la
crosta di questo antico mare scomparso.
Ogni volta ho preso il tè in questo bar. Mi sono accucciato fra gli uomini che inzuppano borgutta, il pane del viaggio, nel liquido nerastro e succhiano, con rumore, il caffè. Una trincea di
blocchi di sale protegge dal vento il fuoco sul quale bolle l’acqua. Ho sempre
incontrato un uomo senza capelli a gestire questo locale senza pareti.
Quest’anno c’era un ragazzo. Mohammed ha venti anni ed è nato a Hamed Ela. ‘Non
c’è altro lavoro qua’, mi dice. Racconta che è stata creata un’associazione per questo bar. ‘Voglio
studiare chimica’, dice ancora. E io lo guardo come se osservassi un marziano. Pantaloni mimetici, maglietta nera e un sciarpetta attorno al collo. E' bello, Mohammed. E' giovane. Attorno
vedo solo il lavoro disperato di chi solleva una crosta salina e poi la
intaglia per una manciata di birr. ‘Sono arrivato alla decima, ma non ho
ottenuto il punteggio sufficienti per entrare nei corsi preparatori dell’università.
Sono tornato qui’. Mohammed cerca di guadagnare i soldi per partire nuovamente.
Non li guadagnerà con il tè. A sera, al ritorno da una giornata sotto il sole,
mi dirà: ‘In sei anni riuscirò a comprarmi un asino’. In questo bar, il tè, per i bianchi, costa 5 birr. Venti centesimi di euro.
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