‘Il Ponte Vecchio’, lo
Stari Most. Più semplicemente, per la gente degli antichi quartieri: ‘il
Vecchio’. Come un padre o un amico. Quel ponte così audace, progetto coraggioso
dell’architetto turco Hajrudin ai tempi di Solimano in Magnifico (1556), aveva
dato il nome alla città che, pietra dopo pietra, vi è sorta attorno. Mostar
significa Guardiano del ponte. Muratori e scalpellini di Dubrovnik avevano reso
possibile il capolavoro di Hajrudin. Erano stati capaci di costruire uno
straordinario equilibrio aereo (a trenta metri di altezza!) sulle acque della
Neretva. Usarono la pietra tenelija, bianca, tenera e lucente: proveniva dalle
cave di Nevesinje. Ponte multietnico, dunque: progettato da un geniale
architetto turco, costruito da esperti manovali croati con pietre di terre
serbe.
Raccontano che
Hajrudin non ebbe il coraggio di assistere all’inaugurazione del ponte. Temeva
che una volta tolto l’ultimo sostegno il ponte sarebbe crollato. Non accadde, e
l’arco a sesto acuto (a schiena d’asino) volò, con straordinaria bellezza, fra
le due sponde della Neretva.
I ragazzi di Mostar
capirono subito che quel ponte poteva diventare il teatro di imprese folli e
memorabili: appena il tempo di smantellare il cantiere della costruzione e cominciarono
a gettarsi dalle sue spallette, un tuffo a capofitto, il balzo impressionante di
una ‘rondine’. Sotto l’arco del Vecchio, in estate, l’acqua non è profonda più
di quattro metri e bisogna arrivarvi con
una sorta di planata, un angolo di 45
gradi. Come fa una rondine quando sfiora le acque per dissetarsi.
Il Vecchio Ponte venne
abbattuto, a cannonate, in un brutto giorno di novembre del 1993. Ma i ponti, a
volte, rinascono. Sono più forti della guerra e della stoltezza degli uomini.
L’Unesco, per sette anni, ha guidato la ricostruzione dello Stari Most. Il 23
luglio del 2004, vigilia del giorno ‘ufficiale’ delle gare dei tuffi dal ponte,
il Vecchio univa nuovamente le due sponde della Neretva.
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