Il cuoco andava di corsa. Ma era molto simpatico. Mi piace lo stecchino in bocca |
Cielo grigio topo su Torino. Primo giorno dell’inverno. Un
venerdì. In bus sono spuntati giacconi e sciarpe. La pioggia è fastidiosa.
Vado al Salone del Gusto. Per la prima volta. Guardo i
titoli della Stampa: notizia da locandina, 27mila persone, il giorno prima, hanno già varcato i
cancelli della fiera biennale di SlowFood. Posso già dirvi: a domenica saranno
quasi 200mila. Un’intera città.
Con gli ombrelli, centinaia di persone stanno in fila
davanti al Lingotto. So che qui, un tempo, si costruiva la Fiat 1100. Fabbrica fino al 1982. La guardo con quale
emozione.
Giorno di SlowFood per le scuole. I ragazzi si accalcano
sotto la pioggia.
Dribblo le code (e i venti euro del biglietto di ingresso)
con un accredito stampa. Non mi sento colpevole: ho davvero intenzione di
scrivere. Sugli africani presenti in fiera.
Piove sul Lingotto |
Ci si intasa in ingresso |
SlowFood, lo sapevo già, non è per niente slow. E’ fast. Molto fast. Sicuramente troppo fast per me. Vorrei dirgli:
rallentate, per favore. Dimostratemi che è possibile ‘andare piano’.
Sala stampa. Cartella stampa racchiusa in una chiavetta da 2
giga.
Cibo gratuito per giornalisti. Saletta riservata. Trionfo di
Apple: la mela morsicata, amata da Matteo Renzi, è simbolo di ‘modernità’. Roba
da comunità progressista. (Io sto scrivendo su un Mac). Ottimi vini. Finger
food. Niente fuori posto. Mi gusto un microprivilegio da giornalista. Ho un
pregiudizio: i cameramen mi sembrano i più interessati al buffet.
Accredito giornalisti. Trionfo di Mac. Leggo che ci sono stati 'spiacevoli incidenti'. Già, chi è giornalista oggi? |
Ristoro per giornalisti |
Un piccolo esercito di volontari sbarra i vari accessi e
sorveglia che non si siano ingressi abusivi dove non si deve andare.
I comunicati stampa insistono sulla quantità. Le parole, a volte, sono davvero acqua: si spiega che la
qualità è più importante, ma poi bisogna pur dire che ci sono mille espositori,
duecento presidi italiani, 400 comunità internazionali del cibo. In un giorno,
al giovedì, conto duecento e ventidue ‘eventi’. Mi arrendo. Mi sono già
smarrito. Non so dove andare. Mi salva avere un appuntamento con delegazioni
africane.
Cipolle extra-size |
Assaggi a occhi chiusi |
Camminiamo tutti a passo di marcia. Ho la sensazione che si
salti di stand in stand. Mi chiedo quando sia costato uno spazio nella fiera.
SlowFood previene ogni moralismo: il marchio Salone del Gusto vale 2,35 milioni
di euro e genera ‘ricadute sul territorio’ per 40 milioni di euro. Poi i giornali raddoppiano: affari per 80 milioni attorno alla fiera di SlowFood. Onore al merito.
Ho in mente qualche nome per il prossimo governo dell’economia. (ps: un taxista va più cauto: abbiamo fatto meno viaggi. Spero che sia merito della metropolitana).
Cibo per delegati di Terra Madre. Sala pranzo |
Aggiriamo le regole. Con gli africani, vorremmo andare a
pranzo nella grande ‘mensa’ dei delegati. Un anziano (la mia età) volontario
non mi fa entrare. Io ho un accredito da giornalista, non sono un ‘delegato’. Lui
ha avuto disposizioni precise e c’è anche un secondo sbarramento da superare.
Anche le fiere più libertarie creano divieti. Jane, di fronte al volontario, mi
dà il suo passi da delegata. Io mi
tolgo il mio da giornalista. Così il volontario è soddisfatto. Regola
rispettata. Entro nella mensa come Jane. Tre minuti dopo Jane ha rimediato un
altro passi. Adesso lei è Beatrice. Solving
problem. Gli africani dell’Equatore sono vestiti come se andassero a
sciare. Io mi tolgo il golf. Lasagne e zucchine. Buone le crostate.
Yogurt del Kenya |
Mi aggiro per l’Africa. La delegazione del Kenya è composta
da trentadue persone. Trovo i libici. Hanno il copricapo rosso dei cirenaici.
Offrono datteri. Vengono da Jalo e da Jufrah. Il vecchio mi dice: ‘Gheddafi ha
ucciso mio figlio. Ora siamo liberi’. Assaggio datteri deglat, quelli zuccherini. Prendo un libretto sui datteri. Progetto
editoriale della cooperazione italiana. Progetto dei tempi di Gheddafi. Va bene
anche per i governi provvisori. L’uomo di al-Jufrah mi dice che posso andare
fino all’oasi. Con un accortezza: viaggiare di giorno.
Datteri di Jalo |
Donna di al-Jufra |
Tinbktu. Timbuctu. Timbouctou |
Allo stand di Timbuctu ci sono donne spaesate. Hanno piccoli
sacchetti con la loro pasta. Non oso chiedere chi comanda nella loro città. Come
riferimento danno un numero di telefono della città sahariana.
Poi ci sono sette produttori di miele dall’Etiopia. Una
donna del Sud siede su una sedia come una regina. Non si muove per ore e
stringe la sua borsetta. Si mette in posa per la mia fotografia. Non riesco a
farle nessuna domanda. Osservo le foto dell’orto in permacultura del Taitu
Hotel ad Addis Abeba. Conosco bene quell’albergo. E’ uno dei luoghi che amo
nella capitale dell’Etiopia. Mi incuriosisco per lo yogurt dei pokot e per il
sale di un paese del Marocco.
Miele d'Etiopia |
L'orto africano |
Devo mandare questa foto ad Awasa |
Ecco, loro sanno rallentare, farsi l'hennè a SlowFood |
Passo del tempo di fronte allo stand dell’Erzegovina. C’è il
nostro libro in vendita. Quello sui contadini della Bosnia. Viene venduto. Lo compra anche Jane. La versione in
inglese. Ogni stand sembra preso d’assalto. Frenesia di acquisti, fila davanti all'unico bancomat. Vista con occhio maligno mi appare come uno shopping compulsivo.
Ci sono volontari che spiegano davanti agli stand internazionali quando
chi è arrivato dalla Bosnia o dall’Etiopia non riesce a raccontare. SlowFood è
una macchina imponente.
Fare la pasta con le cuffie |
Lintizza, ducizza.... |
Devo andare via. Fuori piove da giorno di novembre. Una
cuoca-attrice recita ‘il fare la pasta’. Tutto avviene open space. Il frastuono è quasi insopportabile. Niente è lasciato
al caso. Agli spettatori che vogliono fare la pasta vengono date delle cuffie.
Anche la cuoca-attrice ha cuffie e microfono. Lei parla per loro. Che, per
venti minuti, vivono in un altro universo. Mi appare irreale.
Non invidio un produttore di morellino di Scansano che, allo
stand della Coop, deve raccontare del suo vino in mezzo a un tumulto di persone
in transito. Per fortuna girano i calici del vino.
Leggo: lentezza e dolcezza su una parte di legno dello
stand della Sicilia. Mi guardo attorno. Cerco la lentezza e la dolcezza. Forse
non ho lo spirito giusto. Ho voglia di una sagra di paese.
Ascolta le parole al telefono di un tipo che se ne sta
immobile davanti a me. Dice: ‘E’ una festa proletaria. Una roba di sinistra’.
Lo guardo con un sobbalzo. Mi giro e ho voglia di dirgli qualcosa. Lui fa tre
passi veloci in avanti e svanisce in mezzo ad altre cento persone.
Torino, 26 ottobre
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