La sedia rossa di Internazionale |
Vado
a Ferrara per il Festival di Internazionale.
La
rivista è un miracolo. E’ la prova di
carta che ‘si può fare’. Cento e passa pagine settimanali che si occupano del
mondo.
A
Ferrara arrivano i ragazzi. Affollano
la platea del Teatro Comunale e del cinema Apollo. Fanno lunghe file, si
assoggettano al complicato sistema dei ‘tagliandi', per entrare a sentire un
incontro sul Rwanda o su Al Qaeda. Penso ai direttori che liquidano queste storie come 'poco interessanti'. Lo scorso anno, dicono ‘quelli’ di
Internazionale, sono venute oltre sessantamila persone. Sì, Internazionale è un
miracolo. Chi sono questi ragazzi che arrivano a Ferrara? Dove sono tutto l’anno? Cosa fanno? Da dove vengono?
La coda per entrare al Teatro Comunale |
Ferrara |
Io
parto dalla Valsugana. Una volta tanto, un treno lento. Ben tre treni
regionali. Ho tempo di leggere. Piacere negato dalle Frecce Rosse. In viaggio studenti, uomini e donne della provincia, donne arabe con
il velo, africani, donne nere con carrozzina, cinesi che scattano foto, cinesi
solitari con occhi da sfinge, ragazzi arabi con la faccia stanchissima, giovani
tedeschi in Erasmus a Padova. L’Italia e gli italieni. A Castelfranco Veneto salgono ragazzi che vengono a
Ferrara.
Conosco
le strade di Ferrara. Sono già stato al festival. Mi piace questa città. Il sole benedice anche quest’anno il Festival. Biciclette
attorno al Castello. Corteo di ragazzi fra la stazione e il centro. Si sta bene a Ferrara.
Distribuzione cuffie al cinema Apollo |
Ufficio
stampa. Accredito. Quest’anno per Nigrizia. Un po’ vero, un po’ falso. Davanti
a me Giuseppe Laterza. Il ragazzo che controlla gli accrediti, gli chiede: ‘Quale testata?’. E lui
risponde: ‘Laterza’.
Fotografi |
Il distributore di mele |
In
piazza, ragazze chine sul Mac (alla faccia dell’altermondialismo: Mac è icona
di contemporaneità e di moderno schiavismo,
di bellezza e di ferocia, di un mondo connesso e di recinti impenetrabili. Io
ho un Mac). Le code davanti al Teatro Comunale e al cinema Apollo si allungano.
Meccanismi di tagliandi per entrare ad ascoltare storie dalla Siria o dal
Mediterraneo, dal mondo di Twitter o dal Messico dei narcos. Un ragazzo dello
staff offre mele. Ne prendo una. Dribblo la coda grazie all’accredito. E mi
metto in prima fila a fare foto.
John Lee Anderson |
John
Lee Anderson del New Yorker: ‘La Siria è la tempesta perfetta. E’ una tragedia
immensa. Questo paese non sarà più lo stesso. E’ uno scenario che mette i
brividi’. Salam Kawakibi è di Aleppo, vive a Parigi: ‘La gente si sente
abbandonata. Quale è la linea rossa che Assad non può valicare prima di essere
fermato: centomila morti? Di più. O, per l’Occidente, conta solo la sicurezza
di Israele?’.
Manal |
Ghada |
Gamila |
Azadeh |
Poi,
si cambia platea. Cinema Apollo. Le donne del mondo arabo e iraniano. Le donne
che non vogliono tornare nel chiuso ‘dei loro appartamenti’. ‘Abbiamo aperto
una finestra, non sarà richiusa. Siamo nel cammino’, dice la giornalista
egiziana Gameela. Ha occhi bellissimi, Ghada, attivista siriana: ‘Non riesco a
dormire a Ferrara, ad Hama si dorme con le bombe’. Manal, giovane saudita,
sfidò il regime più conservatore del pianeta perché voleva guidare
un’automobile. Venne arrestata per questo: ‘E’ stata una piccola storia
personale’. Ma ha scosso dal profondo le fondamenta di una monarchia chiusa in
sé stessa. Manal, oggi, vive a Dubai. Penso: ci vuole ironia per vivere e lanciare sfide impossibili. ‘I giovani, le ragazze, sono la
resistenza quotidiana in Iran. Saranno perseguitati, ma non possono essere
sconfitti’, ricorda Azadeh, giornalista iraniana nata in California.
Hanno
ragione le donne di questo mondo arabo e iraniano? E le altre, quelle che a
Ferrara non verranno mai? A guardare gli occhi di queste donne, sì, nessuno
potrà rinchiuderle nuovamente fra le mura delle case-prigioni. Ghada chiede
denaro. In molti, alla fine dell’incontro, le vanno incontro e le mettono
venti, cinquanta euro nelle mani. Lei porta la sua mano al cuore. Come Manal.
Philip |
Poi
ancora ad ascoltare le parole di chi ha raccontato il genocidio in Rwanda.
Philip Gourevitch, giornalista statunitense: ‘Le uccisioni hanno avuto
intimità. Si ammazzava il vecchio amico, il vicino di casa, il parrocchiano’.
Silenzio in platea. ‘Il motore è stato il potere. Si diceva a un poveraccio che
aveva licenza di fare. Che poteva
beneficiare dal suo omicidio: era convinto di uccidere per una causa, ne era purificato e c’era una ricompensa. Il
premio era una capra, una donna da stuprare, un campo. Tutto è stato veloce. Tutto è accaduto in fretta ’. In Rwanda sono state uccise,
con un machete (senza tecnologia),
cinque persone al minuto durante cento giorni. Quanti minuti ci sono in un
giorno? E questo è successo nel paese più cristianizzato dell’Africa. Ho sentito i parrocchiani fiorentini di Athanase Seromba, prete rwandese, rimpiangere quel parroco arrivato dall'Africa. Seromba, secondo i giudici di Arusha, aveva fatto abbattere dall'artiglieria la sua chiesa. Vi avevano trovato rifugio duemila tutsi. Sta scontando un ergastolo in una prigione del Benin.
I ragazzi di Internazionale |
Poi
si esce per strada. Notte. Si incontrano amici, ci si cerca con i cellulari ma
come si faceva prima? Prima,
quando?). C’è la bellezza di Ferrara. I poeti cubani che improvvisano nella
piazza del Castello. I ragazzi davanti ai locali a bere birra artigianale. Si fa tardi. Ci dicono di parlare a bassa voce.
C’è
ancora una stanza libera nella pensione Artisti. Gestita da una donna serba, nata a Sarajevo. Una sua amica croata è venuta a trovarla. Internazionale non c'entra nulla, ma anche questa amicizia mi appare un miracolo. 'Qui ogni tanto ricostruiamo la vecchia Jugoslavia', mi dice la donna. Forse è Ferrara che fa piccoli miracoli.
Ferrara, 6 ottobre
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