sabato 6 ottobre 2012

La poltrona rossa di Internazionale


La sedia rossa di Internazionale


Vado a Ferrara per il Festival di Internazionale.
La rivista è un miracolo. E’ la prova di carta che ‘si può fare’. Cento e passa pagine settimanali che si occupano del mondo.
A Ferrara arrivano i ragazzi. Affollano la platea del Teatro Comunale e del cinema Apollo. Fanno lunghe file, si assoggettano al complicato sistema dei ‘tagliandi', per entrare a sentire un incontro sul Rwanda o su Al Qaeda. Penso ai direttori che liquidano queste storie come 'poco interessanti'. Lo scorso anno, dicono ‘quelli’ di Internazionale, sono venute oltre sessantamila persone. Sì, Internazionale è un miracolo. Chi sono questi ragazzi che arrivano a Ferrara? Dove sono tutto l’anno? Cosa fanno? Da dove vengono?

La coda per entrare al Teatro Comunale

Ferrara

Io parto dalla Valsugana. Una volta tanto, un treno lento. Ben tre treni regionali. Ho tempo di leggere. Piacere negato dalle Frecce Rosse. In viaggio studenti, uomini e donne della provincia, donne arabe con il velo, africani, donne nere con carrozzina, cinesi che scattano foto, cinesi solitari con occhi da sfinge, ragazzi arabi con la faccia stanchissima, giovani tedeschi in Erasmus a Padova. L’Italia e gli italieni. A Castelfranco Veneto salgono ragazzi che vengono a Ferrara.

Conosco le strade di Ferrara. Sono già stato al festival. Mi piace questa città. Il sole benedice anche quest’anno il Festival. Biciclette attorno al Castello. Corteo di ragazzi fra la stazione e il centro. Si sta bene a Ferrara.

Distribuzione cuffie al cinema Apollo


Ufficio stampa. Accredito. Quest’anno per Nigrizia. Un po’ vero, un po’ falso. Davanti a me Giuseppe Laterza. Il ragazzo che controlla gli accrediti, gli chiede: ‘Quale testata?’. E lui risponde: ‘Laterza’.

Fotografi
Il distributore di mele

In piazza, ragazze chine sul Mac (alla faccia dell’altermondialismo: Mac è icona di contemporaneità e di moderno schiavismo, di bellezza e di ferocia, di un mondo connesso e di recinti impenetrabili. Io ho un Mac). Le code davanti al Teatro Comunale e al cinema Apollo si allungano. Meccanismi di tagliandi per entrare ad ascoltare storie dalla Siria o dal Mediterraneo, dal mondo di Twitter o dal Messico dei narcos. Un ragazzo dello staff offre mele. Ne prendo una. Dribblo la coda grazie all’accredito. E mi metto in prima fila a fare foto.

John Lee Anderson


John Lee Anderson del New Yorker: ‘La Siria è la tempesta perfetta. E’ una tragedia immensa. Questo paese non sarà più lo stesso. E’ uno scenario che mette i brividi’. Salam Kawakibi è di Aleppo, vive a Parigi: ‘La gente si sente abbandonata. Quale è la linea rossa che Assad non può valicare prima di essere fermato: centomila morti? Di più. O, per l’Occidente, conta solo la sicurezza di Israele?’.


Manal

Ghada

Gamila

Azadeh


Poi, si cambia platea. Cinema Apollo. Le donne del mondo arabo e iraniano. Le donne che non vogliono tornare nel chiuso ‘dei loro appartamenti’. ‘Abbiamo aperto una finestra, non sarà richiusa. Siamo nel cammino’, dice la giornalista egiziana Gameela. Ha occhi bellissimi, Ghada, attivista siriana: ‘Non riesco a dormire a Ferrara, ad Hama si dorme con le bombe’. Manal, giovane saudita, sfidò il regime più conservatore del pianeta perché voleva guidare un’automobile. Venne arrestata per questo: ‘E’ stata una piccola storia personale’. Ma ha scosso dal profondo le fondamenta di una monarchia chiusa in sé stessa. Manal, oggi, vive a Dubai. Penso: ci vuole ironia per vivere e lanciare sfide impossibili. ‘I giovani, le ragazze, sono la resistenza quotidiana in Iran. Saranno perseguitati, ma non possono essere sconfitti’, ricorda Azadeh, giornalista iraniana nata in California.
Hanno ragione le donne di questo mondo arabo e iraniano? E le altre, quelle che a Ferrara non verranno mai? A guardare gli occhi di queste donne, sì, nessuno potrà rinchiuderle nuovamente fra le mura delle case-prigioni. Ghada chiede denaro. In molti, alla fine dell’incontro, le vanno incontro e le mettono venti, cinquanta euro nelle mani. Lei porta la sua mano al cuore. Come Manal.

Philip


Poi ancora ad ascoltare le parole di chi ha raccontato il genocidio in Rwanda. Philip Gourevitch, giornalista statunitense: ‘Le uccisioni hanno avuto intimità. Si ammazzava il vecchio amico, il vicino di casa, il parrocchiano’. Silenzio in platea. ‘Il motore è stato il potere. Si diceva a un poveraccio che aveva licenza di fare. Che poteva beneficiare dal suo omicidio: era convinto di uccidere per una causa, ne era purificato e c’era una ricompensa. Il premio era una capra, una donna da stuprare, un campo. Tutto è stato veloce. Tutto è accaduto in fretta ’. In Rwanda sono state uccise, con un machete (senza tecnologia), cinque persone al minuto durante cento giorni. Quanti minuti ci sono in un giorno? E questo è successo nel paese più cristianizzato dell’Africa. Ho sentito i parrocchiani fiorentini di Athanase Seromba, prete rwandese, rimpiangere quel parroco arrivato dall'Africa. Seromba, secondo i giudici di Arusha, aveva fatto abbattere dall'artiglieria la sua chiesa. Vi avevano trovato rifugio duemila tutsi. Sta scontando un ergastolo in una prigione del Benin. 

I ragazzi di Internazionale


Poi si esce per strada. Notte. Si incontrano amici, ci si cerca con i cellulari ma come si faceva prima? Prima, quando?). C’è la bellezza di Ferrara. I poeti cubani che improvvisano nella piazza del Castello. I ragazzi davanti ai locali a bere birra artigianale. Si fa tardi. Ci dicono di parlare a bassa voce. 

C’è ancora una stanza libera nella pensione Artisti. Gestita da una donna serba, nata a Sarajevo. Una sua amica croata è venuta a trovarla. Internazionale non c'entra nulla, ma anche questa amicizia mi appare un miracolo. 'Qui ogni tanto ricostruiamo la vecchia Jugoslavia', mi dice la donna. Forse è Ferrara che fa piccoli miracoli.
Ferrara, 6 ottobre

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