Metto in fila solo notizie (trafiletti che riempiono le
pagine, in realtà) apparse sui giornali.
L’undici di agosto, il presidente egiziano Mohamad Morsy,
uomo dei Fratelli Musulmani, riceve l’Emiro del Qatar Hamad bin Khalifa
al-Thani. Il nuovo, vero protagonista degli equilibri mediorientali e mediterranei,
un musulmano wahabita, se ne va dopo aver promesso di lasciare nei forzieri
della Banca Centrale egiziana due miliardi di dollari. ‘Per rafforzare
l’economia’, spiega l’Emiro.
I qatarini non devono mai riposare: i banchieri della Qatar
National Bank stanno trattando l’acquisto della filiale egiziana della Sociètè
Generale francese, seconda banca privata del Cairo. Comprarla tutta costa 2,8
miliardi di dollari. Doha ne vuole appena il 77%.
A fine agosto, l’instancabile Morsy vola a Pechino con
ottanta uomini di affari. Se ne torna a casa con un’altra promessa. La Cina
investirà tre miliardi di dollari nei prossimi due anni in business egiziani.
Gli Stati Uniti, alleati storici e privilegiati dell’Egitto, si prendono
paura. Si affrettano a promettere la cancellazione di un debito per un miliardo
di dollari. Come parte di un pacchetto di aiuti ‘per rafforzare la democrazia’ (sono meno diretti dei qatarini).
In più Washington preme sul Fondo Monetario Internazionale perché acceleri le
pratiche per aprire un credito da 4,8 miliardi di dollari al governo dei
Fratelli Musulmani (altre fonti dicono che i miliardi sono 3,2).
I sauditi ci fanno la figura dei parenti poveri. A giugno si
erano limitati a versare nelle casseforti egiziane appena 430 milioni di
dollari.
Non voglio fare le somme. E’ che questo accade in un paese
dove solo il 10% della popolazione ha un conto corrente.
Matera, 5 settembre
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