Angelicchio Chico |
Attorno al piccolo tavolo, ci sono le ceramiche di Peppino.
Il laboratorio dell’artigiano materano è un buon posto per incontrare
Angelicchio. 85 anni. Piccolo e magro. Dalla memoria formidabile. Ebanista. Non è un semplice falegname,
Angelicchio. Ha costruito, per tutta la vita, mobili. Ha fabbricato porte,
cassoni per il grano, bare. ‘Il falegname mette chiodi, un ebanista sa lavorare
il legno’, mi spiegano. Angelicchio è una delle storie invisibili della grande
Festa della Bruna, la Festa di Matera. Dal 1952 allo scorso anno, ha costruito
gli scheletri dei Carri Trionfali che, durante oltre mezzo secolo, hanno
trasportato la Madonna della Bruna nella processione finale del 2 di luglio. Carri
destinati alla distruzione rituale nella piazza centrale della città. Solo fra
il 1961 e il 1969, Angelicchio passò la mano. Tira le somme l’ebanista: ha
fabbricato lo scheletro di ben quarantanove carri. Per quaranta ha lavorato in
solitudine. Negli ultimi anni, ha aiutato Eustacchio. Anche quest’anno, i nuovi
costruttori, i Daddiego, hanno chiesto consigli al vecchio architetto delle
‘architravi’ del carro. ‘E’ sempre stato un orgoglio lavorare al Carro’, dice
Angelicchio.
Angelicchio |
Gli ebanisti del Carro Trionfale sono personaggi
sconosciuti. La gloria pubblica è dei cartapestai che ne costruiscono la
meraviglia barocca. Ma senza questi falegnami il Carro non esisterebbe.
Aveva 24 anni, Angelicchio, nel 1952. Fu un cartapestaio
celebre, Ciccillo Pentasuglia, a
chiedere la sua collaborazione. ‘Ma si era sbagliato. Credeva che avessi
esperienza – ricorda – Non era così. Non sapevo niente del Carro’. ‘Te la
senti?’, insistette Pentasuglia. ‘Me la sento di lavorare’, rispose il giovane.
Ammette: ‘Quell’anno feci più che altro il garzone. L’anno successivo, lavorai
da solo. Pentasuglia veniva a vedere e annuiva in silenzio’.
Il tavolo attorno al quale parliamo si affolla. Il Carro
Trionfale è storia seria a Matera. Ognuno mette passione nelle sue domande.
Il Carro viene distrutto dalla folla nella notte del 2
luglio. Si salva soltanto lo chassis e l’ossatura.
‘Quando cominciai, il Carro aveva le ruote di legno. I semiasse erano di
leccio. La sua ossatura era vecchissima. Ogni anno la lavavamo con la calce
bianca. Nel 1956 fu deciso di cambiare. In Puglia comprammo lo chassis di un
camion Calabrese. Togliemmo le gomme dai cerchioni’. Perché la gente di Matera
vuole sentire il carro arrivare, vuole il fragore metallico delle ruote di
ferro sulle chianche, le pietre
bianche del Piano dei Sassi. La Festa della Bruna sono anche i suoi suoni, i
suoi rumori, le sue grida.
Il carro trionfale |
A metà marzo, Angelicchio prendeva un mese di ferie. Ogni
giorno si alzava alle quattro del mattino. Andava a piedi lungo la strada di
campagna che, allora, collegava i Sassi al cantiere alle spalle della vecchia
chiesa di Piccianello. ‘Ho sempre avuto qualche guaio di salute – ricorda
l’ebanista – Ma a marzo stavo benissimo. In perfetta forma. ‘Maestro, ha
ripreso colore’, mi dicevano’. Nel 1972 capitò che si cominciasse a lavorare a
maggio. Fu una corsa contro il tempo. Quattro settimane per costruire lo
scheletro, le torri, i pilastri, i sostegni dei bassorilievi e il meccanismo
meccanico che alza e abbassava la statua della Madonna. A quel tempo, i
lampioni della città erano sostenuti da cavi. Erano necessarie tre persone (due
manovali e un frenatore) per azionare il rullo che consentiva alla Madonna di
salire e scendere ogni volta che un cavo elettrico si avvicinava.
La 'terra' di Matera |
‘Riandavo al Carro quando il lavoro dei cartapestai era
quasi finito. C’era da sostenere i pupazzi’. Erano le grandi statue di queste
presepe viaggiante. ‘Il carro doveva essere largo al massimo due metri e
ottanta. L’arco che conduceva alla piazza della cattedrale era tre metri e
venti’. Bisognava essere artigiani certosini. L’urbanistica dei Sassi dettava
le misure del Carro. Rimanevano appena venti centimetri per lato. L’auriga tratteneva
il fiato quando si avvicinava l’arco della cattedrale. E le torri del
Carro non potevano essere più alte di quattro metri e mezzo.
I cieli sopra Matera |
Nel 1996, alla vigilia della Festa, per un brutta storia di
pizzi (Matera si rifiutò di pagare la protezione del Carro. La malavita
pretendeva 24 milioni di lire), il Carro stesso venne bruciato. In tre giorni
Angelicchio e i cartapestai riuscirono a far sì che potesse intraprendere
comunque il suo viaggio.
Ha visto cambiare le tecniche della cartapesta, Angelicchio.
‘Quattro cambiamenti di lavorazione per i rivestimenti’, dice. Negli anni ’50,
Pentasuglia utilizzava la carta dei sacchi di cemento. Solo negli anni ’70
cominciò a essere usata la carta di giornale. ‘Solo le pagine della Gazzetta
del Mezzogiorno. Quelle del Corriere della Sera non funzionavano’, spiega. Poi
vennero i tempi del cartoncino e del cartongesso per coprire le intelaiature. I
materiali del cartapestaio, da alcuni anni, condizionano il lavoro
dell’ebanista. Cambiano le colle: ‘Quelle di farina fanno venire i vermi dopo
un po’ di tempo’.
‘C’era un ultimo compenso per l’ebanista – ricorda
Angelicchio – all’auriga spetta di diritto il rostro del Carro. A noi spetta la
porta della torre dove sale la Madonna’.
Matera, 6 settembre
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