venerdì 25 aprile 2014

Cronache da Gerusalemme.16/Il rosario di Bethlehem

To exist is to resist

Al venerdì pomeriggio lascio Gerusalemme per Bethlehem. Vado a Betlemme, la ‘Città del Pane’. Mi incammino quando il sole comincia a calare sul cielo della Palestina. Ma già so che non potrò godere del tramonto. Dove sto andando l’orizzonte è chiuso dal Muro. Ho un appuntamento con un piccolo gruppo di uomini e donne. Mi aspettano poco oltre il check-point numero 300. Cammineremo assieme per cento metri. Per un rosario. I nostri passi sfioreranno la barriera di cemento armato alta otto metri che divide Bethlehem, terra di Palestina, dal resto del mondo. Oltre sessantamila palestinesi (dati della municipalità) non possono, se non a prezzo di fatica e batticuore, uscirne. Sono rinchiusi dietro un cerchio di lastre di cemento.

Suor Donatella

Alle cinque del pomeriggio passo il check-point 300. Gli israeliani lo chiamano ‘terminal’. Io sono straniero e non ho problemi. Ho fatto l’abitudine (e mi maledico per questo) ai fucili, ai cancelli, alle strettoie delle inferriate. Nella gabbia spuntano perfino venditori di souvenir e chewigum.
Tella mi aspetta al di là del check-point. Suor Donatella Lessio, 52 anni, sorella elisabettina, piccola, tosta, veneta, mi guida fino al piccolo gruppo di persone in attesa. Dieci anni fa, primo marzo del 2004, cominciò la costruzione del Muro (perché tutti ci ostiniamo a scriverlo con la maiuscola?) a Bethlehem. E da dieci anni, ogni venerdì, giorno santo dell’Islam, questa gente (pochi uomini e donne. A volte si unisce qualche musulmano) cammina e prega lungo il Muro. ‘Qualcosa dovevamo pur fare’, ricordano.
Camminano per cento metri. Dal varco del check-point fino a uno spigolo sbarrato dal filo spinato. I soldati oramai hanno fatto l’abitudine a questa piccola cerimonia: ora imbracciano il mitra e sembrano disinteressarsi di noi. Il Muro chiude il cielo di un convento di altre suore, accerchia una casa, incombe sul Baby Caritas Hospital (lì lavora suor Tella). In un angolo, sul cemento, un artista inglese ha disegnato una Madonna in attesa di un figlio. E’ una grande icona.  Tella mi spiega che quando il bambino nascerà il Muro crollerà. Siamo in attesa del Principe della Pace.

Il rosario
Il check point numero 300


La piccola processione di uomini e donne cammina sussurrando il rosario. Un ragazzo ha abiti eleganti e uno stemma della Palestina nel risvolto della giacca. Un grande murale ci fa compagnia: raffigura kefiah e mais, questa terra allacciata al Chiapas del sud-est messicano. Vi hanno scritto: ‘To exist is to resist’. Ho visto Tella indossare una maglietta con la stessa scritta. L’ho ascoltato più volte nei giorni di Palestina: ‘Stiamo qui. Questa è la nostra resistenza’.
Il Muro e la suora

Già, il tè invece della guerra

Le suore hanno contato le loro preghiere: ‘ In dieci anni abbiamo detto almeno 27mila AveMaria. E’ la nostra maniera di ribellarci, di lottare. E’ la sola arma che abbiamo. Vogliamo provare a stancare il Padreterno, vorremo che ci aiuti a ritrovare la pace nella città dove è nato suo figlio’.  I turisti e i pellegrini che passano, a volte senza nemmeno accorgersene, il check-point numero 300, dovrebbero dire il loro rosario davanti a questo Muro, dopo essersi inginocchiati nella chiesa della Natività.

La preghiera di fronte all'icona della Madonna in attesa


Un cammino lento. Si va avanti e indietro. Ci si stringe. Quasi un conforto. Alla fine ci si ferma davanti alla Madonna in attesa di un bambino. L’ultima preghiera. Poi il silenzio, un sorriso, darsi la mano, due parole. Un saluto. Il senso di una resistenza leggera e profonda. Capace di aprire una crepa nel Muro.

Tella ci invita per il tè.

Questa preghiera ostinata e sommessa è il sacro di Bethlehem.
Bethlehem, 28 febbraio



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