sabato 26 aprile 2014

Alessandria del Carretto/Il primo giorno della pita






‘La festa si deve fare. Facciamola’. Paolo non ha dubbi.
Nessuno, al paese, ne ha. Non chiedo perché fanno tutta questa fatica. ‘Si deve fare’.

La salita al bosco di Spinazzeto

La festa si è sempre fatta. Avrò modo di studiare, leggere, ascoltare le parole dotte degli antropologi. Ora è tempo di andare a tagliare l’albero. L’abete bianco. La pita. Sta in alto, oltre il crinale della montagna. Nel pendio che scivola verso le terre di Terranova del Pollino. Là è Lucania. Alleanza di paesi e regioni per la festa. Sul versante che guarda al mare non ci sono più questi grandi abeti. Il monte scende a pascoli. Credo che abbia nostalgia dei suoi alberi. Sono terre fragili, queste. In movimento. Frane fanno slittare costoni di rocce. La Calabria si sgretola. I pendii sono crepati da rivoli d’acqua. Le fiumare trasportano ciottoli verso il mare. Si sono aperte grandi valli come strade per precipitare in cerca di una spiaggia. La fiumara Saraceno è un colpo di rasoio attraverso le ultime montagne del Pollino.


L'arrampicata all'albero


L’albero è stato scelto in inverno. Uomini esperti lo hanno scelto. Chiedo, ma non riesco a capire chi davvero lo abbia indicato. Mentre saliamo questi stessi uomini guardano altre piante: già pensano all’anno prossimo. Nessuno mi dice della cima. So che sarà presa in un altro posto, ma non posso saperlo. Apparirà durante il viaggio dell’albero.  

Il taglio

Primo atto della Festa dell’Abete. Alessandria del Carretto, paese sul confine fra Calabria e Lucania. Da sempre, fra la fine di aprile e i primi di maggio, qui si taglia l'albero, poi con la forza delle sole braccia lo si trasporta fino in paese e lo si alza in uno slargo dei vicoli che vorrebbe essere piazza. Una cima, la punta di un altro abete, sarà innestata sul tronco. La festa è fatica, maestria di boscaioli, adrenalina di un giorno. Oggi dobbiamo salire in montagna. C’è da raggiungere il pendio di Spinazzeto. Là dove gli alberi ci provano a volare verso il cielo.

Si tira l'albero


Di fronte all’ostello Ambrosia, passano i pick-up. Il tempo di un caffè. Motoseghe e corde, tiranti e accette nei cassoni. E il cibo per la giornata. Alessandro ci fa salire. Oggi possiamo andare su in auto. Fino alla fontana. La primavera prova a essere tale con fiori che punteggiano i prati. Gli alberi, invece, ancora esitano con le loro foglie. Il sole promette di rendere più facile il lavoro. Soppressa e formaggi, vino in un solo bicchiere e baccelli prima di salire. Il fiato manca subito. Gli alberi non crescono in pianura. Salita ripida, gli uomini si appoggiano sul manico dell’accetta per riprendere fiato. Io mi aggrappo agli alberi per tirarmi su. Qui i ragazzi chiamano zi’ gli uomini più grandi. ‘In segno di rispetto’.


I lavori


Alla fine arriviamo. Ci si siede, si guarda l’albero. Appare altissimo. Arriva il vigile di Terranova. La forestale. Ci sono le regole. Stanno lì un po’, poi se ne vanno.
‘Vado’, dice un uomo. Ma lui non va via. Come il Barone Rampante, si arrampica sull’albero. Porta con un sé una corda. Strano, tutto è normale. Avviene secondo un ritmo di cui nessuno dà il tempo. Non c’è spettacolo. Qui si fa. L’uomo sale come un gatto, lega la corda al tronco poi la cala giù grazie al peso di una scure. A monte la corda viene agganciata a un martinetto, si usa un altro albero come gancio di sicurezza. Poi entrano in azione gli uomini con la motosega. L’albero deve cadere verso la salita. Non deve danneggiare l’altro abete. Deve cadere con lentezza. Il taglio appare come un lavoro di precisione. La pita non si oppone, non si ribella, non prova a resistere. Cade in silenzio. Senza fare fracasso. Azzardo: c’è un’aria da fiaba di montagna in questa caduta.

Beppino, il caporale

La pita è a terra e gli uomini le sono già addosso. Le accette tagliano via i rami più piccoli, le motoseghe sono rapide, gesti sicuri, i ragazzi ci provano, i vecchi hanno nostalgia e si danno da fare con la corteccia e i nodi. L’albero è spogliato della sua bellezza. Ne prende un’altra. Si trasforma. Suda resina. Le mani rimangono appiccicate. Le mie dita si incollano al bottone di scatto della macchina fotografica. Volano cortecce e segature. Ecco, zi’ Gatto che è fra i più esperti. Zi’ Antonio, zi’ Pasquale, zi’ Ciccio. Confondo i nomi. So che ognuno di loro ha la sua esperienza. In meno di un’ora l’albero è un tronco nudo. Risplende nel paesaggio della montagna.

La discesa

Sale un trattore. L’uomo ha abilità, sguardo del sapere, e una bandana a nascondere i capelli. I suoi cingoli slittano, saltano sul fango, aggrediscono il pendio. Il trattore ha una danza pesante. Toccherà a lui tirar giù l’albero. Comincio a conoscere gli uomini: ecco il sindaco, ecco Beppino, fa il caporale della pita dal 1985, porta sempre lo stesso cappello nero, sarà lui a guidare la discesa dell’albero verso il paese. Intanto il trattore fa il suo lavoro. Prudenze: la pita è pesante, bisogna dribblare altri alberi. Gli uomini hanno attenzione. Sono arrivati i ragazzi con la zampogna e i tamburelli. ‘C’è il suono’. Scendiamo. Sono stanchissimo.


Si preparano le tire

L’albero arriva alla radura dei lavori. Questo giornata è senza comandi. Sembra che nessuno diriga il lavoro. Gli uomini sanno quello che devono fare. Si preparano i fuochi, le braci, le griglie. Qui si mangerà. Ma intanto gli uomini squadrano il tronco, ancora pulizia. Via i nodi, gli attorcigliamenti del legno, i monconi dei rami. Lavoro quasi di fino. Automatismi della festa. Si preparano con pazienza le tire. Sono di pero selvatico o di cerro. Le spalle e le mani dovranno appoggiare la loro forza su questi bastoni. Ci saranno sette tire, mi spiegano. Più due davanti. Sarà fatica vera. Qualcuno ha già attorcigliato rami di prugnolo: saranno le corde che allacceranno il tronco alle tire. Scaldate sul fuoco, non si romperanno mai.

Il gancio

La musica

Il cibo

Si mangia. Novellame ‘illegale’ e buonissimo, sangue cotto, salami, formaggi freschi, frittate con i funghi, con i nuovi asparagi, baccelli, arrosti di agnello, peperoni, pasta al forno, olive. Un bendiddio. Vino asprigno e buono. Passo di tovaglia in tovaglia. Ogni foto, un dazio felice di offerta di cibo. Davvero, questa festa ha l’aria di casa. Gli uomini riprendono a lavorare. Con metodo. Con gesti attenti. Un filo di corda per segnare il punto in cui segare. Corta passata nel gesso, uno snap con la mano e rimane la linea. Trucchi da manovale. 

La pita

L’albero non potrà essere più lungo di diciotto metri altrimenti non gira in paese. I ragazzi provano con le motoseghe. Hanno capelli alla mohicana e piercing nelle guance. Provano il lavoro. Sperimentano le loro mani. I vecchi osservano. Imparerò che qui non si dice che sei vecchio, ma che sei grande. Gli uomini danno consigli. Sanno che il futuro della festa è nelle mani di questi ragazzi. Un colpo di coltello e ancora una costola di agnello. Si griglia di nuovo. Fino a quando il cielo non si fa di cobalto. Gli uomini caricano le macchine. Qualcuno scende a piedi. Un ultimo bicchiere di vino che passa di mano in mano. L’albero è lucido. Una creatura sdraiata sul prato. Cerca un riposo nelle ore del buio. Aspetta il giorno della festa. Sa che sarà il protagonista di una storia degli uomini di questa montagna.

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