Abraha |
‘Per quanto tempo rimarrai qua?’. L’uomo ci ha seguito in
silenzio. Fino alla porta della chiesa. Poi si è appoggiato al bastone. Il
gomito sul legno, la mano a sorreggere il viso che scivola fino alla fronte. Nelle
campagne di Etiopia gli uomini assomigliano a trampolieri. Incrociano le gambe,
stanno in piedi un po’ inclinati piantando bene il bastone per terra. Sono immobili.
Ha 56 anni, Abraha. Questa volta il suo volto mostra la sua
età. Faceva il contadino. Nella piana di Gheralta ha lasciato una capanna, una
moglie, alcuni figli, i campi da lavorare. Quattro anni fa ha deciso di salire
fino alla chiesa di Debre Tsion. E’ una delle più belle chiese rupestri del
Tigray, regione del Nord dell’Etiopia. Ci si arrampica per un’ora (passi da
occidentale) prima di raggiunge il balcone di roccia dove è stato scavata la
chiesa. Abraha ne è il guardiano. Ha scelto di essere il guardiano. 'E' volontario', mi dicono, ma sospetto che questa non sia la parola in tigrino.
Non so
perché Abraha, a un certo punto della sua vita, abbia fatto questa scelta. Non chiedo. ‘Ho deciso che fosse così’, mi traducono. Non ha un
salario. Come cibo solo la ‘njera, la focaccia acida di questi altopiani, con
sopra un po’ salsa. Nessuno, da queste parti, ne farebbe a meno. Dorme in loculo in muratura, un pagliericcio sopra un
rialzo del pavimento in terra. Una donna, una monaca, forse la vedova di un prete, macina le granaglie che i fedeli
portano fino alla chiesa e prepara l'impasto. Il prete sale solo alla domenica o quando ci sono
turisti da accompagnare. ‘Solo Dio sa quanto resterò qui’. E poi, senza che io
chieda, aggiunge: ‘Non sto cercando niente, ho deciso senza alcuna ragione. Se
cerchi qualcosa sei sulla strada sbagliata’. Vorrei essere sorpreso, mi domando perchè non mi stupisco di queste parole. Abraha, a volte, scende fino al
paese. Va a trovare moglie e figli. Poi risale.
Vorrei parlare la tua lingua. Non esiste possibilità di un
vero scambio di parole. Rimarrebbero comunque senza un sapere. Come ti dobbiamo
sembrare noi, stranieri, che saliamo qua per il piacere di farlo e paghiamo per
visitare la tua chiesa, paghiamo una guida, un autista, un prete e chi ci
sorveglia le scarpe? Non ti sei mosso di un metro da quando siamo arrivati.
Ti fotografo. Alla fine, come sempre, ce ne andiamo. Allora sposti la
mano, cambi il peso sul bastone, allunghi un poco le dita. Fai il gesto del
denaro. Non lascio un solo birr. E mi porto dietro un rimorso.
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