venerdì 20 dicembre 2013

Che Guevara a Vetulonia

L'antica via lastrica dell'antica Vetulonia

Due chiappe femminili, invadenti ed esagerate, troneggiano sulla copertina della rivista appesa appena oltre lo stipite della porta: è la prima istantanea che vedo di questo bar, ingombro di manifesti e storie. Faccio un passo indietro per guardare meglio. Poi, oltre la rassegna dei culi, c’è Ernesto Che Guevara in ogni angolo. Cartoline tinte di rosso, santini, icone, manifesti, foto celebri (quella di Renè Burri che ritrae un Guevara sfrontato con il sigaro in mano e gli occhi altezzosi): la bellezza del Che spunta da ogni parete del bar. C’è anche una rarissima foto di Fidel con Camilo Cienfuegos. Ritratti che spuntano da dietro al bancone come dalla parete della televisione. ‘Poi arriva Manuela e copre il sedere con un calendario di padre Pio’, sorride sornione Fosco. Manuela è la sua compagna.





Fosco


Manuela
Questo è un bar-edicola, minuscolo drugstore di paese. Una taverna-bazar, insomma. Si chiama ‘il Frantoio’. Sta sotto un arco, in via San Guglielmo, vicolo di Vetulonia. Appena cento e settanta abitanti se non conti la gente delle campagne. Paese della Maremma toscana, venti chilometri dal mare, celebre per le archeologie della più importante città etrusca: una gloria antica di duemila e trecento anni. Vetulonia, città del mistero, città scomparsa nel nulla per mille anni, è stata uno dei rebus più intriganti dell’archeologia ottocentesca. Oggi è un gruppo di case in cima a uno dei colli più belli della Toscana meridionale. Ed el Che contende il cuore dei vetuloniesi a Isidoro Falchi, l’erudito dalla folta barba che riportò alla luce la città etrusca. Non c’è sfida, il vecchio Isidoro può ben poco contro il fascino di Guevara. Ernesto è ovunque in questo paese. Perfino sul braccio del cubano, gestore di un altro bar di Vetulonia. Il cubano è chiamato così per il suo andirivieni con l’isola caraibica. ‘Solo che è di destra’, mi dicono in piazza. Ma l’icona di Guevara, oramai, ha travalicato ogni confine. Al rivoluzionario inquieto è toccato il destino di diventare il gadget più venduto del ‘900. Strano, inevitabile destino.

La foto di Renè Burri

Il bar del Frantoio è adatto per confondersi le idee, per scrollarsi di dosso integralismi, per passare un’ora allegra, per mangiare ottimi panini, e, in inverno, per chiacchierare con i vecchi del paese.  ‘E’ un bar’, dice Fosco. E intende: un bar è un bar. Per giocare a carte, guardare le partite, bere un caffè e godersi un bicchiere di vino a mescita. A cos'altro serve un bar? Qui, a Vetulonia, anche a contare le immagini di Ernesto. C’è anche un manifesto che raffigura Tiburzi, leggendario brigante ottocentesco della Maremma. Lo legarono a un albero dopo averlo ucciso e lo fotografarono. Volevano dileggiarlo e ne hanno fatto un’icona delle ribellioni della Maremma. Contraddizione ai nostri occhi benpensanti: una solitaria slot-machine in un angolo. Chissà cosa ne avrebbe pensato Ernesto. Mi prendo i vostri accidenti: magari avrebbe provato a giocare anche se sono certo che avrebbe preferito le carte.

Ora di pranzo al bar del Frantoio

Fosco e Manuela si alternano dietro al bancone. Io storco il naso di fronte alla maglia della Juventus. ‘E’ che qui siamo guevaristi e juventini’, mi avverte Fosco. Ma poi ammette: ‘Metà del paese è per la Fiorentina. Metà bianconera. E ci guardiamo le partite tutti assieme’. Si va anche allo stadio assieme. A vedere il Livorno. Almeno una volta al campionato. ‘E sulle bancarelle dell’Ardenza, compriamo tutti le magliette con Che Guevara e sugli spalti guardiamo sventolare le bandiere con il suo ritratto’. E quando giocano nei tornei fra bar e paesi, la maglia dei vetuloniesi è rosso fuoco con sopra stampigliato l’immagine di Alberto Korda che ha immortalato un Guevara accigliato.

Le ore del bar del Frantoio

Fosco ci tiene a farmi sapere: ‘Devi sapere che qui si fa la sola festa di Rifondazione della provincia di Grosseto. Siamo rimasti gli unici. Tre giorni a luglio’. Festa nello spiazzo davanti al bel museo archeologico. Panorama strappacuori sulla piana verso il mare, al tramonto riflessi sulle acque della palude della Diaccia Botrona. Bellezza di Maremma. Allora persino il dotto Isidoro Falchi smette di bofonchiare su quel guerrigliero che gli contende fama e memoria nella sua terra e si commuove, e se ne viene a mangiare tortelli al ragù proprio assieme a Ernesto. Se li volete burro e salvia, Fosco va a coglierla nel suo orto. Finisce che io tiro fuori il mio libretto sul Che e lo lascio sul banco del bar.

Attenzione: questo è un blog invernale. Fosco e Manuela, a Pasqua, chiudono il Frantoio e trasferiscono giornali e Che Guevara nella pizzeria quasi all'ingresso del paese.






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