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L'antica via lastrica dell'antica Vetulonia |
Due chiappe femminili, invadenti ed esagerate, troneggiano sulla copertina della rivista appesa appena oltre lo stipite della porta: è la prima istantanea che vedo di questo bar, ingombro di manifesti e storie. Faccio un passo indietro per guardare meglio. Poi, oltre la rassegna dei culi, c’è Ernesto
Che Guevara in ogni angolo. Cartoline tinte di rosso, santini, icone, manifesti, foto celebri (quella di Renè Burri che ritrae un Guevara sfrontato con il sigaro in mano e gli occhi altezzosi): la bellezza del
Che spunta da ogni parete del bar. C’è anche una rarissima foto di Fidel con Camilo Cienfuegos. Ritratti che spuntano da dietro al bancone come dalla parete della televisione. ‘Poi arriva Manuela e copre il sedere con un calendario di padre Pio’, sorride sornione Fosco. Manuela è la sua compagna.
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Fosco |
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Manuela |
Questo è un bar-edicola, minuscolo
drugstore di paese. Una taverna-bazar, insomma. Si chiama ‘il
Frantoio’. Sta sotto un arco, in via San Guglielmo, vicolo di Vetulonia. Appena
cento e settanta abitanti se non conti la gente delle campagne. Paese della Maremma
toscana, venti chilometri dal mare, celebre per le archeologie della più
importante città etrusca: una gloria antica di duemila e trecento anni.
Vetulonia, città del mistero, città scomparsa nel nulla per mille anni, è stata
uno dei rebus più intriganti dell’archeologia ottocentesca. Oggi è un gruppo di
case in cima a uno dei colli più belli della Toscana meridionale. Ed
el Che contende il cuore dei vetuloniesi
a Isidoro Falchi, l’erudito dalla folta barba che riportò alla luce la città
etrusca. Non c’è sfida, il vecchio Isidoro può ben poco contro il fascino di
Guevara. Ernesto è ovunque in questo paese. Perfino sul braccio del
cubano, gestore di un altro bar di Vetulonia.
Il
cubano è chiamato così per il suo
andirivieni con l’isola caraibica. ‘Solo che è di destra’, mi dicono in piazza.
Ma l’icona di Guevara, oramai, ha travalicato ogni confine. Al rivoluzionario
inquieto è toccato il destino di diventare il
gadget più venduto del ‘900. Strano, inevitabile destino.
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La foto di Renè Burri |
Il bar del Frantoio è adatto per confondersi le idee, per
scrollarsi di dosso integralismi, per passare un’ora allegra, per mangiare
ottimi panini, e, in inverno, per chiacchierare con i vecchi del paese. ‘E’ un bar’, dice Fosco. E intende:
un bar è un bar. Per giocare a carte,
guardare le partite, bere un caffè e godersi un bicchiere di vino a mescita. A cos'altro serve un bar? Qui, a Vetulonia, anche a contare le immagini di Ernesto. C’è anche un manifesto che raffigura Tiburzi,
leggendario brigante ottocentesco della Maremma. Lo legarono a un albero dopo
averlo ucciso e lo fotografarono. Volevano dileggiarlo e ne hanno fatto un’icona delle ribellioni della
Maremma. Contraddizione ai nostri occhi benpensanti: una solitaria slot-machine
in un angolo. Chissà cosa ne avrebbe pensato Ernesto. Mi prendo i vostri accidenti: magari avrebbe provato a giocare anche se sono certo che avrebbe
preferito le carte.
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Ora di pranzo al bar del Frantoio |
Fosco e Manuela si alternano dietro al
bancone. Io storco il naso di fronte alla maglia della Juventus. ‘E’ che qui
siamo guevaristi e juventini’, mi avverte Fosco. Ma poi ammette: ‘Metà del
paese è per la Fiorentina. Metà bianconera. E ci guardiamo le partite tutti assieme’. Si va anche allo stadio assieme. A vedere il Livorno. Almeno una volta al campionato.
‘E sulle bancarelle dell’Ardenza, compriamo tutti le magliette con Che Guevara
e sugli spalti guardiamo sventolare le bandiere con il suo ritratto’. E quando
giocano nei tornei fra bar e paesi, la maglia dei vetuloniesi è rosso fuoco con
sopra stampigliato l’immagine di Alberto Korda che ha immortalato un Guevara
accigliato.
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Le ore del bar del Frantoio |
Fosco ci tiene a farmi sapere: ‘Devi sapere che qui si fa la
sola festa di Rifondazione della provincia di Grosseto. Siamo rimasti gli
unici. Tre giorni a luglio’. Festa nello spiazzo davanti al bel museo
archeologico. Panorama strappacuori sulla piana verso il mare, al tramonto
riflessi sulle acque della palude della Diaccia Botrona. Bellezza di Maremma. Allora
persino il dotto Isidoro Falchi smette di bofonchiare su quel guerrigliero che
gli contende fama e memoria nella sua terra e si commuove, e se ne viene a mangiare tortelli al ragù proprio assieme a Ernesto. Se li volete burro e salvia, Fosco va a coglierla nel suo orto. Finisce che io tiro fuori il mio libretto sul Che e lo lascio sul
banco del bar.
Attenzione: questo è un blog invernale. Fosco e Manuela, a Pasqua, chiudono il Frantoio e trasferiscono giornali e Che Guevara nella pizzeria quasi all'ingresso del paese.
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