Le rocce di Baths |
Piove sui Caraibi. Qualche coda di una tempesta tropicale.
Le previsioni vanno a percentuali di possibilità. Al 60% pioverà tutto il
giorno. Non ci credo, ma così mi dicono. Mi piace questa sensazione di freddo
che non è tale.
Piove e il mondo si ferma. Cosa si fa ai Caraibi quando
piove e sei qui in vacanza?
Quando sei nel recinto da bellezza perfetta di un’isola?
La televisione (l’unica televisione del resort, nel solo
posto dove è consentita) è sintonizzata su un canale di Borsa. Che, dalla voce
incomprensibile del conduttore, appare come un programma sportivo. Boati quando
appare la quotazione di un titolo o lo stato di un indice.
Ci sono due computer collettivi. E allora si leggono le mail
lasciate a casa.
E poi?
Il parco del resort |
L’isola appare deserta. Il resort appare deserto. Eppure so
che è pieno. Nessuno in spiaggia. Nessuno lungo i vialetti. Nessuno. Solo la
gente che qui lavora si ostina ad andare avanti e indietro. Stuolo di
giardinieri per i prati. Stuolo di ‘disegnatori’ della spiaggia a livellare
ogni imperfezione del bagnoasciuga.
La foglia caduta |
Questa volta chiedo e così un nero di Giamaica, con bei
denti in fuori, mi spiega: al livello più basso, un lavoratore del resort ha un
salario di quattro dollari all’ora. Al più alto, può arrivare a otto. Non oso
chiedere tipologie di contratti. Ma, a parlare con i manager, i sindacati qua
hanno una loro strana forza. Si vive sull’isola con questi soldi? Sì, mi dice
il mio driver. Ma non ho la libertà che ho nella mia terra. Già, qua incontro
neri di Trinidad, di Santa Licia, di Giamaica, di Tobago…migrazione caraibica. Verso
l’arcipelago in cui c’è lavoro.
La spa |
Primo massaggio della mia vita. Una ragazza di Bali. Ricordo
Bali, mille anni fa. In motoretta. E le ragazze che ti offrivano massage e poi ti scartavano perché
troppo giovane.
Mi spoglio, mi metto sotto il lenzuolo, sto a faccia in giù.
Non capisco come sia messa la ragazza di Bali. Non so da dove arrivano le sue
mani. Mi sembra che abbia mille mani. Che sia dovunque. Dà un piccolo tocco,
quasi un avvertimento e poi sento che corre in ogni angolo della mia schiena.
E’ meticolosa, la ragazza. Ma ci mette calore, passione, silenzio. Il mio corpo
si fa scivoloso. E’ una dimensione a parte. Sono altrove. O, forse,
semplicemente, mi sono addormentato. Fino a quando non mi gira e mi benda gli
occhi. Non bisogna vedere, capisco questo. Gli occhi distraggono. Adesso so che
sta lavorando sulle cosce, sui piedi, sulle gambe. Continuo a non capire quante
mani abbia.
Ogni cosa ha una sua fine. Avverto un peso sulla mia pancia.
E’ il mio accappatoio che ha poggiato lì. Mi toglie la benda dagli occhi. Mi
indica un bicchiere d’acqua. Guardo fuori. Il mare. Non so dove sono. Bevo un
sorso. Mi accompagna fino a un terrazzino. Mi lascia lì. Sono in imbarazzo. Mi
siedo su una sdraio. Non so cosa fare. Non afferro un solo pensiero. Solo che
vorrei essere altrove. Solo che vorrei essere qui. E’ una condanna, questa. E
io non vorrei scrivere queste righe. Saluto la ragazza di Bali senza vederla
più. Ha già un altro cliente. Un ragazzo giovane. Con l’aria da duro.
Consapevole della sua bellezza e, credo, della sua forza.
Dove avrai casa, ragazza di Bali?
Non faccio una sola foto.
Baths |
Buffet a pranzo. Da 75 dollari. Comincio a pensare che la
cucina dei Caraibi non sia un granchè. Deve essere un problema di cibi
importati. I pomodori non sanno di pomodoro. Mi dicono che l’aragosta di
Anegada sia buonissima. Non fatico a crederlo. Tutto il resto ha un sapore da
supermercato. Un’idea coraggiosa potrebbe essere costruire orti da queste parti
e allevare piccoli maiali. Il piatto nazionale del Caribe è il porco. E,
raccontano, arriva dall’Argentina. ‘Meraviglioso’, assicurano. Leggo che
ci sono produttori rasta che qualche verdura biologica si sono messi a
crescerla. Mi piacerebbe andare a incontrarli.
Sulla sponda meridionale del Caribe, muore Chavez. I soldati
pattugliano il Venezuela. I turisti leggono il New York Times Digest. Strano
leggere di Chavez e dei massacri in Siria di fronte all’oceano.
Baths |
Tito ci porta in città. In realtà non è una città. Ci sono
quattromila abitanti nell’isola. Spanish Town è a dieci minuti a piedi dal
resort. Tito ha solo due denti ed è bene
che ci accompagni in città. Noi siamo il suo salario.
La rocce di Baths |
Nessun fra le grandi rocce di Baths. Cerco di infilarmi
nelle grotte. Nei passaggi più stretti. Mi ritrovo da solo. Prego che accada
qualcosa. No, non succede niente. Solo che scivolo malamente sulla pietra umida
di sabbia. Fermarsi qui. Perfino il bar del ‘pover’uomo’, scortecciato e
disordinato, è chiuso. Dove sono tutti? E’ bello, Baths. Accarezzo le rocce.
Mark |
Mark, cantore di Santa Licia, fa compagnia agli ospiti del
ristorante celebre. Canzoni del ‘900. Bob Dylan e Otis Reding. Paul Mc Cartey e
Guantanamera. La gioventù domata. La gioventù che continua le sue irrequietezze.
E non è riuscita a trasformarle in una storia di cambiamento. O, forse, sì. Keith
Richards viene alle isole Vergini. Lo avrebbe mai pensato quando fece vibrare
la sua prima chitarra?
Mi piace Mark. Perché non si nasconde dietro le parole. Vive
cantando nei locali pubblici. Dice che ama il ritmo dei bassi e il calypso
contemporaneo. Sua figlia canta nei bar scartavetrati di Tortola e di Jos Van
Dike. I luoghi della Lonely Planet. Il mondo delle isole si divide fra i buoni e i falsi cattivi. Un gioco delle parti. Solo la bellezza ha il dono
dell’indifferenza. Non so come raccontarvelo. Vorrei che questa bellezza fosse
carne e ossa. E sapesse dire. Che la
smettesse con la sua alterigia, consolasse i cuori e convertisse i duri
d’anima. Non lo fa. Lei sa che sarà ancora qui. Per sempre. Perché così è da
sempre. Illude, ecco cosa fa, la bellezza. Cerco di goderne.
La palma fra le rocce |
Scaccio i pensieri. Non mi va di andare via da qui. Io che
ho sempre amato andarmene, ora voglio respingere questa condanna all’erranza.
Vorrei fare il cameriere a quattro dollari all’ora. Vorrei, in silenzio,
raccontare storie nelle sale dei turisti che non si curano di me e, forse,
nemmeno di Mark, amico di una sera. Vorrei essere un uccello che si fa beffe,
bene accetto, dell’etichetta e becchetta fra gli avanzi lasciati nei piatti.
Vorrei essere pellicano con i suoi tuffi a testa in giù. Vorrei perfino essere
il pesce che il pellicano ha fatto sparire nel suo grande becco. Vorrei essere
una grande donna nera che cammina, con qualche fatica, trasportando il suo peso
immenso e sembra non curarsi delle dimensioni del suo culo e delle sue tette
che sono mongolfiere afflosciate. Vorrei essere uno di questi uomini, la carne
che si piega sul collo, le spalle forti, la pancia che si dismisura e il tempo
che non so che valore abbia per loro.
Scrivo questo ben sapendo che sono qui perché Laurence Rockfeller,
sessanta anni fa, vide questa baia e disse: ‘Qui’. Che cosa si prova, in fondo
al cuore, ad avere questo potere?
Somewher in Caribe, 5
marzo
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