(Da www.bartlebycafe.com) |
Come è bella, Annemarie. ‘Bella ed esile come un giunco
piegato dal vento’. La sua bellezza, ha scritto chi l’ha amata, era
‘oltraggiosa’. Quando un doganiere le chiedeva quale fosse il suo mestiere, lei
rispondeva: ‘uccello migratore’. Nel
1933, a venticinque anni, si incamminò sulle strade dell’Asia. Su quei cammini
infiniti, precedette Robert Byron. Lei, giovane, colta, ricca, cercava, con
ansia, ‘ragioni di vita e scrittura’. Il suo viaggiare era ‘una iniziazione’ e
‘una fuga’. Coloro che la incontravano se ne innamoravano al primo sguardo.
Abbagliava uomini e donne, Annemarie. Faceva perdere la testa. E lei era la
prima a perdersi. Da qualche parte ho letto che era ‘un angelo sconsolato’.
Anzi, un ‘arcangelo sconsolato’.
Annemarie Schwarzenbach era nata a Zurigo nel 1908. Famiglia
di facoltosi industriali della seta. Una madre opprimente, un universo di
silenzio attorno a quella figlia. Ebbe un’educazione raffinata, era una ragazza
dal grande e ambiguo fascino: ha un aspetto androgino, veste spesso in abiti
maschili. A 22 anni, Annemarie entra nella cerchia elitaria della famiglia
Mann. E’ amica di Erika e Klaus, i figli di Thomas. E’ più che un’amica: si
innamora di Erika. Appare prediletta dalla fortuna, Annemarie. Ma l’inquietudine
è la sua bussola per trovare una disperata salvezza. E’ davvero una donna in
fuga. Una donna che cerca. Una donna sola. Fragile. Autodistruttiva. Una donna
sempre in bilico. Il viaggio, il movimento le dona un illusorio equilibrio.
(da www.barteblycafe.com) |
La vita di Annemarie è irraccontabile (ma a raccontarla vi è
riuscita, magnificamente, Melania Mazzucco in Lei così amata -Rizzoli, 2000): amori appassionati, donne che
l’adorano (fra queste Carson McCullers), un matrimonio con un diplomatico
francese, le tenebre della depressione, smarrimenti nella morfina e
nell’alcool. E i viaggi come antidoto meraviglioso: ‘Voglio essere la
straniera, la vagabonda, la pellegrina errante su tutte le strade del mondo’. Ecco,
quindi, l’oriente, le steppe asiatiche, Parigi, Berlino, l’Afghanistan, le
foreste del Congo, Tehran, la Russia di Stalin e la Spagna mentre infuria la
guerra civile. Viaggia leggera, ricorda chi la incontra lungo quelle strade.
Non voleva possedere niente, solo un piccolo zaino.
Nel 1939, quando l’Europa sta per andare in pezzi, Ella
Maillart, un’altra scrittrice, e Annemarie partono da Ginevra a bordo di una
Ford 18 cavalli. Dirette in Afghanistan. Un viaggio che valeva una vita. Percorrono
ventimila chilometri fino al Khyber Pass. Annemarie fotografa, ma soprattutto
scrive. Scrivere è il suo destino. Già, ‘chi non scrive è disarmato’. Riempie
centinaia di pagine. Scrive romanzi, poemi, racconti, reportages, novelle,
lettere. La scrittura è conoscenza di sé, sapere del mondo. Perde il suo primo
dattiloscritto, smarrisce i suoi frammenti, non ritrova i suoi appunti. Il suo
primo libro andrà al macero. Si crea, con le sue stesse parole, ‘un labirinto
senza uscita’. E’ vittima del suo talento, Annemarie. Fra il 1933 e il 1942
scrive 350 articoli. Dicono che a Berna siano conservate almeno 50mila fogli
colmi della sua scrittura. ‘E quasi impossibile concepire che qualcuno possa
aver scritto tanto in così poco tempo’.
(da www.dialoguebooks.com) |
Dall’Asia torna in Europa. Torna sempre, Annemarie. Non ha
pace. E’ il 1940. E il mondo è davvero impazzito nel sangue. E lei, a 34 anni,
forse è stanca. Forse, in Africa (dove in un ultimo viaggio ha raggiunto il
marito Claude e ha capito di amarlo) ha scoperto che ‘la chiave della felicità
non è nascosta in nessun luogo sulla terra’, ma si trova, invece, ‘tra le
nostre mani’. Annemarie risale le valli svizzere, ritrova la sua perfetta
Engadina. E’ nella casa di famiglia. A Sils-Baselgia. Tra le sue montagne. Là scrive,
riscrive l’ultimo libro, quello che ha immaginato in Africa. Forse è serena:
‘per la prima volta le sembrerà di scrivere come ha sempre desiderato’. Ma,
ricorda Melania Mazzucco, ‘a un tratto le parole l’abbandoneranno e non saprà
più scrivere una sola parola’.
La sua morte sarà banale.
Annemarie, in un ‘giorno luminoso’ dell’estate del 1942, cade di bicicletta a
pochi passi dalla sua casa. Batte la testa. Raccontano che le cure a cui fu
sottoposta furono tremende. Annemarie muore. Sua madre e sua nonna cercarono,
in ogni modo di nascondere una vita ‘scandalosa’.
Vi riuscirono. Forse davvero le due donne bruciarono molti
dei suoi scritti nel fuoco di un camino. Sicuramente, i giornali, dopo pochi
giorni, si dimenticarono di Annemarie. E’ una stella cadente. Scomparve dal
ricordo e dalla memoria. Le sue parole svanirono. Sprofondarono fra le carte
dell’Archivio di Letteratura di Berna. Ma poi accade, non so come, che riapparvero.
A volte sono gli amori ostinati che aiutano impossibili resurrezioni. Nel 1987,
con lentezza, le sue pagine riemergono. Pochi anni fa è stato trovato,
scompaginato e anonimo, perfino un esile racconto, Vedere una donna ( Saggiatore, 2012), di cui si ignorava l’esistenza. Annemarie diventa, così, una
scrittrice di culto, amatissima, quasi venerata da chi ne ha letto le pagine e
immaginato la vita. E in lei si ama ‘il suo essere altro’. E, ognuno di noi,
come Melania Mazzucco, vorrebbe riavvolgere la pellicola della sua vita,
‘deviarne le traiettorie’. Vorrebbe concederle altre possibilità. Vorrebbe dirle:
‘Non andare via, resta’.
Nessun commento:
Posta un commento