venerdì 8 marzo 2013

Diario da un viaggio imprevisto 2./Sedie a rotelle a Cane Garden Beach


Tortola


Le unghie feline della ragazza del check-in a Saint Martin. Batte i tasti con abilità e io cerco di seguire le sue dita colorate che colpiscono tre tasti assieme.

Il taxista nero. Scontroso e avvezzo alla mance. Maledice la sua sfortuna. Di aver incontrato noi, immagino. Chiude la porta con nervosismo.

E poi il viaggio ha un suo ritmo che non corrisponde alla realtà. Aereo con eliche rutilanti e ragazza a bordo che recita soggetto una parte annoiata. Contrasto con le camicie a fiori che sbocciano all’improvviso.

Tutti fotografano all’aeroporto di Tortola. L’aereo sembra atterrare in mare. Fino a quando una nera (che non può che essere una donna dalle taglie forti) avverte in malo modo: ‘No camera’. Nemmeno fosse una base militare.

Road Town

Containers


I tropici, pacchetto da viaggio-stampa, sono frettolosi. Halton è una guida preregistrata. In dodici minuti di transfert ci racconta dell’acqua desalinizzata, del riciclo rifiuti, delle pecore dell’isola. Delle spiagge. E della sua felicità di fare il taxista. Scorrono chiese su chiese, basiliche metodiste, avventiste, edifici di legno corroso dove si adora il Cristo Redentore. Nessuno ha pensato a mettere in programma una Messa. Che qua sono spettacolo da Blues Brothers. Macchine pulite e abiti della festa. Ma Halton non si ferma. Mostra scuole e ospedali. Residenza del governo. Tortola è sgarrupata. Asfalto sconnesso, containers dall’aria arrugginita nei campi, rottami di lavatrici e frigoriferi dispersi a bordo strada, case precarie con tinte che hanno smarrito lo smalto, ma un’aria da piacere pigro, vecchie che dondolano su sedie davanti alla porta di casa. Bambini che si rincorrono per poi chiedersi perché lo fanno. Noi corriamo. Fino al motel dei naviganti e dei charteristi. Mi incanto di fronte a cento barche tutte uguali che aspettano il loro business settimanale.

Mariner Inn

Mariner Inn


Scopro che qua c’è un’etica del business. C’è una perfetta consonanza fra la bellezza dei paesaggi, del vento leggero, delle vele che si tendono, della fatica del mare e la lussuria del denaro. La vera ragione della vita è il denaro. Il denaro compra la bellezza, la utilizza, gode della luce del Caribe e i cocktail dai colori scemi. Mi chiedo: gli zapatisti saprebbero spassarsela da queste parti?

Da queste parti, il business è ‘incorporation’. Se ho ben capito: la creazione di società di diritto delle isole vergini. Ce ne sono 470mila. Crescono al ritmo di cinquemila al mese. Raccontano che bastano 1500 dollari per costruirne una. Lo rivendicano con orgoglio: ‘Queste isole sono il più popolare fra i paradisi fiscali’. Il mondo visto da qui appare ‘diverso’. Non vi è malvagità, né cupidigia. ‘Questo è il nostro modo di vivere. Questa è la nostra economia, la nostra vita’. Dall’inserviente al predicatore metodista, dal ragazzo rasta che canticchia per la strada al dj di Cane Garden Beach. E in più: ‘Noi abbiamo una reputazione pulita. Non abbiamo lati oscuri’. Da qualche parte ho letto che queste isole sono le basi offshore preferite dai cinesi di Hong-Kong e dai cinesi di Pechino. Non vedo, a differenza di mille altri luoghi del mondo, nemmeno un cinese.

Sedia a rotelle

Gita scolastica

Beach bar


Sedia a rotelle sulla Cane Garden Beach. L’uomo esce dall’acqua camminando carponi fra le onde. Lo saluto con un sorriso. E la mano sul cuore. Lui non ha modo di rispondere. Nemmeno mi ha visto. E' concentrato sulla sua fatica.
Gita scolastica di bambini neri.
Luce metallica.

Luce metallica

Chiude la spiaggia

Minnesota


I dj da spiaggia mettono Otis Reding. Musica del ‘900. Quaranta anni fa, sulle coste atlantiche, le donne americane si giocavano i toy-boys dalle treccine. Non è cambiato niente. Il ragazzo dalla pelle lucente ha il volto ingrugnato. E lei è troppo bianca, troppo bionda. Ma se la gode. E anche a loro sorrido. Senza ricevere in cambio nemmeno un’alzata di sopracciglio.
Alle quattro del pomeriggio smontano la spiaggia. Smantellano i barretti di legno, tolgono le sdraio arrugginite, nascondono le bottiglie di rum.
Americani del Minnesota hanno splendidi ‘ferma-asciugami’ con la forma di flamingos.
Età media dei bianchi superiore alla mia.


Jarret


Ma poi incontro Jarret. 31 anni, Ohio. E un sorriso che hai voglia di passarci un giorno assieme solo per non perderti la sua felicità. Fa il vetraio, Jarret. Passione da ragazzo. Ha girato il mondo inseguendo riciclatori di vetro. Parla, con occhi di sogno, di un'altra isola lontanissima. Si chiama Murano. Il sogno della sua vita: ‘Murano è la Mecca del vetro’. Jarret è qui da due anni. Ha ‘formato’ quattro ragazzi rasta come fonditori di vetro. Va di bar in bar a recuperare bottiglie. Spezza e fonde. E crea oggetti da rivendere ai turisti. GreenGlass. Non gli chiedo quale progetti poi finanzia in queste isole. Mi regala dieci minuti di serenità, Jarret. Quante persone ti lasci alle spalle che varrebbero il tempo. Vorrebbero il tempo. Non c’è tempo. Adios, Jarret. Mi rimane un file raw. Che tu venga a Murano.


Il ragazzo del sushi


E poi, a notte, mi incanto a vedere un altro ragazzo che non sorride, non parla, ha occhi da pianista e la determinazione di una scuola durissima. Troppo giovane per essere maestro. Ma le sue mani mi immobilizzano, non riesco a staccare gli occhi dai suoi movimenti. Seguo le dita. I gesti che modellano, piallano, tagliano, schiacciano, creano. E’ genialità, è eccellenza. Cuoco del sushi. I suoi piatti sono quadri impressionisti, festival di colori, composizione di geometrie cubiste. Lui non mi guarda, ma io gli rivolgo un pensiero di gratitudine.

La mani del maestro di sushi e le unghie feline con le quali questa giornata è cominciata.

Non so dove sono. Non capisco dove sono. Le case di Road Town accendono le luci sulla collina. Niente luna. Buio pesto. Le barche sono silenziose. Il mondo si fa di pace anche al molo del Mariner Inn. Si sento voci di gente che chiacchiera con toni bassi. Dove sono? Dove posso andare?



E poi il ragazzo del sushi cambia mestiere e si mette a impastare pizze.

Do un’occhiata alle etichette del tonno. Viene dalle Filippine. Il burro arriva dalla Nuova Zelanda. 
3 marzo, Somewhere in Caribe

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