Tortola |
Le unghie feline della ragazza del check-in a Saint Martin.
Batte i tasti con abilità e io cerco di seguire le sue dita colorate che
colpiscono tre tasti assieme.
Il taxista nero. Scontroso e avvezzo alla mance. Maledice la
sua sfortuna. Di aver incontrato noi, immagino. Chiude la porta con nervosismo.
E poi il viaggio ha un suo ritmo che non corrisponde alla
realtà. Aereo con eliche rutilanti e ragazza a bordo che recita soggetto una
parte annoiata. Contrasto con le camicie a fiori che sbocciano all’improvviso.
Tutti fotografano all’aeroporto di Tortola. L’aereo sembra
atterrare in mare. Fino a quando una nera (che non può che essere una donna
dalle taglie forti) avverte in malo modo: ‘No camera’. Nemmeno fosse una base
militare.
Road Town |
Containers |
I tropici, pacchetto da viaggio-stampa, sono frettolosi.
Halton è una guida preregistrata. In dodici minuti di transfert ci racconta
dell’acqua desalinizzata, del riciclo rifiuti, delle pecore dell’isola. Delle
spiagge. E della sua felicità di fare il taxista. Scorrono chiese su chiese,
basiliche metodiste, avventiste, edifici di legno corroso dove si adora il
Cristo Redentore. Nessuno ha pensato a mettere in programma una Messa. Che qua sono spettacolo da
Blues Brothers. Macchine pulite e abiti della festa. Ma Halton non si ferma.
Mostra scuole e ospedali. Residenza del governo. Tortola è sgarrupata. Asfalto
sconnesso, containers dall’aria arrugginita nei campi, rottami di lavatrici e
frigoriferi dispersi a bordo strada, case precarie con tinte che hanno smarrito
lo smalto, ma un’aria da piacere pigro, vecchie che dondolano su sedie davanti
alla porta di casa. Bambini che si rincorrono per poi chiedersi perché lo
fanno. Noi corriamo. Fino al motel dei naviganti e dei charteristi. Mi incanto
di fronte a cento barche tutte uguali che aspettano il loro business
settimanale.
Mariner Inn |
Mariner Inn |
Scopro che qua c’è un’etica del business. C’è una perfetta
consonanza fra la bellezza dei paesaggi, del vento leggero, delle vele che si
tendono, della fatica del mare e la lussuria del denaro. La vera ragione della
vita è il denaro. Il denaro compra la bellezza, la utilizza, gode della luce
del Caribe e i cocktail dai colori scemi. Mi chiedo: gli zapatisti saprebbero
spassarsela da queste parti?
Da queste parti, il business è ‘incorporation’. Se ho ben
capito: la creazione di società di diritto delle isole vergini. Ce ne sono
470mila. Crescono al ritmo di cinquemila al mese. Raccontano che bastano 1500
dollari per costruirne una. Lo rivendicano con orgoglio: ‘Queste isole sono il
più popolare fra i paradisi fiscali’. Il mondo visto da qui appare ‘diverso’.
Non vi è malvagità, né cupidigia. ‘Questo è il nostro modo di vivere. Questa è
la nostra economia, la nostra vita’. Dall’inserviente al predicatore metodista,
dal ragazzo rasta che canticchia per la strada al dj di Cane Garden Beach. E in
più: ‘Noi abbiamo una reputazione pulita. Non abbiamo lati oscuri’. Da qualche
parte ho letto che queste isole sono le basi offshore preferite dai cinesi di
Hong-Kong e dai cinesi di Pechino. Non vedo, a differenza di mille altri luoghi
del mondo, nemmeno un cinese.
Sedia a rotelle |
Gita scolastica |
Beach bar |
Sedia a rotelle sulla Cane Garden Beach. L’uomo esce dall’acqua
camminando carponi fra le onde. Lo saluto con un sorriso. E la mano sul cuore. Lui non ha modo di rispondere. Nemmeno mi ha visto. E' concentrato sulla sua fatica.
Gita scolastica di bambini neri.
Luce metallica.
Luce metallica |
Chiude la spiaggia |
Minnesota |
I dj da spiaggia mettono Otis Reding. Musica del ‘900.
Quaranta anni fa, sulle coste atlantiche, le donne americane si giocavano i
toy-boys dalle treccine. Non è cambiato niente. Il ragazzo dalla pelle lucente
ha il volto ingrugnato. E lei è troppo bianca, troppo bionda. Ma se la gode. E
anche a loro sorrido. Senza ricevere in cambio nemmeno un’alzata di
sopracciglio.
Alle quattro del pomeriggio smontano la spiaggia. Smantellano i barretti di legno, tolgono le sdraio arrugginite, nascondono le bottiglie di rum.
Americani del Minnesota hanno splendidi ‘ferma-asciugami’
con la forma di flamingos.
Età media dei bianchi superiore alla mia.
Jarret |
Ma poi incontro Jarret. 31 anni, Ohio. E un sorriso che hai
voglia di passarci un giorno assieme solo per non perderti la sua felicità. Fa
il vetraio, Jarret. Passione da ragazzo. Ha girato il mondo inseguendo
riciclatori di vetro. Parla, con occhi di sogno, di un'altra isola lontanissima. Si chiama Murano. Il sogno della sua
vita: ‘Murano è la Mecca del vetro’. Jarret è qui da due anni. Ha ‘formato’
quattro ragazzi rasta come fonditori di vetro. Va di bar in bar a recuperare
bottiglie. Spezza e fonde. E crea oggetti da rivendere ai turisti. GreenGlass. Non gli chiedo quale
progetti poi finanzia in queste isole. Mi regala dieci minuti di serenità,
Jarret. Quante persone ti lasci alle spalle che varrebbero il tempo. Vorrebbero
il tempo. Non c’è tempo. Adios, Jarret. Mi rimane un file raw. Che tu venga a
Murano.
Il ragazzo del sushi |
E poi, a notte, mi incanto a vedere un altro ragazzo che non
sorride, non parla, ha occhi da pianista e la determinazione di una scuola
durissima. Troppo giovane per essere maestro. Ma le sue mani mi immobilizzano,
non riesco a staccare gli occhi dai suoi movimenti. Seguo le dita. I gesti che
modellano, piallano, tagliano, schiacciano, creano. E’ genialità, è eccellenza.
Cuoco del sushi. I suoi piatti sono quadri impressionisti, festival di colori,
composizione di geometrie cubiste. Lui non mi guarda, ma io gli rivolgo un
pensiero di gratitudine.
La mani del maestro di sushi e le unghie feline con le quali
questa giornata è cominciata.
Non so dove sono. Non capisco dove sono. Le case di Road
Town accendono le luci sulla collina. Niente luna. Buio pesto. Le barche sono
silenziose. Il mondo si fa di pace anche al molo del Mariner Inn. Si sento voci
di gente che chiacchiera con toni bassi. Dove sono? Dove posso andare?
E poi il ragazzo del sushi cambia mestiere e si mette a
impastare pizze.
Do un’occhiata alle etichette del tonno. Viene dalle
Filippine. Il burro arriva dalla Nuova Zelanda.
3 marzo, Somewhere in Caribe
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