martedì 12 marzo 2013

Diario di un viaggio imprevisto 5./Un'isola dopo l'altra


Little Dix Bay a Virgin Gorda

Conto sette cuscini sul mio letto. A cosa serviranno?
Quando cala il sole entra una donna e li sposta in un angolo della stanza. Prepara il letto per la notte. Aspetto che se ne vada e apro nuovamente le finestre. Voglio vedere il sole al mattino. Voglio che il sole mi svegli.

C’è una certa monotonia nella vita quotidiana di un resort. Aperitivi, qualche abito un po’ più elegante, i cuscini sul letto (appunto), i gadget (sui quali tutti ci buttiamo con avidità), le ciabattine, il buffet a sera, la carta di credito e il trillo del cellulare che qualcosa ti hanno addebitato, la firma dei conti. E, attorno, la bellezza. Il rumore del mare. La perfezione della linea dove cielo e mare si toccano. Cosa potremmo fare con tutta questa bellezza?

Eustasia Island e Necker Island


Giorno di visite. Le isole di Richard Branson, anzi sir Richard Charles Nicholas Branson (Virgin Records) e l’isola di Larry Page (Google: come partire da un garage e ritrovarsi padroni di un’isola). Richard, dall’aria da vecchio hippy, affitta la sua isola a 53mila dollari a notte. Ma ci sono i lemuri del Madagascar e i flamingos africani. Ci sono tucani e ‘uccelli rosa’. ‘E’ Disneyland’, mi dice che vi è stato. Gli accessi sono sbarrati a chi non è invitato, e nessuno può conoscere gli ospiti di Richard. E’ il mondo di qualcuno che è al di là della ricchezza e della fama. ‘Chi lavora là, poi non riuscirà a lavorare da nessuna altra parte’, mi avvertono ancora. Io riferisco, senza interrogarmi. Mi dicono anche che Richard sponsorizza tutto quanto si può sponsorizzare sulle isole. Perfino la squadra di calcio di Virgin Gorda, la ‘vergine grassa’, una delle isole più belle, la più vicina a Necker, l’isola di Richard. 

Olive Nut Bay


Giorno di visite. David Johnson in persona. Zoppicante e gioviale. ‘Welcome to the future’, e ci dà la mano guardandoci dritto negli occhi da sopra occhialini e abiti stazzonati. Uomo che lavora. ‘E’ un visionario’, ci dice la sua assistente. E ancora: ‘Fa ogni cosa nel mondo giusto. E’ paziente, meticoloso, attento ai dettagli’. Si è comprato un pezzo di isola, al punta più solitaria di Virgin Gorda. E la rivende con il diritto a costruire. David ha 63 anni. E i miei amici ambientalisti non avrebbero niente da obiettare: ogni regola ecologica è rispettata. Basso impatto, energie rinnovabili, riciclo dei rifiuti, pacciamature sui tetti, materiali ‘sostenibili’, desalinizzazione dell’acqua. David è un immobiliarista green. Ha vinto un sacco di riconoscimenti ambientali con le sue costruzioni. Distribuisce denaro (parola che qua non si usa) a decine di associazioni e centri di cura. Ha avuto un incidente a 29 anni, David. Rimase paralizzato. Per questo zoppica ancora. La filantropia è comandamento per un ricco americano del Michigan. Non ho pensieri. Passare una notte a Oil Nut Bay, in una villa sospesa sulla scogliera, con una vasca da bagno che guarda il Caribe, costa 18000 dollari. Quanto ho guadagnato io di reddito lordo lo scorso anno. Poi, dopo aver passato una notte qui, puoi decidere se comprarti un pezzo dell’isola e tirarti su una villa secondo linee-guida ambientali.

Yacht Club Costa Smeralda

Giorno di visite. Questa volta siamo a casa. Yacht Club Costa Smeralda. Sua altezza reale Aga Khan. Sette italiani al lavoro su trenta dipendenti. I soci dello Yacht Club volevano un luogo per i loro inverni. E’ stato scelto il Caribe. Questa isola, Virgin Gorda. Per i venti che qui si incrociano festosamente, per la bellezza (ancora e sempre la bellezza), per la stabilità politica ed economica delle isole, per la sicurezza. ‘Il paradiso, insomma’. Paradiso è parola inflazionata alle isole Vergini.
Mario e l'importanza del basilico

Cuoco italiano che ha seminato basilico e cipolle. E incoraggia un ‘contadino’ locale (è la prima volta che mi dicono che qualcuno qui coltiva un pezzetto di terra) a piantare melanzane e pomodori. Il cuoco ha metodi bruschi e tratta con durezza i ragazzi della cucina. Ma è bravo sul serio. Aveva un ristorante stellato in Italia. Ha rinunciato perché ‘sfinito dalle tasse’. Mi invita a fotografarlo mentre fa saltare il riso. Ne ammiro l’abilità e il saper fare. Giochiamo ai ruoli: se ne avessi un altro, se non fossi un fotografo fasullo, mi caccerebbe dalla cucina in un minuto. Così, mi travesto e lo guardo mentre assaggio il riso (arborio, la sua cottura dipende anche dall’umidità, la mantecatura due minuti, le capesante, i pistilli dello zafferano). Il cuoco ha figli dispersi nei ristoranti di Singapore e Abu Dhabi. Ancora un altro mondo. Come un imbecille, mi chiedo perché non ho fatto il cuoco. E conosco già la risposta. E poi ci sono i ragazzi che, venuti qui, per ‘fare un’esperienza’, rimangono per lunghi mesi. ‘E’ bello stare qua’. Loro sono belli, mi piacciono molto. Porte sempre aperte, niente chiavi. Libertà. Anche la parola ‘libertà’, corre con frequenza. E Stefano, il direttore dello yacht club, ha parole di saggezza: ‘Siamo qui, ci stiamo bene e vogliamo dare qualcosa all’isola. Incoraggiare economie locali. Accettare il loro modo di vivere e di pensare. Tentare un’intesa’. Devo crederci? Confesso: mi piace davvero questo posto, ha una bellezza (ancora, per l’ennesima volta) che mi appare vera. Mi appare ‘elegante’ senza trucchi.
Sulla parete di una sala c’è un immenso fossile. Antico di dodici milioni di anni. Venduto a un’asta. Comprato dall’Aga Khan. In realtà ne ha comprati otto. Sei sono in Sardegna. Uno è qua. E l’altro sarà destinato a un altro luogo ancora sconosciuto.
Hanno un’allegria mediterranea, questi ragazzi.
E, intanto, attracca un tre alberi superbo. Appartiene al fondatore di Netscape. Jim Clark, I suppose. La nuova ricchezza non ha addosso la polvere dell’acciaio o del carbone (del petrolio, sì), ma l’impalpabilità, a me incomprensibile, di Google, di Skype, della Apple (tutti Mac da queste parti), di Facebook, di Twitter…sappiatelo quando li usate in nome della nuova democrazia….

Mi portano via da qui. E qui, come sempre, vorrei rimanere. Per un po’, almeno per un po’. Per un’altra vita. Un’altra possibilità.
Il pontile di Beef Island

E’ finito il giorno di visite. Sul vecchio pontile corroso di Beef Island, sbarcano gli operai, le cameriere, le massaggiatrici di Bali, i vecchi giardinieri, gli inservienti dei resort. Una ragazza nera sembra uno strano uccello seduto su una panca. Si guarda in giro con apprensione. Sta in silenzio. Non riesco a immaginare cosa stia aspettando. Gli uomini sono grossi, dai colli di toro e le pance forti. Le donne sono immense. Si salutano con singulti di tuono. Non ci degnano di uno sguardo.

Ecco, fine giornata

Un nave-taxi per un’altra isola. Non c’è mai tempo in questo ‘paradiso’. E io sono lento. Ho bisogno di tempo. Mi metto a prua. In alto. Un marinaio mi guarda e cerca di avvertirmi. Dico che va bene così. Mi lascio schiaffare dagli spruzzi del mare. Finché le onde si agitano, non ho pensieri.
Somewhere in Caribe, 6 marzo

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