Intervista di un anno fa. Uscita in queste settimane nel libro Politiche per uno sviluppo umano sostenibile, curato da Enrica Chiappero-Martinetti. Intervista ad Alex Zanotelli, missionario al quartiere Sanità di Napoli. E' tempo di metterla su questo blog. Anche perchè c'è una domanda di attualità in questo colloquio: sulla ricchezza, sul 'valore' e sul 'ruolo' della ricchezza.
 |
Alex Zanotelli nella sua casa al quartiere Sanità |
La mia ultima intervista a padre Alex (qui, a Napoli, è padre Alexe, accento sulla A) era avvenuta nella sua baracca di Korogocho, immenso slum di Nairobi. Dieci anni dopo lo ritrovo in una microcasa verticale al centro del quartiere Sanità a Napoli. In una minuscola casa-campanile.
Alex non può vivere lontano dalle frontiere, da quei margini della società che il mondo contemporaneo vorrebbe invisibili. A Napoli 240mila persone vivono ai limiti della possibile sopravvivenza. I resoconti sociali sono più che allarmanti: due famiglie su dieci faticano a mangiare tre volte alla settimana, dispersione scolastica al 45%, disoccupazione al 40% (ma, qui alla Sanità, tutti sostengono che non vi è alcuna possibilità di trovare un lavoro), un terzo delle famiglie non riesce a pagare l’affitto. Un terzo non paga le bollette di acqua e luce. A Napoli il reddito pro-capite è di 16mila euro all’anno. A Milano è più del doppio. La metà dei napoletani ogni mese si indebita per almeno duecento euro. Alla Sanità, terra di camorra diffusa, cinque chilometri di superficie, vivono 67mila persone. Una densità impressionante.

Ma la Sanità è anche il quartiere dove è nato Totò, adorato in questi vicoli, anche se la sua casa grigia, via santa Maria Saecula, al numero 109, è quasi introvabile e dimenticata (mai nato il museo più volte promesso dal Comune). I vicoli del rione sono di grande bellezza e vitalità formicolante. Qui i giovani della cooperativa La Paranza hanno aperto un bel bed&breakfast e guidano, con bravura, i turisti fra straordinarie meraviglie (grandi palazzi, reticolo di catacombe, chiese bellissime). Alla Sanità, ogni giorno, ci si inventa una vita. Padre Alex, settanta anni passati, energia ben oltre la sua età, al suo ritorno in Italia, non poteva che vivere qua. E ogni angolo della sua stramba casa non può che ricordare l’Africa. Nord e Sud del mondo si incontrano sotto il campanile di santa Maria alla Sanità. Una donna sale la scala a chiocciola della casa di Alex. Ha bisogno di raccontare, oggi la sua fatica è eccessiva e chiede un conforto. Alex trova tempo, ascolta: la donna vive con 450 euro, guadagnati a nero, e ha due figli. Il suo non è un lamento, è un’orazione. Come è possibile vivere in questa Korogocho italiana?
Dodici anni a Korogocho, la ‘Babilonia’ di Nairobi. Quasi dieci al rione Sanità, uno dei tanti ventri di Napoli. Un tempo per definire questi luoghi avresti usato il termine ‘sotterranei della storia’. Oggi non lo fai. Cos’è la povertà in una baraccopoli africana e cos’è in quartiere di frontiera nel Sud dell’Italia? Ha ragione chi sostiene che Napoli è l’Africa d’Europa?
“Il linguaggio deve cambiare. Sono luoghi diversissimi fra loro e anche tu devi cambiare registro. Vi sono differenze immense fra Korogocho e il rione Sanità. Come fra una baraccopoli africana e una favela brasiliana. Penso anch’io che Napoli sia l’Africa dell’Europa. In questa città vi è la più alta concentrazione della povertà del continente. In Africa non hai niente e vivi con niente. La miseria è assoluta. Alla Sanità, invece, non sei miserabile, anche se non sai come pagare l’affitto, la luce o l’acqua. Se abiti a Korogocho vivi sulla tua pelle l’abisso che divide il Sud del mondo dal Nord. Forse, in una baraccopoli africana, c’è più dignità nel vivere la miseria. A Napoli, per retaggi storici, colpa di malgoverni secolari, il degrado morale è un grave problema. Quando scegli di vivere alla Sanità devi saper immergerti nella realtà, devi comprendere la connessione dei grandi problemi, devi infilarti nelle crepe di un mondo per cercare di scardinare ‘o sistema che produce un’ingiustizia planetaria.
Cosa vuol dire?
Vi sono grandi questioni che legano il Nord al Sud del mondo. L’acqua, a esempio. E continuo a sorprendermi come questa emergenza sia sottovalutata. La privatizzazione dell’acqua, accettata dal nostro sistema, produrrà conseguenze inaccettabili nel Sud del mondo. Se i poveri saranno costretti a pagare l’acqua secondo le leggi del mercato, la loro vita sarà devastata. I morti per sete raddoppieranno. L’acqua è una delle crepe in cui dobbiamo incunearci. Dovrebbe essere un impegno urgente del mondo missionario.
Ti senti missionario a Napoli?
Profondamente. Noi missionari, al ritorno dall’Africa, abbiamo grandi responsabilità e spesso le ignoriamo. Viviamo di nostalgia, al massimo facciamo testimonianza di quanto abbiamo vissuto. Non dovrebbe essere così. Abbiamo compiti anche qui. Le comunità cristiane di Korogocho vollero salutarmi la sera precedente alla mia partenza da Nairobi. Lo ricordo perfettamente: era il 17 aprile del 2002 e centinaia di persone vennero a imporre le loro mani sulla mia testa. Fu commovente, ma io, in particolar modo, sono grato a un pastore di una chiesa indipendente che promise di pregare non per me, ma per chiedere allo Spirito Santo di darmi la forza di convertire la mia tribù bianca. Aveva ragione, era un’intuizione formidabile: noi, qui, abbiamo la missione di far comprendere alla nostra tribù, in grande maggioranza gente cristiana, che siamo responsabili degli scempi che stanno distruggendo il mondo. Qui sono le strutture economiche e finanziarie, grandi organizzazioni del peccato, che stanno riducendo in schiavitù gran parte della popolazione di questo pianeta. Se noi non siamo capaci di fermare qui la macchina del sistema, l’Africa non avrà speranze.
Tu sei in prima fila nelle battaglie per l’acqua e per i rifiuti. Perché questi due grandi problemi? L’emergenza di Napoli non è il lavoro? Il tasso di disoccupazione qui è al 40%, i ragazzi sanno che non troveranno mai un lavoro e che non avranno alcuna possibilità di un reddito onesto.
Confesso: non saprei come inserirmi in una battaglia per il lavoro. Ti ripeto invece che sono convinto che acqua e rifiuti siano due fratture fondamentali in questo sistema. Sono due contraddizioni serie nei meccanismi economici e finanziari del nostro mondo. Qui si può cambiare qualcosa. Qui si può vincere e affermare la priorità dei beni comuni sull’egoismo del profitto. L’emergenza rifiuti, anche se prevedibile da tempo, è scoppiata come una bomba. Si sono nascosti i rifiuti da una discarica all’altra, ma niente si è fatto per risolvere il problema. Questa è la punta di un iceberg. Napoli è un paradigma: la nostra società, se non cambia rotta, è destinata a essere sommersa dai rifiuti. Siamo destinati a morire sotto una coltre di spazzatura. Acqua e rifiuti mettono subito in discussione i nostri stili di vita, ci impongono di cambiare il nostro modo di vivere. Le lotte delle comunità di Napoli contro i rifiuti non sono semplici battaglie contro una discarica o l’altra: dicono al mondo che il diritto alla salute, all’aria, all’acqua pulita sono fondamentali per l’uomo. Sono diritti inalienabili che non possono diventare mercato. Aria e acqua non sono beni economici. La gente, quando avverte sulla sua pelle problemi concreti, comprende la necessità di agire, di pretendere un cambiamento. E’ una scelta fra la vita e la morte. Noi dovremmo essere capaci di allargare queste crepe del sistema. Dobbiamo far capire la globalità di temi come l’acqua e i rifiuti e, allo stesso tempo, essere capaci di affrontarli nei luoghi dove viviamo.
A Nairobi c’è un apartheid economica. I ricchi vivono in quartieri militarizzati, la moltitudine dei poveri abita baraccopoli abbandonate a loro stesse. A Napoli sembra diverso: ricchi e poveri, almeno nelle zone centrali, vivono fianco a fianco. I Quartieri Spagnoli sono alle spalle di piazza del Plebiscito e la stessa Sanità, lentamente, sta cambiando.
Attento, non farti ingannare dalle apparenze. Napoli sono due città. Chi vive a Chiaia o a Posillipo, quartieri eleganti, non vuole avere niente a che fare con la gente che abita alla Sanità o a Forcella. Men che meno con chi arriva da Scampia o Secondigliano. E’ vero che si è costretti ad attraversare i Quartieri Spagnoli o Forcella, ma alla Sanità bisogna proprio venire, sono state costruite strade per evitare questo quartiere. Che, nei fatti, è stato ghettizzato. I napoletani non vengono alla Sanità. Ne hanno paura. No, Napoli è una città divisa in due e la separazione è molto netta. E questa è una semplice città, è una delle più grandi megalopoli d’Europa. Quattro milioni e mezzo di abitanti fra Pozzuoli e Sorrento. Ripeto: la più alta concentrazione di povertà del continente. E la Sanità è uno dei luoghi dove evidenti sono le devastazioni del consumismo. La televisione e i peggiori modelli sociali hanno messo radici in una sottocultura napoletana. Una ragazzina della Sanità sogna solo di diventare velina, fai un giro per i vicoli del quartiere e vedrai quanti centri di abbronzatura ci sono. I ragazzi pensano solo al motorino e alla droga. Questo sono i simboli con i quali sta crescendo una generazione di adolescenti.
Fammi capire le conseguenze di quanto mi stai raccontando.
I motorini dei ragazzi sono sempre l’ultimo modello. Costano molto. Entri nelle case più degradate e vedrai cucine ipertecnologiche e su una credenza un televisore ‘o plasmon. Per comprarsi queste cose, in assenza di lavoro, le famiglie si indebitano. Ogni giorno, al mattino, sono in molti a spendere venti euro per il gratta e vinci. Il denaro, i soldi, sono diventati un’ossessione. E allora ci si rivolge agli usurai. Che vivono sul tuo pianerottolo, sono i tuoi vicini di casa. Ci si consegna a loro mani e piedi. Qui tutta l’economia è in nero. Lavorare legalmente oltre che impossibile, non è conveniente. Noi, da mesi, abbiamo offerto possibilità di microcredito, abbiamo fatto buoni accordi con Banca Etica, i tassi sono bassissimi, accessibili a chiunque. Pensavamo che avremmo avuto la fila di gente davanti allo sportello. Ma in un anno, niente è andato a buon fine. Noi chiediamo rispetto della legalità per concedere un prestito e ci viene risposto che è meglio un’attività a nero a un lavoro o a una microimpresa legale. Abbiamo aperto doposcuola perché non ve ne sono nel quartiere. E’ importante che si sia un sostegno alla scuola, perché il disinteresse delle famiglie verso quanto offre l’istruzione è dilagante.
Padre Alex, cosa sogna un ragazzino della Sanità? A cosa aspira? Quali strumenti possiede per una crescita personale?
Devi solo immaginare che qui uno spacciatore guadagna almeno 700 euro a settimana. Che i ragazzini hanno sotto gli occhi il potere di un piccolo boss di quartiere. Sanno che i bisogni della loro famiglia, persino i loro libri di scuola, sono comprati grazie ai soldi di queste persone. La scuola è un problema. Sono stati fatti tentativi, corsi di specializzazioni in settori in cui si pensava ci fosse la possibilità di trovare lavoro, ma tutto sembra inutile. A Napoli sai che puoi anche conseguire una laurea con il massimo dei voti, ma il lavoro non ci sarà. Un ragazzo della Sanità sa che se vuole una vita normale, può solo andarsene. Migrare. Dalla Campania, lo scorso anno, se ne sono andati in 65mila. Si cercano soluzioni individuali alla crisi di una società. Eppure don Milani ci aveva avvertito già qualche decennio fa: uscire da soli da un problema, è avarizia. Uscirne assieme è politica. A Napoli si è costretti, anche per l’egoismo delle classi dirigenti, a cercare strade personali. Fatte di sotterfugi e furbizie. La società si è atomizzata. Non c’è volontà di mettersi assieme, non c’è volontà di cercare un’uscita collettiva dai problemi. C’è la camorra che ti risolve i guai nei quali ti trovi. A lei ti rivolgi, di lei sei prigioniero.
Tutto così nero?
No, non fraintendermi. Ci sono sussulti di vitalità, segnali di ribellione, tentativi di riprendersi il proprio destino in mano. Sono storie fragili, ma importanti. Il parroco di Santa Maria ha organizzato cooperative di giovani per servizi al turismo. Questo è un quartiere bellissimo. Colmo di arte, di storia. C’è una rete di catacombe sconosciute da visitare: i complessi di san Gaudioso, di san Gennaro, il cimitero delle Fontanelle. Il turismo è una speranza. Ci sono già bed & breakfast. Può funzionare. Anzi, funziona. Alla Sanità vengono gli stranieri. Ben più che i napoletani.
Cosa si pensa delle istituzioni alla Sanità? C’è uno stato, un’amministrazione comunale?
Nella migliore delle ipotesi sono assenti. Nella peggiore sono visti come nemici. Il Comune ha dato il permesso per aprire un supermercato nel quartiere. Ma come si fa? Qui ci sono almeno duecento commercianti che sopravvivono a stento e tu fai aprire un supermercato? Vuoi davvero cancellare un tessuto economico e sociale essenziale. Pensa che eravamo tutti d’accordo. Persino il proprietario del supermercato era disponibile a vendere l’immobile che possedeva. Un assessore si era anche impegnato a far sì che il Comune lo comprasse. Niente da fare. Siamo stati traditi e abbandonati.
E ancora: c’è una grave problema per i senza fissa dimora. Possibile che il Comune non sia capace, o non voglia, trovare una soluzione? Possibile che non ci sia un luogo dove ospitare le centinaia e centinaia di persone che dormono per strada? Ci sono riusciti i Borboni a dare assistenza a chi non ha niente e loro no. Il comportamento delle istituzioni è vergognoso.
Mi stai dicendo che solo la chiesa sta fronteggiando i guai sociali di Napoli?
No, non è così. Le parrocchie rimangono centri religiosi. Solo qualche singolo prete, con buona volontà, affronta seriamente i problemi sociali. La chiesa-istituzione mette avanti la religione: non riesce a legare la fede ai grandi temi della società. Fa carità. Non si impegna nelle battaglie sociali. Non vedo molte parrocchie attivi sul grande tema dell’acqua o dei rifiuti. L’istituzione chiesa non capisce che queste lotte sono la Buona Novella dei nostro tempi. E bisogna mettere al centro non la religione, ma l’uomo.
Tu hai detto che a Napoli si assiste allo scontro fra italiani poveri contro stranieri poveri. Mi aiuti a capire?
Sta aumentando oltre ogni livello di guardia, un razzismo di stato e un razzismo popolare. I governi utilizzano la povertà per aizzare la gente una contro l’altra. Fomentano un odio etnico. Ti dicono che gli stranieri portano via il lavoro e la casa agli italiani. Non è certamente un fenomeno napoletano, ma mi appare ancor più grave a Napoli dove vi è sempre stata una grande tradizione di accoglienza. Qui alla Sanità, cinque secoli fa, viveva una comunità cinese. Oggi stranieri, migranti, rom sono vissuti come nemici. Come i colpevoli della povertà. E’ davvero un razzismo di stato.
Padre Alex, la povertà nel mondo è diminuita. I risultati ottenuti da cinque paesi (Cina, India, Indonesia, Viet-nam e Brasile) sono impressionanti. Milioni di persone sono uscite dalla povertà. I paesi asiatici hanno puntato tutte le loro carte sulla crescita e hanno avuto ragione. E’ un modello vincente? Nessuna democrazia in politica – non è il caso del Brasile – e assoluto liberismo in economia: dobbiamo seguire questa strada? Dopo i fallimenti delle politiche di sviluppo, l’Africa è ben più che tentata di seguire il modello cinese.
No, dovremmo porci una semplice domanda: quanto può durare questa corsa sfrenata? La Cina e gli altri paesi asiatici stanno bruciando energie smisurate, hanno un continuo bisogno di materie prime. Il loro progresso ha il fiato corto. Ci sarà, entro pochi decenni, una drammatica resa dei conti. Anche Pechino, al vertice di Cancun, ha dovuto ammettere che i cambiamenti climatici sono reali. Se il 20% dell’umanità ha messo in crisi il mondo con uno stile di vita insostenibile, cosa accadrà quando tutti i cinesi vorranno avere lo stesso livello di ricchezza? Non abbiamo più di cinquant’anni per invertire la rotta che ci sta conducendo verso una catastrofe mondiale.
Ma noi dobbiamo stare attenti anche a farci vanto delle democrazie occidentali in contrapposizione alla dittatura cinese. A me sembra che la democrazia sia in crisi in tutto il nostro mondo: oggi la tentazione è quella di ‘un uomo solo al comando’. E non mi riferisco solo all’Italia. I centri di decisione sono sempre più ristretti e la politica è schiava dei potentati economici. Sono pochi uomini, dalla ricchezza immensa, a decidere il destino della Terra. E l’Africa rimane una ferita aperta, non conta niente negli equilibri del potere mondiale. La corsa alle sue materie prime ha scatenato e scatenerà ancora altre guerre, altra disperazione. E’ il continente più fragile del pianeta.
Te l’ho già chiesto altre volte, padre Alex: la ricchezza è un peccato?
No, non lo è. Dio vuole che si stia tutti bene. Sono splendide le parole della Costituzione statunitense che indica la felicità come un fine collettivo. Ma la ricchezza deve essere distribuita equamente. E’ il suo accumulo che è peccato.
Alex, c’è un luogo dove tutti sono ricchi. Ed è la tua valle. La Val di Non, in Trentino, la terra dove sei nato. In una generazione, la tua, si è passati dalla povertà a un benessere elevatissimo. Ancora una volta: è un modello da seguire?
E ancora una volta, ti dico di no. E’ vero che là tutti sono ricchi, ma non sono certo felici. Negli stessi anni in cui si è costruita la ricchezza di una generazione, si è distrutto una rete spontanea e naturale di amicizie, familiarità, solidarietà, convivenza. Oggi, in Val di Non, si vive rinchiusi nel proprio egoismo. Quando ero bambino, se a una famiglia moriva una mucca (ed era un guaio serio), tutti si davano da fare per comprare un chilo della sua carne per permettere a quella gente di ricomprarsene un’altra. Oggi il denaro ha soffocato l’umanità della valle. Sei infelice perché i soldi sono una ossessione. Enrico Chiavacci, un teologo fiorentino, ha spiegato con semplicità che per rispettare il vangelo è sufficiente osservare due comandamenti: non arricchirti, ma, se per qualsiasi ragione sei o diventi ricco, è bene condividere ciò che possiedi. E’stato Eric Fromm, ebreo e agnostico, a farmi comprendere un insegnamento di Gesù: se tieni la tua vita solo per te, sei fregato, ma se sei capace di giocartela, allora sei una persona viva. La felicità è condivisione, è relazione. La solitudine, l’accumulo di ricchezza solo per sé, uccide la tua anima. In Val di Non si ricchi, ma si sono smarriti i valori più elementari dell’uomo. E l’uomo ha bisogno di valori. Torno sempre all’acqua: accettare che sia una merce è la spia di un mondo che ha smarrito la sua umanità. Trent’anni fa, solo pensare che l’acqua potesse essere una merce era un’eresia. L’ideologia del consumismo ha travolto i nostri cuori e la nostra testa, ci guardiamo di continuo solo il nostro ombelico. Senza alzare gli occhi a incrociare quelli del prossimo.
Devo chiedertelo, padre Alex. Siamo a Napoli e tu sei un prete. In questa società ha grande importanza san Gennaro. Che ruolo gioca la devozione popolare a Napoli?
In questo Napoli è simile all’America Latina. La devozione popolare esprime una religiosità profonda. E va presa seriamente: gli uomini hanno bisogno di darsi spiegazioni, di capire, di avere speranze. L’uomo è un animale politico, economico e religioso. Questa devozione dovrebbe essere canalizzata: potrebbe diventare impegno sociale, forza di cambiamento. Basterebbe ascoltare l’insegnamento biblico: sarebbe un’arma formidabile per aiutarci a liberarci dall’impero del faraone. Oggi abbiamo necessità di un’utopia mondiale: siamo tutti interconnessi e stiamo vivendo anni difficili, ma è proprio nei momenti di crisi che gli uomini e le donne tirano fuori il meglio di loro stessi e trovano risorse insospettabili. Gli anni di Korogocho mi hanno insegnato che la voglia di vivere dei poveri è fortissima, che la vita è sempre più tenace della morte. Io, da credente, so che Dio non ci abbandonerà: non è il Dio dei miracoli, quelli tocca a noi farli, ma è un Padre che camminerà al nostro fianco e ci incoraggerà nella ricerca di nuove strade.
Il luogo dell’intervista
La casa del campanile. Angolo della piazza di santa Maria alla Sanità, piazza del quartiere. Bandiera della pace appesa alla finestra. Karibu, Benvenuti, scritto sulla porta. Non è una vera casa: tre micro-piani, una stretta scala a chiocciola, segni della militanza (cartelli, striscioni, volantini, riviste) al piano terra. Cucinotto (fornello portatile a due fuochi) e tavolo al primo piano. Sopra, non so. Forno a micronde scassato, intrico di fili e prese di corrente. Stufetta elettrica. Intasamento di persone in cucina. Un uomo porta i dolci fatti dalla sorella, un ragazzo vuole parlare, altri giovani, registratore e microfono in mano, aspettano l’ennesima intervista.