giovedì 6 dicembre 2012

Ancora Dancalia/1. La strada per Afdera


Sorry, sbalzo di tempo. Solo gli afar, gente della Dancalia, sono capaci di arrampicarsi su rocce e acacie e afferrare 'il campo', una brezza di rete che vaga per l'aria rovente di questo deserto. A me non riesce. Loro vanno in giro tenendo ben alzato il cellulare e prendono al volo un refolo di frequenza. E allora parlano, parlano. La famiglia è tutto per un afar e il cellulare consente chiacchiere sempre uguali ogni giorno. Così, oggi, viaggiano le 'dagu', le notizie, in Dancalia. Io non ci ho nemmeno provato. Non ho la loro pazienza. Non sono andato in cerca di connessioni. E così il diario di questo viaggio si è fermato nel blog. Scusatemi.
Ora, in altopiano, riprende un racconto di un tempo che è già passato. Quasi lontano. Quando accadeva quello che scrivo qui sotto? Un mese fa? Un anno fa? Non è mai accaduto?

Mahamuda Haji Hussein, il venditore di chiodi ad Asayita

 Mahamuda Haj Hussein ha la barba tinta di hennè e la bolla della preghiera sulla fronte. Vende attrezzi da fabbro o da muratore al mercato di Asayita. Vende chiodi bellissimi. La loro capoccia si attorciglia su se stessa e diventano un capolavoro di arte contemporanea. Haj Hussein è il ferramenta del mercato. Mi riconosce. E' invecchiato, sono invecchiato. Quanti anni sono passati? Una volta scattai una sua foto. Ripassammo di qui l’anno dopo e gliela diedi. Ora mi riconosce: Andreas…..e c’è emozione nella sua voce. Spalla contro spalla. Mano sul cuore. Ci guardiamo con occhi felici.
I miei amici comprano chiodi, falcetti, un vecchio forcone, anelli con antiche monete. Haj Hussein mi fa un grande sconto sui miei chiodi e mi regala un bracciale di ottone. Mi indica la sua casa e mi fa capire: ‘La prossima volta prendiamo il tè da me’. Insh'allah.

La casa che avremmo dovuto comprare anni fa

Il vecchio minareto di Asayita

Il mio letto sulla terrazza de Basha Hotel.


Il paesaggio dalla mia terrazza. Quest'anno le piogge sono state generose, l'Awash è ancora in piena

 La nostra casa di Asayita è crollata. E’ venuta giù una parete. ‘Accident’, mi dice Anfray. E poi tace. Io guardo il muro sventrato. Avevamo davvero desiderato questa casa.
Anche il Basha hotel è cambiato, Asfe ha abbattuto l’ingresso, adesso la corte si apre come un grande spazio sulla strada. Sì, forse è più bello. La nostra terrazza è sul punto di crollare, ma Asfe mi concede di dormirci da solo: ‘A bed of a king’. Ancora una volta dormo sospeso sul fiume Awash.

Il mercato di Asayita, le stuoie

Le spezie

Scambi

Il banchetto delle 'medicine'

Il ragazzo della fonderia

Arriviamo sempre al martedì ad Asayita. Giorno di mercato. Il più bello dell'Etiopia. So che così non è, ma è bello davvero. Qui ho la prova che il mondo dei nomadi, a volte, è sedentario. Nessuno ha cambiato il suo posto in questi anni. Trovo la ragazza delle arance, il bar del tè, la donna della 'njera, il cammelliere che arriva da Gibuti, il contrabbandiere con occhi da falco che sta sullo spigolo di una baracca, la vecchia che mi sembra vendere sempre la stessa stuoia. Riconosco i volti, i gesti, le contrattazioni. L'Africa ama la conservazione. So dove sedermi per guardare il mercato. Afferro uno sgabello. E potrei giurare che sono gli stessi bambini che mi si mettono davanti per non perdersi lo spettacolo di un bianco che beve il tè. Ma no, questo non è vero. Lascio ad alcuni di loro le foto scattate negli anni passati. Forse troveranno i loro fratelli diventati grandi.

La vecchia piazza di Asayita

I condomini di Asayita


Cambia, Asayita. E' già cambiata. Sono quasi finiti i nuovi 'condomini', abitazioni già in degrado (un tempesta ne ha sollevato i tetti), costruiti da indiani. Dicono che la città raddoppierà gli abitanti. Gli indiani girano con il volto ingrugnito. Braccianti dell'altopiano caleranno in questa terra desolata per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero. L'Awash qui si impantana, non raggiunge il mare e rende fertile un piana sterminata. Vi si è coltivato cotone per decenni. Ora il governo ha l'ossessione della autosufficienza energetica. Ha sbarrato il fiume con una diga, creato un grande lago. La canna da zucchero servirà per il bio-fuel. Cambia la geografia, la società, gli equilibri. Asayita era la capitale del sultanato afar. Anfray Alì Mirah è il 'giovane' sultano. Non riuscirò mai a capire i suoi reali poteri. Per i vecchi di Asayita e per gli afar della pastorizia è lui il vero capo. Quello che amministra giustizia e dirime le controversie. Ma la nuova Asayita minerà il potere tradizionale. E un giovane afar cosa pensa? C'è chi ancora si cosparge i capelli di burro di capra e va in cerca di una ragazza e chi, invece, sogna di vivere a Semera, polverosa, nuova capitale della regione Afar. 

Il minareto di legno di Airo Lafo

La capanna del capo villaggio di Airo Lafo

Il minareto in legno di Airo Lafa è ancora in piedi. E’ un luogo desolato, questo, ma in Dancalia, come in Sahara, ci si difende con l'ironia. Il suo nome, mi traducono, significa: ‘qui c’è il sole e non c’è un solo albero’. Eppure un clan afar, duemila persone, vive qui da almeno due generazioni. ‘Dal tempo del sultano che ha preceduto l’ultimo signore degli afar’, mi spiegano. Cerco di capire: almeno da settanta anni fa, se non sbaglio genealogie nobiliari afar. 
Sono pastori sedentari, gli agar di Airo Lafa. Allevano dromedari e capre. Durante la stagione delle piogge lasciano la loro capanna e si trasferiscono in terre asciutte. Poi tornano qui. Mangiano solo latte e pane. A volte la carne di un vitello ucciso. La vacca, così, continuerà a dare latte per gli uomini e le donne.
Anni fa vidi sorgere uno sbilenco minareto di legno. Capolavoro di land-art. Ci avvicinammo, parlammo un po', e, alla fine, ci chiesero se potevamo contribuire alla costruzione di una moschea in muratura. Non lo abbiamo fatto. E’ stato Habib Mohamed sceik Mussa a donare il denaro per la piccola, nuova moschea. Sceick Mussa è un ricco mercante di dromedari. Sceick ha una sola moglie e dieci figli. La donna, Hirrig, ha un’aria affranta e pallida.
Non manca molto a terminare il nuovo minareto. Ma il vecchio, bellissima costruzione arcuata in legno, è ancora in piedi. Con ostinazione.
So che un giorno cadrà al suolo e la sua legna servirà per alcune settimane di fuoco.

Il bar di Sixties. La cassetta delle elemosine per una chiesa nel Wollo

Il vecchio e i suoi sandali

Gli amhara, gente dell’altopiano, hanno tolto dignità al villaggio di Guiah. Lo hanno chiamato Sixties. Sta a sessanta chilometri dall’incrocio con la grande strada per Gibuti.
I bar di Sixties e di Afdera sono gestiti tutti da tigrini. Si ascolta musica tigrina in terra afar. Si beve birra Saint George e si raccolgono elemosine per chiese cristiane dell’altopiano. Qui siamo in terra afar.
Un vecchio si avvicina al nostra tavolo fra le capanne di Sixties- Guiah. Sta in equilibrio sulle suo ossa di cartavelina e le sue gambe senza più pelle. Si siede in silenzio. Mostra una coppia di sandali a strati, fatti con pelle di dromedario. Sta lì con occhi di acqua. I sandali pendono dalle sue dita. Non dice niente. Alla fine, qualcuno compra. E lui non sorride. Vorrebbe vendere altro. Perfino la sua borsa. Quando ce ne andiamo, se ne va anche lui. Trascina i piedi, non ha forza per alzarti. Vorrei seguirti. Vorrei passare del tempo con te. Anche se tu, a naso, un bianco proprio non lo sopporti.

Le saline del lago Afdera

Il lago Afdera


Cosa avrà visto chi scrisse, ottanta anni fa, che il lago Afdera è ‘plumbeo e tristissimo’. Galleggio nella sua acqua salata, afferro correnti di acqua calda, la luna riflette i mie movimenti lentissimi. Felicità pura.

La vecchia architettura del sistema di pompaggio dell'acqua per le saline

Campo sulle sponde del lago Afdera

L'uomo che raccoglie la duma

A notte, un uomo scivola fra le nostre tende. Sale, senza incertezze, su una palma. Lo guardo e non posso credere ai miei occhi. Sale come un gatto. Va a raccogliere il recipiente in cui durante il giorno è colata la duma, linfa alcolica della palma dum. Si arrabbia perché cerco di scattare una foto al buio. Scende e mi punta il dito contro. Fa due passi sdegnati. Poi ci ripensa. Mi offre un sorso di duma. Ha il sapore del legno.
Afdera, 27 novembre

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