mercoledì 16 maggio 2012

Italia, quanto sei lunga




Accettura


‘Italia, quanto sei lunga. Italia, quante chiese….

Discesa verso Sud. I campi sono ancora incerti fra un verde smagliante e la voglia di una fine estive. Non mi accorgo dei cambi di paesaggio. L’autostrada sbiadisce le differenze. Non mostra le diversità. Facilita il tempo del viaggio, ma omologa, rende uniforme.

Sì, rimangono paesi in equilibrio su montagnole aguzze. Paesi che visti da lontano non hanno colori. Qualche collina di pietra a Sud di Roma, i paesaggi cercano un’asperità perduta. Improvviso, il cono del Vesuvio. Unico nome che ti viene subito alla mente quando appare a chiudere l’orizzonte. Qualche periferia sgangherata dalle parti di Caserta e attorno ai caselli di Salerno.

Alla fine fai l’elenco di zone industriali, di una manciata di fabbriche già in rovina, altri capannoni, invece, sono lucidi di insegne. Poi ci sono gli outlet sistemati strategicamente ai confini dei caselli, le innumerevoli antenne per cellulari (una geografia capillare che ha cambiato, senza che noi ce ne accorgessimo, la nostra vita), persino cinema multiplex sembrano preferire i bordi delle autostrade ai paesaggi urbani. La vecchia ‘autostrada del sole’ è diventata metropoli lineare. Non luogo dell’Italia.

Dalle parti di Salerno, i ragazzi si spenzolano dai cavalcavia per scrivere dei loro amori. Scritte vecchie: 'Io e te, 3metri sopra il cielo'. 'A te che6fatale'. 'Chicchin6unico'. 'Mariella dei fiori'. Graffiti aerei invecchiati come lapidi della Grande Guerra.

Non ci sono nemmeno troppi camion. Devo preoccuparmi per la crisi? Sfugge a una fotografia un grande camion color avorio. Con sopra Padre Pio e una scritta: ‘Molti nemici, molto onore’. E’ rimasto al decrepito, l’autista.

Lungo la strada della foresta di Gallipoli



Poi l’altra Italia, Italia quanto sei lunga, appare non appena metti il naso fuori dai guard-rail. Si esce dal territorio della contemporaneità per varcare il confine di un altro paese. Di un altro tempo. Un’altra modernità. Salita verso Accettura, Dolomiti della Lucania. Fa freddo. I campi ritrovano una primavera che ancora ha voglia di essere tale. Due vacche, dal manto grigio e dall’indifferenza nella loro lentezza, pascolano beate e si spostano in mezzo alla strada. Foresta di Gallipoli Cognato. Bosco di cipressi. Anche le cavalle con i loro puledri cercano di far capire che questo è un altro mondo. Venti chilometri fino ad Accettura. Nemmeno una macchina fino al paese.

La preparazione dei provoloni

Riconosco i vecchi del paese. Sono seduti allo stesso posto. Al sole della piazza. Davanti ai bar. Ragazzette con i piercing e vecchi del silenzio con il cappello in testa. 

A cena fave e salsicce, treccia di formaggi e carciofini sott’olio. Si parla delle comunioni dei figli e delle figlie. Bisogna andare a Potenza a cercare gli abiti della festa. Si contano i soldi. Qualche timore per il lavoro dell’elettricista e del muratore che diminuisce. C’è chi è ancora a fare il formaggio e arriverà solo a notte inoltrata. Ha fatto freddo per tutto il giorno e il provolone ha cominciato a filare solo nel tardo pomeriggio. Ci vuole tempo.
Accettura, 15 maggio

2 commenti:

  1. sei un grande andrea! con le tue parole riscatti un microcosmo.

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  2. Il paese, il microcosmo, ne sono certo si riscatta da solo. Io vorrei solo raccontare la meraviglia di questa terra. Con occhi da straniero, è vero, ma che avverte una fratellanza...

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