To exist is to resist |
Al venerdì pomeriggio lascio Gerusalemme per Bethlehem. Vado
a Betlemme, la ‘Città del Pane’. Mi incammino quando il sole comincia a calare
sul cielo della Palestina. Ma già so che non potrò godere del tramonto. Dove
sto andando l’orizzonte è chiuso dal Muro. Ho un appuntamento con un piccolo
gruppo di uomini e donne. Mi aspettano poco oltre il check-point numero 300.
Cammineremo assieme per cento metri. Per un rosario.
I nostri passi sfioreranno la barriera di cemento armato alta otto metri che
divide Bethlehem, terra di Palestina, dal resto del mondo. Oltre sessantamila
palestinesi (dati della municipalità) non possono, se non a prezzo di fatica e
batticuore, uscirne. Sono rinchiusi dietro un cerchio di lastre di cemento.
Suor Donatella |
Alle cinque del pomeriggio passo il check-point 300. Gli
israeliani lo chiamano ‘terminal’. Io sono straniero e non ho problemi. Ho
fatto l’abitudine (e mi maledico per questo) ai fucili, ai cancelli, alle
strettoie delle inferriate. Nella gabbia spuntano perfino venditori di souvenir
e chewigum.
Tella mi aspetta al di là del check-point. Suor Donatella
Lessio, 52 anni, sorella elisabettina, piccola, tosta, veneta, mi guida fino al
piccolo gruppo di persone in attesa. Dieci anni fa, primo marzo del 2004,
cominciò la costruzione del Muro (perché tutti ci ostiniamo a scriverlo con la
maiuscola?) a Bethlehem. E da dieci anni, ogni venerdì, giorno santo
dell’Islam, questa gente (pochi uomini e donne. A volte si unisce qualche
musulmano) cammina e prega lungo il Muro. ‘Qualcosa dovevamo pur fare’,
ricordano.
Camminano per cento metri. Dal varco del check-point fino a
uno spigolo sbarrato dal filo spinato. I soldati oramai hanno fatto l’abitudine
a questa piccola cerimonia: ora imbracciano il mitra e sembrano disinteressarsi
di noi. Il Muro chiude il cielo di un convento di altre suore, accerchia una
casa, incombe sul Baby Caritas Hospital (lì lavora suor Tella). In un angolo, sul
cemento, un artista inglese ha disegnato una Madonna in attesa di un figlio. E’
una grande icona. Tella mi spiega che
quando il bambino nascerà il Muro crollerà. Siamo in attesa del Principe della
Pace.
Il rosario |
Il check point numero 300 |
La piccola processione di uomini e donne cammina sussurrando
il rosario. Un ragazzo ha abiti eleganti e uno stemma della Palestina nel
risvolto della giacca. Un grande murale ci fa compagnia: raffigura kefiah e
mais, questa terra allacciata al Chiapas del sud-est messicano. Vi hanno
scritto: ‘To exist is to resist’. Ho visto Tella indossare una maglietta con la
stessa scritta. L’ho ascoltato più volte nei giorni di Palestina: ‘Stiamo qui.
Questa è la nostra resistenza’.
Il Muro e la suora |
Già, il tè invece della guerra |
Le suore hanno contato le loro preghiere: ‘ In dieci anni
abbiamo detto almeno 27mila AveMaria. E’ la nostra maniera di ribellarci, di
lottare. E’ la sola arma che abbiamo. Vogliamo provare a stancare il
Padreterno, vorremo che ci aiuti a ritrovare la pace nella città dove è nato
suo figlio’. I turisti e i pellegrini
che passano, a volte senza nemmeno accorgersene, il check-point numero 300,
dovrebbero dire il loro rosario davanti a questo Muro, dopo essersi
inginocchiati nella chiesa della Natività.
La preghiera di fronte all'icona della Madonna in attesa |
Un cammino lento. Si va avanti e indietro. Ci si stringe. Quasi
un conforto. Alla fine ci si ferma davanti alla Madonna in attesa di un
bambino. L’ultima preghiera. Poi il silenzio, un sorriso, darsi la mano, due
parole. Un saluto. Il senso di una resistenza leggera e profonda. Capace di
aprire una crepa nel Muro.
Tella ci invita per il tè.
Questa preghiera ostinata e sommessa è il sacro di
Bethlehem.
Bethlehem, 28 febbraio
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