‘La festa si deve fare. Facciamola’. Paolo non ha dubbi.
Nessuno, al paese, ne ha. Non chiedo perché fanno tutta
questa fatica. ‘Si deve fare’.
La salita al bosco di Spinazzeto |
La festa si è sempre fatta. Avrò modo di studiare, leggere,
ascoltare le parole dotte degli antropologi. Ora è tempo di andare a tagliare
l’albero. L’abete bianco. La pita. Sta
in alto, oltre il crinale della montagna. Nel pendio che scivola verso le terre
di Terranova del Pollino. Là è Lucania. Alleanza di paesi e regioni per la
festa. Sul versante che guarda al mare non ci sono più questi grandi abeti. Il
monte scende a pascoli. Credo che abbia nostalgia dei suoi alberi. Sono terre
fragili, queste. In movimento. Frane fanno slittare costoni di rocce. La
Calabria si sgretola. I pendii sono crepati da rivoli d’acqua. Le fiumare
trasportano ciottoli verso il mare. Si sono aperte grandi valli come strade per
precipitare in cerca di una spiaggia. La fiumara Saraceno è un colpo di rasoio
attraverso le ultime montagne del Pollino.
L'arrampicata all'albero |
L’albero è stato scelto in inverno. Uomini esperti lo hanno
scelto. Chiedo, ma non riesco a capire chi davvero lo abbia indicato. Mentre
saliamo questi stessi uomini guardano altre piante: già pensano all’anno
prossimo. Nessuno mi dice della cima. So che sarà presa in un altro posto, ma
non posso saperlo. Apparirà durante il viaggio dell’albero.
Il taglio |
Primo atto della Festa dell’Abete. Alessandria del Carretto,
paese sul confine fra Calabria e Lucania. Da sempre, fra la fine di aprile e i
primi di maggio, qui si taglia l'albero, poi con la forza delle sole braccia lo si trasporta fino in paese e lo si alza in uno slargo dei vicoli che vorrebbe essere piazza. Una
cima, la punta di un altro abete, sarà innestata sul tronco. La festa è fatica,
maestria di boscaioli, adrenalina di un giorno. Oggi dobbiamo salire in montagna.
C’è da raggiungere il pendio di Spinazzeto. Là dove gli alberi ci provano a
volare verso il cielo.
Si tira l'albero |
Di fronte all’ostello Ambrosia, passano i pick-up. Il tempo
di un caffè. Motoseghe e corde, tiranti e accette nei cassoni. E il cibo per la
giornata. Alessandro ci fa salire. Oggi possiamo andare su in auto. Fino alla
fontana. La primavera prova a essere tale con fiori che punteggiano i prati.
Gli alberi, invece, ancora esitano con le loro foglie. Il sole promette di
rendere più facile il lavoro. Soppressa e formaggi, vino in un solo bicchiere e
baccelli prima di salire. Il fiato manca subito. Gli alberi non crescono in
pianura. Salita ripida, gli uomini si appoggiano sul manico dell’accetta per
riprendere fiato. Io mi aggrappo agli alberi per tirarmi su. Qui i ragazzi
chiamano zi’ gli uomini più grandi. ‘In
segno di rispetto’.
I lavori |
Alla fine arriviamo. Ci si siede, si guarda l’albero. Appare
altissimo. Arriva il vigile di Terranova. La forestale. Ci sono le regole.
Stanno lì un po’, poi se ne vanno.
‘Vado’, dice un uomo. Ma lui non va via. Come il Barone
Rampante, si arrampica sull’albero. Porta con un sé una corda. Strano, tutto è normale. Avviene secondo un ritmo di cui
nessuno dà il tempo. Non c’è spettacolo. Qui si fa. L’uomo sale come un gatto, lega la corda al tronco poi la
cala giù grazie al peso di una scure. A monte la corda viene agganciata a un
martinetto, si usa un altro albero come gancio di sicurezza. Poi entrano in
azione gli uomini con la motosega. L’albero deve cadere verso la salita. Non deve
danneggiare l’altro abete. Deve cadere con lentezza. Il taglio appare come un
lavoro di precisione. La pita non si oppone, non si ribella, non prova a
resistere. Cade in silenzio. Senza fare fracasso. Azzardo: c’è un’aria da fiaba
di montagna in questa caduta.
Beppino, il caporale |
La pita è a terra e gli uomini le sono già addosso. Le
accette tagliano via i rami più piccoli, le motoseghe sono rapide, gesti
sicuri, i ragazzi ci provano, i vecchi hanno nostalgia e si danno da fare con
la corteccia e i nodi. L’albero è spogliato della sua bellezza. Ne prende
un’altra. Si trasforma. Suda resina. Le mani rimangono appiccicate. Le mie dita
si incollano al bottone di scatto della macchina fotografica. Volano cortecce e
segature. Ecco, zi’ Gatto che è fra i
più esperti. Zi’ Antonio, zi’ Pasquale, zi’ Ciccio. Confondo i nomi. So che ognuno di loro ha la sua
esperienza. In meno di un’ora l’albero è un tronco nudo. Risplende nel
paesaggio della montagna.
La discesa |
Sale un trattore. L’uomo ha abilità, sguardo del sapere, e
una bandana a nascondere i capelli. I suoi cingoli slittano, saltano sul fango,
aggrediscono il pendio. Il trattore ha una danza pesante. Toccherà a lui tirar
giù l’albero. Comincio a conoscere gli uomini: ecco il sindaco, ecco Beppino,
fa il caporale della pita dal 1985,
porta sempre lo stesso cappello nero, sarà lui a guidare la discesa dell’albero
verso il paese. Intanto il trattore fa il suo lavoro. Prudenze: la pita è pesante, bisogna dribblare altri
alberi. Gli uomini hanno attenzione. Sono arrivati i ragazzi con la zampogna e
i tamburelli. ‘C’è il suono’. Scendiamo. Sono stanchissimo.
Si preparano le tire |
L’albero arriva alla radura dei lavori. Questo giornata è
senza comandi. Sembra che nessuno diriga il lavoro. Gli uomini sanno quello che
devono fare. Si preparano i fuochi, le braci, le griglie. Qui si mangerà. Ma
intanto gli uomini squadrano il tronco, ancora pulizia. Via i nodi, gli
attorcigliamenti del legno, i monconi dei rami. Lavoro quasi di fino.
Automatismi della festa. Si preparano con pazienza le tire. Sono di pero selvatico o di cerro. Le spalle e le mani
dovranno appoggiare la loro forza su questi bastoni. Ci saranno sette tire, mi spiegano. Più due davanti. Sarà
fatica vera. Qualcuno ha già attorcigliato rami di prugnolo: saranno le corde
che allacceranno il tronco alle tire.
Scaldate sul fuoco, non si romperanno mai.
Il gancio |
La musica |
Il cibo |
Si mangia. Novellame ‘illegale’
e buonissimo, sangue cotto, salami, formaggi freschi, frittate con i funghi,
con i nuovi asparagi, baccelli, arrosti di agnello, peperoni, pasta al forno,
olive. Un bendiddio. Vino asprigno e buono. Passo di tovaglia in tovaglia. Ogni
foto, un dazio felice di offerta di cibo. Davvero, questa festa ha l’aria di
casa. Gli uomini riprendono a lavorare. Con metodo. Con gesti attenti. Un filo
di corda per segnare il punto in cui segare. Corta passata nel gesso, uno snap con la mano e rimane la linea.
Trucchi da manovale.
La pita |
L’albero non potrà essere più lungo di diciotto metri
altrimenti non gira in paese. I ragazzi provano con le motoseghe. Hanno capelli
alla mohicana e piercing nelle guance. Provano il lavoro. Sperimentano le loro
mani. I vecchi osservano. Imparerò che qui non si dice che sei vecchio, ma che
sei grande. Gli uomini danno
consigli. Sanno che il futuro della festa è nelle mani di questi ragazzi. Un
colpo di coltello e ancora una costola di agnello. Si griglia di nuovo. Fino a
quando il cielo non si fa di cobalto. Gli uomini caricano le macchine. Qualcuno
scende a piedi. Un ultimo bicchiere di vino che passa di mano in mano. L’albero
è lucido. Una creatura sdraiata sul prato. Cerca un riposo nelle ore del buio.
Aspetta il giorno della festa. Sa che sarà il protagonista di una storia degli
uomini di questa montagna.
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