|
La targa della Maledizione al quartiere Tamburi |
Cielo d’estate sui due mari di
Taranto. Mi chiedo da che parte spiri il vento: so che se viene da Nord e da
Nord-Ovest respirerò le polveri di ferro e veleni dell’Ilva. Se, invece, è
scirocco, toccherà a quelli di Statte di avvelenarsi. Il mare è azzurro-intenso. Mi appare splendente e bellissima la città più inquinata
d’Italia. All’ingresso del Borgo Vecchio attorno a una fontana, lastroni di
cemento sono un omaggio all’acciaio. Taranto ha venduto l’anima alla fabbrica.
|
Le case di Tamburi |
Vincenzo ha 56 anni e un lavoro
abusivo. Da più di venti anni, tiene le pulizie di tombe del cimitero di San
Brunone, il cimitero di Tamburi, il quartiere ‘sopra’ il quale sono state costruite
le ciminiere dell’Ilva. Gira per il cimitero con secchi, stracci e scope. La
gente gli affida il decoro della memoria dei propri cari. Ci sono
confraternite, congregazioni, associazioni che si organizzano per assicurare
sepolture e loculi ai propri iscritti.
|
Le ciminiere e il cimitero |
Vincenzo ci guida verso gli ossari. Mi
appaiono come condomini mortuari, sono palazzine a più piani che segnano il
confine fra il cimitero e l’Ilva. Vincenzo ha le chiavi di uno di questi caseggiati
per morti. Tre piani, saliamo in ascensore, ancora una rampa di scale, una
piccola porta ed ecco il tetto. Balcone privilegiato sulla fabbrica. Belvedere
sulle colline di un pianeta ostile. E’ un cratere quanto sta sotto i nostri
occhi, è una innaturale attività vulcanica. ‘Benvenuti in Paradiso. Ecco Taranto
Beach’, dice Vincenzo e si gode la sorpresa disegnarsi sul nostro viso. E il
panico. ‘Vi ho portato in un bel posto, no?’. Una strada, una cortina di alberi
malati e si alzano le montagne di polveri ferrose annaffiate da getti di acqua.
Troppo facile scrivere: questo è un gioco dell’inferno. Chi si è inventato il
nome di ‘parchi minerari’ per questo paesaggio feroce?
|
L'Ilva visti dagli ossari |
Questo è il panorama
migliore che si possa avere al mondo sul progresso.
La sua bellezza crudele è perfetta: un cromatismo di morte, i camini a tinte
circolari, la nuvola di polveri, l’intrico di nastri trasportatori, i
macchinari gialli che si stagliano sulla ruggine. Un paesaggio deserto con
scrosci d’acqua a combatterne l’aridità inerte. A cercare vanamente di fermare le polveri. Dovrebbero fare visite guidate
notturne ai tetti degli ossari del cimitero: la notte l’Ilva è uno spettacolo,
i fumi arrossano il cielo, si attorcigliano attorni agli altoforni, la
produzione non si arresta, macina i suoi profitto, i suoi salari e i suoi
veleni. Questa è una sovraeccitazione industriale. Ne capisco la meraviglia e
la paura.
|
Tamburi |
Le case di Tamburi sono a quattrocento metri da questa caldera dai
vapori di peste. La targa della ‘maledizione’ degli abitanti di queste case
avvelenate è appena fuori la rete in cui qualcuno sostiene si dovrebbero impigliare
le polveri della morte lenta.
Vincenzo guadagna dieci, quindici
euro al mese a tomba. ‘Devo pur far mangiare la famiglia’. Il figlio fa il
finanziere al Nord. ‘Almeno lui se ne è andato da questa città che si è
inginocchiata di fronte a dei farabutti’. E’ arrabbiato, Vincenzo. Passa le
dita su una lapide di marmo. Le sue dita si sporcano di grigio. ‘L’ho pulita
mercoledì scorso. Oggi è lunedì. Nei giorni di vento è inutile affannarsi:
pulisci al mattino e al pomeriggio è già tutto ricoperto di polveri’. Il
cimitero, come il quartiere di Tamburi, ha una patina rossastra. Deve essere
esserci un’ordinanza comunale: quasi tutte le case hanno tinte aranciate. Per
non far vedere i rivoli di polvere, gli sbaffi di ruggine, il deposito di anni
di metalli pesanti. I marmi delle tombe hanno cambiato colore. Marmo rosso di
Taranto, dunque. Un Cristo alza le sue braccia quasi a benedire (o maledire) l’orizzonte
delle ciminiere.
Polverino al cimitero di Tamburi
La mano e il polverino
I miei amici vanno in cerca delle
fontanelle del cimitero. Mi dicono che sono state pagate dall’Ilva. ‘Ci siamo
venduti per un piatto di lenticchie’. Hanno una foto che mostra il sindaco
orgoglioso del suo successo. Vogliono scattare una nuova immagine.
Per mesi, non si sono seppelliti
i morti a Tamburi. Troppo inquinata la terra per essere rimossa dai manovali. A
Tamburi i bambini non possono giocare nelle aiuole e nei giardini. Troppi
veleni nelle sabbie. Qui crescono solo erbacce che l’estate ha spossato in una
sterpaglia oscena. I quartieri sono ‘stecche’ di abitazioni a parallelepipedo.
Mi ricordano le peggiori città della Romania di Ceausescu.
Il Cristo che benedice l'Ilva
C’è un Cristo che benedice i
camini dell’Ilva. Nemmeno il più spudorato realismo sovietico avrebbe potuto
pensare a un Gesù immenso, in piedi su uno svincolo stradale. Sarà alto dieci
metri e fa parte del colossale mosaico all'interno della chiesa di San Leonardo Murialdi,
ottocentesco prete torinese (leggo che si battè per il riposo festivo,
contro il lavoro dei bambini, per la giornata lavorativa di otto ore). Mi
raccontano che il restauro di questa chiesa, grande e vuota come un transatlantico spiaggiato, è
stato pagato dall’Ilva. Dietro l’altare Cristo davvero ha sguardi di
benevolenza verso la fabbrica. Alza le braccia in un segno di pace. Lo
osservano, devoti e intimoriti, un marinaio, un operaio con casco, un manager, un muratore.
Un pescatore sbroglia le sue reti. L’unica donna dell’affresco è di ritorno dal
mercato con la sporta dei pesci. Chi ha concepito questo mosaico alto venti e
più metri, dal cielo dorato?
La lapide della maledizione è a duecento metri dal Cristo della benedizione.
|
Tamburi |
Nessun commento:
Posta un commento