giovedì 16 giugno 2011

Arrivo ad Ahmed Ela. Un vulcano aiuta un diario-non diario

L'arrivo delle carovane del sale ad Ahmed Ela

Un vulcano ha deciso di nascere nuovamente. Un vulcano quasi sconosciuto. Non si ha memoria di eruzioni precedenti. Si hanno poche notizie. Il Nabro sta in Eritrea. Ai confini con l’Etiopia. Terra desertica. Non ci sono immagini. Se non dal satellite: una nuvola di fumo e cenere che in due giorni ha raggiunto il Tigray, si è spinta fino a Khartoum. Sono stati chiusi aeroporto. Un deserto di fuoco si prende una rivincita sulla modernità. La Dancalia, sepolta sotto la sua lava, dà ripetuti segni di vitalità. Il lago inquieto dell’Erta, le faglie che si aprono, ora il vulcano Nabro.
Mi viene in mente che ho abbandonato il diario-non diario del viaggio in Dancalia. E’ faticoso riprendere cammini interrotti. Copio. Prendo in prestito parole già scritte. Per ricominciare.

Il forno del villaggio



Il negozio di Ahmed Ela 
Controsole. Arriviamo da oriente. Dalla piana. Dalla polvere. Il sole, giallo-bianco, fuori dalla gamma dei colori, accecante se osi sfidarlo, galleggia sulla cresta delle montagne. La cortina violenta del vento aveva nascosto alla nostra vista, fino a questo momento, la muraglia dell’altopiano: adesso chiude l’orizzonte verso occidente, è un bastione di duemila metri di roccia, si alza come un baluardo ad arginare la ferita della Dancalia. Non si decide a tramontare, il sole. Ci aspetta. Le capanne di Ahmed Ela si confondono con i sassi grigi, con il sipario delle montagne, con le ombre del pomeriggio. E’ invisibile questo villaggio. Sembra sorgere dalle pietre. Ne ha lo stesso colore. Un non-colore. Grigio su grigio. Nebbia su nebbia. Le capanne di Ahmed Ela sono costruite con legni recuperati dal letto dei wadi. Sono coni scomposti e perfetti. E’ un irriconosciuto capolavoro di land-art, questo villaggio. Cercate un ecovillaggio senza compromessi? Eccolo, è qui, la vostra ricerca è finita, ci state arrivando. Ahmed deve essere stato il suo fondatore. Lui sapeva che qui era possibile scavare un pozzo. Sapeva che qui scorrevano le acque sotterranee che scendono dall’altopiano. Ahmed Ela, il pozzo di Ahmed.

Giocare al calcio fra i sassi di Ahmed Ela



Il villaggio è stato tirato su con i materiali che generazioni di uomini del sale hanno trovato nella polvere, nella sabbia, nella lava. Le donne hanno intrecciato le stuoie delle burra. I bambini hanno selezionato i legni più dritti fra i rami contorti delle acacie e li hanno trasportati sulle spalle fino alla loro futura casa. Non c’è un solo albero attorno ad Ahmed Ela. Nemmeno uno stentato filo d’erba. Non si può coltivare niente di niente. Questo luogo è oltre l’aridità. Ma gli afar hanno spostato massi su massi. Hanno perfino tracciato una parvenza di urbanistica. Nel loro vagabondare, hanno trovato corde, stracci, plastiche, lamiere. I wadi, dall’altopiano hanno trascinato nella depressione detriti, rifiuti, rottami. Sono eccellenti materiali da costruzione. E, così, come un improvviso cespuglio di piante del deserto, è nato Ahmed Ela.
Ahmed Ela, 21 febbraio. Riscritto il 15 giugno. Una notte di eclissi di luna.




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