(Foto di Andalucia Knoll, da Erodoto108, numero 4, preparazione del pranzo comunitario durante la escuelita dello scorso agosto) |
(di Hermann Bellinghausen. Articolo apparso sulla Jornada, giornale messicano, del 31 dicembre....)
Traduzione a cura del comitato Chiapas 'Maribel' di Bergamo (http://chiapasbg.wordpress.com)
......In queste ore, 20 anni fa, centinaia di comunità maya nel sudest messicano si disponevano finalmente a sollevarsi in armi contro quello che hanno sempre chiamato malgoverno, dopo di anni di preparazione per la guerra di liberazione nazionale. Le famiglie chol, tzeltal, tojolabal, tzotzil, salutavano padri, figli o fratelli miliziani. Gli insorti, molte donne, li avrebbero guidati dalla Selva Lacandona, gli Altos e Zona Nord per occupare simultaneamente diverse città all’alba di fine anno. E così all’alba ad Altamirano a distruggere l’orologio del municipio; a San Cristóbal de Las Casas, alle prime luci del giorno, i locali, i turisti ed i primi giornalisti (Amato Avendaño Figueroa, direttore del Tiempo, il primo fra tutti) andarono a vedere chi aveva occupato e svuotato il palazzo, dal suo balcone lessero, per voce del comandante Felipe notoriamente senza passamontagna, la Dichiarazione della Selva Lacandona dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), e fecero conoscere le loro richieste. Il subcomandante Marcos, unico meticcio, attrasse immediatamente l’attenzione dei media. Dall’oscurità alla luce, un poco impacciati, si vide che chiunque fossero, erano preparati per quello che volevano fare. Col volto coperto, chiedevano per tutti tutto, niente per noi.
Ad Ocosingo, il secondo giorno li aspettava una battaglia sanguinosa e lì sarebbe caduto il maggior numero di ribelli, tra loro il comandante Hugo, rispettato dirigente tzeltal. Molti furono giustiziati dall’Esercito federale (che attaccò proveniente da Palenque) faccia a terra, con le mani legate dietro la schiena, ma la maggioranza morirono in combattimento. La strada verso le vallate fu disseminata di cadaveri di indigeni con la divisa di un esercito contadino che avrebbe ridefinito l’idea di modernità, secondo le classi dominanti. Nelle prime ore era corsa voce che non fossero messicani, che parlavano come stranieri. Devono essere del Guatemala, dissero i caxlanes sbarrandosi in casa. Quasi troppo facile sembrò la presa di Las Margaritas, dove gli insorti affrontarono la polizia; in quell’azione cadde ilsubcomandante Pedro, ed il mondo non lo avrebbe conosciuto. Le comunità della valle tojolabal lo recuperarono e lo piansero con tutti gli onori.
Salvo che ad Ocosingo, il ripiegamento degli insorti fu rapido, quasi misterioso. Lasciando Las Margaritas, i ribelli passarono per la fattoria del generale, ex governatore e proprietario terriero Absalón Castellanos Domínguez e lo fecero prigioniero. Era responsbiale di molte vite di indigene e sarebbe stato giudicato per i suoi crimini. E come ne La voragine, di José Eustasio Rivera, se li divorò la selva. O la montagna tzotzil degli Altos.
Le elite credevano che all’alba del 1994 il Messico starebbe entrato nel primo mondo come socio di lusso delle potenze del nord. Col chiasso dei guastafeste indigeni in un lontano angolo della patria, il paese si trovò piuttosto di fronte ad una guerra quasi inverosimile, ad un’eloquenza inedita alla quale nessuno potè essere indifferente. Il loro Ya basta! cambiava le regole del gioco. I media accorsero in massa da tutti i paesi. C’era un nuovo giocatore: i popoli indigeni del Messico. Il resto, è storia....
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