Questo non sarà solo un breve articolo. E’ un innamoramento
improvviso. E come ogni colpo di fulmine non rispetta alcuna regola. Tutto è
accaduto perché mai, fra una leggera nebbia autunnale, nella piana malinconica
della Riviera del Brenta (per me, toscano, un mondo senza colline non è nemmeno
immaginabile), a fianco del fosso delle Donne (dove si parcheggia, scivolandoci
dentro, quando si è ubriachi)…ecco, ho perso il filo.
Ricomincio. Allora: mai
avrei immaginato di trovare qui, in una
osteria (una ostaria, in realtà) del
profondo Nord-Est, un manifesto con su Totò (che era napoletano
del rione Sanità) accanto alla bellezza da lacrime di Tina Modotti (donna
messicana che, in fondo, era nata a Udine).
Entro e nell’osteria e i due volti spiccano come stelle sul perlinato
che ancora protegge, come nei tempi antichi, le pareti di questo locale. E’
bastata questa visione a sbigottirmi e a far battere il mio cuore. Amore a
prima vista. Così ho mandato a rane tutti i miei pregiudizi sul Nord-Est e vi
racconto dell’Ostaria dei Kankari. Che poi, da queste parti, sono gli ubriachi.
Totò e Tina mi hanno distratto. E così non vi ho detto della
bandiera No-Tav che sventola dal balcone sopra l’ingresso dell’osteria. E
nemmeno della scritta, un po’ nascosta, che, da sempre, sta affissa sopra la
porta: Foresto ricorda: in sto locale i
osti gà ea mare putana. Bisogno di traduzione? No, non credo. Se così non
è, inventatevi il vostro significato.
Arredo spartano, una ventina di tavoli in due stanze, dove
sono riusciti a fare entrare perfino un piccolo palcoscenico per musiche e
spettacoli. E, naturalmente, un bancone da bacaro
con sopra la delizia di cento spunceti,
leccorniose tapas veneziane. In estate, si mangia all’aperto e dentro si gioca
a biliardino.
Entri qui dentro e subito scopri che, oltre al vino e a
birre eccellenti, hanno anche la spuma.
Anzi: ‘E’ tornata la spuma’, annuncia, con orgoglio, un manifesto. E un altro cartello
colorato invita ad assaggiare la pasta,
pasta kankara, ovviamente.
‘Leggermente piccante. Appetitosa. Afrodisiaca. Per l’appetito di chi sa
amare’. Ecco, sono arrivato a casa.
Non è semplice, per chi non è di queste parti, raggiungere
l’ostaria. Non sta mica in paese. E’ imbrecanata in questa piana dove, nei
mesi dell’inverno, si stende la nebbia del Nord-Est. Non so dirvi dove sia.
Dalle parti di Mira, un paesone, quarantamila abitanti, dalla
storia operaia (ricordate la Mira Lanza?), persa in un cruciverba di fossi,
argini di canali, pioppeti, rotonde, e case sparse. La troverete, non
preoccupatevi. Questo locale passa per essere il più bohèmienne della Riviera
del Brenta e, in certi giorni, proprio quando la nebbia è più fitta, si viene
qui (e vengono tutti) a cercare conforto alla malinconia e mettere assieme briciole
di gioia. Si vezzeggiano un poco all’ostaria.
Descrivono così i loro amici-clienti: ‘filosofi (falliti), musicisti (falliti), illustratori (falliti), giornalisti (falliti)’. E infine: ‘metalmeccanici e figli di troia (questi ultimi invece riuscitissimi), tutti allegramente seduti agli stessi tavoli uniti’. Sì, sono arrivato a casa.
Fra l’altro, questo luogo ha
storia: l’ostaria c’è da sempre. Un
tempo era il bar Sprint. Per anni e anni è stata conosciuta come Checco, il cancaro, luogo da leggenda
del Nord-Est, quelle che racconta Marco Paolini. E qui veniva Paolino, che,
alle nove del mattino, già si aggrappava al bancone per bersi due ombre. Mezzo vino e mezza acqua, perché
il dottore gli aveva detto di dimezzare le sue dosi quotidiane. Tenete presente
che, a Mira, il mezzo bicchiere, da allora, è conosciuto come Paolino. Qui, attorno a questi tavoli,
si riuniva anche la sinistra ostinata a sopravvivere in un Veneto
democristiano. Baluardo rosso. Gli
operai della Mira Lanza e i contadini dei campi di mais passavano qui il loro
tempo liberato e perduto. Adesso sta qui
la gente che intuisce che la bandiera bianca dei No-Tav rappresenta qualcosa di
più che una battaglia contro un treno.
Moira |
Adesso tocca ai personaggi e
interpreti. Ho conosciuto Moira, 38 anni, a una tranquilla semina di granoturco
in un campo su cui vogliono costruire un centro commerciale. Stava lì a suonare
una immensa fisarmonica e a cucinare salsicce e polenta. Vi erano ragioni a
sufficienza per conoscerla meglio. E’ così che ho scoperto che fa l’ostessa. Da quindici anni. Lasciò il
teatro e il pianoforte per amore di un ragazzo che voleva fare l’oste. Ma poi
lui se ne andò, lasciando solo lei dietro al bancone. Anni duri, immagino. Ma l’attrice imparò a
cucinare, a passare il tempo con Paolino che fumava quattro pacchetti di
sigarette al giorno e andava avanti a mezze ombre. Pagò debiti su debiti. E
alla fine decise: ‘Se io non posso andare in giro a fare teatro, porto qui il
teatro’. E l’ostaria divenne
palcoscenico per uno spettacolo ogni sera. Un luogo da favole. Non so quanto
dorma Moira. Piccola, rotonda, occhi che scintillano di meraviglia, un sorriso
che dà felicità, lei è cuoca, fisarmonicista, suona il pianoforte e ora sta
ritrovando anche il modo di tornare a fare teatro. Di sé fa scrivere: è il perfetto caso delle ‘braccia tolte alla cultura, e donate alla viticoltura’. Mica vero: la cucina di Moira è leggenda popolare e tutti noi seguiamo ballando lei che cammina con la fisarmonica in mano. E’ vera cultura, questa ostessa.
Marco è quello con la barba |
Mi dicono di Juri. Non c’era quando io sono venuto qua. Cameriere tutto fare. ‘Faceva parte dell’arredamento quando mi sono ritrovata qua dentro’, ricorda Moira. Quindi copio, e mi fido, quanto scrivono di lui: ‘Leggenda delle leggende: racchiude in se stesso il gatto con gli stivali, il gobbo di Notre Dame, Gianni e Pinotto (tutti e due insieme, come se Pinotto avesse mangiato Gianni), il mago Galbusera, Paolo Rossi (tutti e due, come se l’attore avesse mangiato il calciatore) e soprattutto Batman e Robin’. Come se Batman avesse mangiato Robin. Ho un’ottima ragione per smarrirmi nuovamente alla ricerca di questa osteria: bisogna conoscere Juri.
Altre buone ragioni: qui si va alla riscoperta della memoria di un popolo. Delle feste. La luna peosa, a ottobre, a esempio: se coperta di vapori e nebbia, sarà anno da ricordare. O il capodanno contadino, a marzo, con tanto di gemellaggio con Tiggiano, paese della Puglia, dove si compie lo stesso rito dimenticato. Si va di casale in casale a festeggiare i contadini. E poi qui si celebra anche sant’Ippazio, E, giorno importante, si viene all’ostaria, la notte di Natale. Dopo la messa, si passano le ore notturne della festa santa assieme a Moira.
Il menù |
Alla fine quasi mi dimentico il cibo. Che è roba da leccarsi i baffi. Cibo a chilometro zero. Viene dall’orto (hanno anche il tempo per l’orto!). Cavoli e verze in inverno. Perfino cavolo nero in Veneto, una rarità. Con pancetta. E poi polenta e salsicce. Pasta. Ma quando mi sono seduto al tavolo, ho assaggiato il bufalino (e c’era anche l’asino). Povere bestie (attenzione: menu per vegetariani e perfino per vegani, non preoccupatevi), ma questa carne arriva dal microallevamento di un contadino che sta a meno di mezzo chilometro da qui e che stava per fallire perché cacciato via dal mercato del latte quando ha deciso di allevarli, i bufali.
Ecco, Marco ora scrive il menù con una grafia quasi invisibile da amanuense. Si siede al tavolo con noi e, chiacchierando, consiglia e suggerisce. Il racconto dei cibi è già spettacolo. Sì bisogna avere tempo, all’ostaria dei Kankari. Ed è un bel tempo.
Ostaria dai Kankari, Via Fossa Donna, 93, Marano di Mira (Venezia); Tel. 041.479594;http://kankari.it/; e-mail: ostariadaikankari@gmail.com . Gli osti avvertono: la controlliamo ogni giorno di San Mai. Giorni e orari di apertura: Lunedì: 11.45 – 14.45 / 19.00 – 2.00; da mercoledì a sabato: 19.00 – 2.00. Domenica: 17.00 – 2.00; Riposo settimana: martedì.
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