martedì 20 agosto 2013

Italia quanto sei lunga/Invisible TransPuglia Railway

La partenza da Matera

Scopro che l’Italia è più lunga di quanto abbia sempre creduto. Lasciate perdere la Transiberiana: la vera storia di treni e bus è qua, nel tacco della penisola. Invisible TransPuglia Railway. Vi è un reticolo di corriere, bus e treni che viaggiano nelle strade di questo Sud, ma provate a cercarne di sapere qualcosa: vi manderanno da un negozio di computer a un’ edicola, da una tabaccheria a un ortolano, ma nemmeno al bar di fronte alla fermata sapranno dirvi come e dove si compra un biglietto. Mi sento a casa. Taxi-brousse del Salento.

La fermata di Laterza

Giorni fa sono arrivato fino a Matera da Firenze in poco più di sette ore. Onore alle autolinee Marozzi. Quante ne impiego per andare ancora più a Sud? Per raggiungere Muro Leccese? Cento e settantuno chilometri da Taranto mi dice il sito delle Ferrovie del Sud Est. Più settanta, invece, per scendere da Matera fino alla città più avvelenata d’Italia. Ebbene: un’ora e mezza di bus da Matera a Taranto. Tre ore e mezza di treno da Taranto a Muro. ‘Lasci perdere. Non siamo competitivi’, mi dice lo sconsolato capostazione di una irreale stazione in tufo. E perché, dovrei lasciar perdere? Ho finalmente trovato un mondo al rallentatore. Mi piace questo viaggio. E smentisco il coro degli amici di Matera: i mezzi pubblici (treni e bus) ci sono in questo Sud. Viaggiano come tartarughe migranti. Hanno autisti che dicono ‘ciao’ quando sali a bordo e ti senti benvoluto. Solo che è quasi impossibile averne notizie. Sono invisibili.

Avviso sulla finestra a Laterza

Parto da Matera senza biglietto. La stazione di piazza Matteotti è priva dei binari di Trenitalia. Una vecchia storia: non sono mai arrivati in una delle città più belle del nostro paese. Nei giorni di ferragosto, la biglietteria della Sita è ben chiusa. Non si può acquistare in un’agenzia. Né via internet. Nemmeno l’autista può venderti il biglietto. Ma è uomo navigato e con storia sindacale: ci fa salire senza pagare. E che altro potrebbe fare? ‘Se sale un controllore glielo spiegate’. Siamo in due fra Matera e Laterza. Primo cambio del mio viaggio. Ci sono 69 chilometri per Taranto. Lascio la Lucania e il sole diventa di una luce pugliese. Non so descriverla. I bianchi vanno fuori gamma, la terra si fa color della ruggine. E’ come se quanto vedo scorrermi addosso riesca a sbiadirsi senza smarrire lucentezza.

Il treno per Lecce

Fermata di Laterza davanti al centro prevenzione socio-sanitario. Nome da burocrati privi di pudore. E’ una palazzina dall’aria scorticata. ‘Non gettate rifiuti nel vano della finestra’, scrivono con vana rassegnazione. Deve essere ritrovo notturno di ragazzi senza un’idea di come passare le ore: lattine di birra, coca-cola, un Fontafredda stappato e lasciato lì. E la spazzatura si decompone nel vano finestra. Aspetto assieme a un ragazzo indiano dai capelli di gel. Anche il secondo autista ci accetta senza biglietto: ‘Lo compri a Taranto’, mi suggerisce. A un incrocio buttiamo per terra due turisti in motocicletta ingannati da un semaforo che gioca a rimanere rosso quando è verde. Almeno così mi spiega un ragazzo. L’autista se la sbroglia con consumato mestiere.

L'Ilva di Taranto

Ecco, l’Ilva. Le ciminiere. L’acciaio. I colori di ruggine vera e marcia del metallo. Ecco, il mare, splendido e inquinato. Le case sono dipinte di rosso per nascondere le polveri che la fabbrica, quando soffia la tramontana, fa volare verso la città. ‘Bisogna andare via da qui’, mi dice l’amico che mi aspetta al porto. Insomma, benvenuto a Taranto. Voglio andare al cimitero di San Brunone e ci andiamo. Le ciminiere sono l’orizzonte degli ossari. Quartiere Tamburi. Una vita fra il polverino sfondapolmoni e le corsie degli ospedali con il panico delle neoplasie in qualche angolo del corpo. Già, questa è una storia di corpi. Corpi malati, corpi di operai, corpi di donne che ritirano i panni dalle finestre e trattengono il respiro. Corpi incerti. Corpi che maledicono. Corpi rassegnati. Corpi di uomini che presidiano i bar. Corpi di vecchie che azzardano una sedia fuori dal portone. Corpi che passano per la vita come se dovesse essere sempre stata così e che non possa mai cambiare. Mi dicono delle ordinanze che vietano ai bambini di giocare nella aiuole stremate: troppi veleni in quella sabbia inerte. Sfioro i marmi delle tombe e rimango con le dita sporche di grigio. ‘Ho pulito quella lapide tre giorni fa’, mi dice un uomo dall’aria stanca e arrabbiata. ‘Questa città si è venduta l’anima per due spiccioli’.

La stazione di Grottaglie

Devo andare a Muro Leccese. Per avere informazioni decenti mi consigliano l’edicola della stazione. Il controllore di Trenitalia era disinteressato al mio problema: non sono fatti suoi gli orari delle ferrovie del Sud-Est e a Muro i suoi treni non ci vanno. E’ l’edicolante a farmi il piano di viaggio: ‘Fs fino a Brindisi, poi hai otto minuti per cambiare di treno e andare a Lecce. Lì sali sulle Ferrovie del Sud Est, altro cambio a Zollino e ti ritrovi a Muro Leccese’. Io vorrei scendere a Zollino. E’ un nome da meraviglia. Chissà come è Zollino?  Ignoro la geografia del Salento. Mi piace questo viaggio: un solo vagone sbuffa al binario quattro. E’ il locale per Lecce. La poltroncina azzurro stinto si sfalda sotto il mio peso. Sono quasi tutti ragazzi in questo treno. A Grottaglie la stazione abbandonata è un affresco di writers con suggestioni porno-popolare. Il paesaggio diventa di olivi. La luce non è bianca, non arrossa, ha un’aria solida. Mi ricorda la Palestina.

Francavilla Fontana

A Francavilla Fontana sale una ragazza dalle gambe abbronzate e un uomo dal viso segnato dalle rughe e l’aria appesantita dal silenzio. Guardo le gambe della ragazza e le occhiaie dell’uomo. Mi piacciono entrambe. Un ragazzo con i capelli annodati e un bracciale chiodato si perde nel suo computer. A Oria scende un nigeriano e svanisce dietro il muro della stazione. Sopra vi sta scritto: ‘E non mi basta’. Fichi d’India ai bordi dei binari. Gli alberi spingono i rami a sfidare il treno. I giardinetti sono sterpaglia.

Compagni di viaggio

Oria

Latiano

Latiano, Mesagne e la stazione di polizia dalle finestre chiuse. Territorio inselvatichito. Cartacce fra l’erba disseccata. Brindisi è quasi improvvisa. Il treno per Lecce ci ha aspettato. Corriamo in tanti, ci spingiamo. Il capotreno fischia e agita una bandiera verde.

Brindisi al volo

San Pietro, Squinzano, Trepuzzi e le sue officine ferroviarie dall’aria desolata. Appare un campo di calcio con l’erba verdissima, un contrasto da photoshop in una monocromia di gialli-avorio. E’ un atterraggio in un altro pianeta. Lecce è improvvisa. Folla di ragazzi. Devono essere qui per la musica. Sembrano convocati per un rave. Stanno seduti sul marciapiede della stazione. Mi perdo nella loro bellezza.

Mesagne, forse

Mesagne, forse

San Pietro

Squinzano

Officine ferroviarie del Salento


Lecce, alla fine, nonostante i ragazzi, mi respinge. Un caffè e una pasta, al bar di fronte alla stazione, due euro e trenta centesimi e scortesia indifferente. Va peggio al bar della stazione. Ci sono manifesti di una setta cristiana carismatica: ‘Comunità Gesù Ti Ama’. E’ una grafica tetra, da Orwell 1984: una croce nera sovrasta una folla di uomini senza volto, mi appare come una minaccia più che una benedizione o una generosità. E’ un Dio di vendetta quello che viene venerato in questo bar. Sul frigorifero delle bibite ci sono quattro manifesti di Mussolini in visita a Lecce. In vendita: tre euro invece di sei. L’uomo dietro le casse, risecchito nella sua ansia di denaro (dice ‘prego’ con fare autistico a ogni cliente. Ha una impazienza malata), mi fa un gesto con la mano per non dirmi dove è la biglietteria delle Ferrovie del Sud Est. Dovrò tornare a Lecce. Per riconciliarmi.

'Io sono la via...'

I poster di Mussolini in visita a Lecce

E' introvabile l'ufficio delle Fse: sta ai confini dei binari, le loro banchine sono al sole, nemmeno un tettuccio a proteggere i passeggeri, la porta della biglietteria si apre solo dopo una battaglia fra spalla e metallo anodizzato, l’impiegato dietro il vetro che non vuole dirmi delle sue sventure: ‘Non mi faccia parlare. Qui siamo nelle mani delle Fs’. Sorridiamo del destino. Per uscire riprendo a spinte la porta. Due euro e mezzo il biglietto del treno per Muro Leccese. Vagone di altri tempi, con tendine arancioni che svolazzano al vento e il controllore che passa gridando il nome delle stazioni.

Il treno delle Ferrovie del Sud Est


Zollino


Ecco Zollino, finalmente. Non scendo, nemmeno mi fanno fare il cambio, ragazzi nigeriani sulle banchine, questa volta il treno prosegue, diretto verso il Sud estremo. Arrivo a Muro Leccese. La luce ora è perfetta, le giornate già si sono accorciate e il tufo della stazione è un quadro di un pittore impressionista. E’ Mediterraneo, questo. Stazione che è aula per i figli di un capostazione che aspetta, con uno strano sorriso, i treni che passano da qua. A mano solleva e abbassa le stanghe del passaggio a livello e aziona i semafori. Fotografo. E lui mi dice che non si può. ‘Ho ricevuto un fax proprio stamattina. Niente foto nelle stazioni. Sarà colpa di faicebuk….’. Ma poi lascia che me ne vada con le mie foto della sua stazione. Sono il solo passeggero a essere sceso dal treno.

La stazione di Muro Leccese


Ps: viaggio di sprovvedutezza. Non ho lasciato briciole di pane per capire come tornare indietro. A Muro Leccese ignorano di bus e treni. Alla domenica sicuramente non si va via da qui. Per gli orari devi provare a chiedere al negozio Just in Time (chiuso), a cercare su internet (ma non trovo nessun computer pubblico), vado in cartoleria, dal tabaccaio (noi stampiamo i biglietti fatti on-line. E dove lo faccio on-line?). Chiedo al barbiere, al ragazzo del bar, all’ortolano, ai ragazzi che mi guidano per il bel museo della piazza, a tre o quattro uomini che ne stanno sull’uscio di casa…. Sono sorpresi che qualcuno cerchi un bus. Alle fermate di Salentoinbus ti rimandano a un sito internet (ok, devo comprarmi un smartphone…).
Alla fine ecco, la frase che volevo sentire, la dice un uomo in camiciola azzurra e sigaretta che ondeggia nelle dita: ‘Questa è l’Italia….’. Mi viene voglia di cantare: ‘Viva l’Italia…’. Torno alla stazione. L’uomo dei treni non se ne è andato, questa deve essere anche casa sua: ‘Io vi posso dire solo fino a Lecce. Da lì in poi nemmeno gli orari mi mandano….’. Mi piace questo andare che ti obbliga a restare.

Ferrovie del Sud Est
Ps due importante: Muro Leccese è bella. Con la sua piazza sguincia e due chiese che si sorvegliano l’un con l’altra in una sfida di barocchi.



Muro Leccese

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