sabato 24 agosto 2013

Dark Room Project/I sali di argento e il tufo

La chiesa di Muro Leccese



Valentina ha 29 anni e fa la fisica. ‘Mi piace stampare. E’ qualcosa che va in direzione contraria al mondo. E’ un luogo di resistenza’. I sali di argento compiono ancora piccoli miracoli fuori tempo: ‘…nella pellicola fotografica microscopiche particelle di alogenuro d’argento sono poste in dispersione di gelatina animale, a sua volta stesa su un supporto di carta o cartoncino…..’. E un’immagine invisibile appare come se un fantasma avesse deciso di farsi vedere. Questa è una storia di nostalgia. Per gli anni giovanili, immagino. Dove ho messo le foto stampate mille anni fa? Eppure è anche una storia che, vivaddio, sa di contemporaneità.



Valentina

Alchimia chimica della stampa. In realtà, magia. Un’immagine latente che appare sulla carta immersa in un liquido. Qualcosa che accade ancora in epoche digitali. Sì, Valentina ha ragione: questa tecnica (che sfiora la poesia) è un antidoto. Che cinque ragazzi (così a occhio hanno meno di trent’anni e vengono da Roma, da Asti, da Treviso…) si ritrovino in un irraggiungibile paese del Salento, Muro Leccese, per sfidarsi in un contest di stampa, mi appare un controsenso ostinato e benefico. Una resistenza, appunto. In più: la camera oscura è ritagliata nel tufo di un antico convento di domenicani. Così ci sono mille ragioni per ritrovarsi a metà agosto in questo paese dalla piazza messa di sguincio con due chiese che si sorvegliano l’un con l’altra in un confronto altezzoso di barocchi.



Parlare di foto

DarkRoomProject è un’idea di uno stampatore romano, Luciano Corvaglia. Appare e scompare come un folletto nel chiostro del convento di Muro Leccese. Sa stare in scena, Luciano. Attore esperto. E’ celebre fra i cultori del bianco e nero e della pellicola. Nel suo laboratorio è passato un pezzo della storia della fotografia italiana di fine ‘900. Scrive: ‘I pixel e l’alogenuro d’argento hanno ben poco in comune…..uno risponde a leggi fisico-matematiche, l’altro interagisce solo con le leggi della natura’. Evita un confronto con la modernità del digitale, ma non resiste alla tentazione di dire: ‘Perché devo mangiare qualcosa che è stato spruzzato di aroma di fragole, quando posso mangiare delle vere fragole?’.



Marcovaldo (da una foto di Angelo Turetta)

Io guardo i ragazzi al lavoro nella camera oscura dalle pareti di tufo. Stampano dalle sette di sera fino a mezzanotte. Sono le ore in cui il Salento si ammorbidisce in una dolcezza di malinconia. I ragazzi hanno mezz’ora per stampare lo stesso negativo, scegliere gradazioni di carta, mascherare, contare i secondi, ombreggiare, proteggere, decidere contrasti. Alla fine, nessuna foto è uguale all’altra e, tanto meno, nessuna è simile alla foto che Luciano ha stampato anni prima. ‘Nessun stampatore riuscirà mai a ottenere due stampe uguali dallo stesso negativo e da quello stesso negativo non verrà mai fuori la stessa stampa’, dice Luciano. Il gioco della camera oscura è un artigianato da sorpresa. Si ribella alle regole dell’omologazione. E ubbidisce al tempo dello stupore.



Il pianoforte di Thomas


Nel chiostro e nelle sale di tufo del convento ci sono decine di foto celebri. Guardo le sabbie di Giovanna Chessa, il corpo di Aldo Moro fotografato da Gianni Giansanti (e Luciano sceglie, in stampa, di mettere in evidenza la coperta che avvolgeva il presidente della Democrazia Cristiana, io per la prima volta noto un paio di tenaglie sul tettuccio della Renault rossa). Ecco Italo Calvino che sembra Marcovaldo sorpreso dagli obiettivi di Angelo Turetta (o è stato lo scrittore a sorprendere la macchina fotografica?). Ecco uno spelacchiato Roberto Benigni ricordato da uno scatto di Piero Marsili Libelli. Accanto a Roberto, appare un beffardo Carlo Monni (lo conoscete? Lo ricordate? Io ho nella mia memoria Le Vele, poesia di Campana, gridata ad alta voce da Carlo. Che è morto pochi mesi fa). E come avrei reagito se fossi stato Luciano Viti? Nel 1987 fotografò Miles Davis, spostò la sua tromba e venne minacciato da un sussurro rauco: ‘Hey man! If you broke my trumpet, I kill you’. Gli occhi di Miles nella foto che fu scattata subito dopo sono la forza da brivido della sua tromba. C’è Donata Pizzi che fotografa architetture e mi riporta ad al-Khadra, villaggio ‘italiano’ della Libia. Riconosco quei rivoli di pioggia che hanno rigato gli intonaci. Qualcuno ha annotato accanto alle foto: ‘Una macchina fotografica è un modo per entrare in contatto con il mondo’. Marianna Leone viaggia per le periferie, per l’abbandono delle città, per un’estetica dei disastri. C’è un fotografo che parte con una sola macchina e un solo grandangolare: bisogna andare vicino per poter scattare. C’è una fotografia ostinata in questo convento della piana leccese. Sfiora un superbo snobismo, ma a me piace questa gente moderna che rimane fedele alle vocazioni della gioventù. Scrive ancora Luciano: ‘La camera oscura non può scomparire fagocitata da una tecnologia sempre più comoda, ma lontana dall’essere umano’. Ma quando Valentina ha chiesto allo stampatore di fargli da assistente, la risposta è stata: ‘Questo mestiere è finito’. Contraddizioni: in fondo questo è il contrasto fra liberismo e un mondo a misura di uomo. E’ troppo chiedere ai sali di argento di partecipare a questa sfida?



Elena

Un giovane pianista, Thomas, ogni ora fa muovere le foto con la sua musica. Elena, invece, viene da Lecco e si è portato dietro la sua complessa chimica: lei stampa con gomma bicromata, parla di acque, di umidità, di caldo che fa andare fuori registro le carte, di sette emulsioni necessarie a far apparire immagini sulla carta. La sua stampa ha la paziente bellezza dell’attesa. C’è il batticuore dell’artista, ma c’è la sua capacità di lentezza. Non capisco quasi nulla di questa chimica benigna, ma guardo, con incredulità, il fantasma di una nuotatrice comparire dal nulla in una tonalità azzurognola. E poi c’è Luca. Con lui, per tre giorni, ho diviso una casa di tufo. E ogni notte mi sorprendeva passeggiando con una fisarmonica per il chiostro. Emetteva strani suoni e la sua voce si arrocchiva. Jazz fra le foto.



Thomas e Luca. E una fisarmonica rotta


E infine la gare delle stampe. Esibite, commentate, luce che brucia la stampa, perdita di informazioni, eccesso di nero. Cosa mettere in risalto in una immagine? Quali dettagli? Discutono a lungo. Del pacchetto di sigarette che una mano tiene ben stretto al centro dell’immagine. Di una foto spezzata da luci e ombre estreme. C’è passione dentro la camera oscura. E un’ultima consapevolezza: ‘Io non so dirvi perché questo negativo è perfetto’. Sì, ha ragione Valentina: chi stampa va in direzione ‘ostinata e contraria’.

La notte di Muro Leccese


Alla fine le stampe vengono strappate. E lasciate sul pavimento del chiostro.



Le mollette di Elena





Valentina è Valentina Biagini

Thomas è Thomas Corvaglia

Luca è Luca Venitucci (https://myspace.com/lucavenitucci)

Elena è Elena Carozzi (elenacarozzi.weebly.com/photograph.html)



E per saperne di più sul progetto: www.darkroomproject.org

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