domenica 20 marzo 2011

Ogni martedì ad Asayita

L'uomo dei chiodi al mercato di Asayita


Consolazione dei riti. Il mercato africano appare, ai nostri occhi, caotico. Ha, invece, il suo ordine immutabile. Basato sulla continuità. Legge elementare del commercio. I mercanti saggi sanno che i clienti sono abitudinari. L’uomo delle arance, al mercato del martedì, siede allo stesso posto ogni settimana. Solo che questa volta non è stagione di arance. E quindi sulla tela stesa nella polvere oggi ci sono manghi. Conosco anche l’uomo dei chiodi: ha la bolla delle preghiere sulla fronte e un accenno di hennè sulla barba. Uomo devoto, il mercante. Ho una foto per lui, scattata l’anno scorso proprio in questo punto. Comprai dei chiodi, allora. Il suo telo cerato, lo scorso anno, lo proteggeva dal sole, oggi fa da bancarella. Sorriso di un minuto, stupore felice di un attimo, la foto passa di mano in mano. Poi l'uomo dei chiodi sceglie un regalo per noi. Un braccialetto di perline con i colori dell’Etiopia e pensa già ad altro. Il tempo degli africani ha la durata del presente. Ma anch'io sono felice del suo divertito stupore. Credo che ci rivedremo. L’istante che dura una eternità.

Cerco davvero nostalgie ad Asayita. Il mio bar sgangherato è occupato dalle capre. Andiamo in un altro. Ci accoglie una bella donna, dal sorriso lucente e l’aria di chi tiene in piedi famiglia e affari. Gli afar chiedono ‘njera e shirò. Fumo per cacciare le mosche. Tè, per noi.

Come cambierà, Asayita? Stanno per arrivare gli indiani. Sono già arrivati. A costruire, a cambiare le geografie. Ci sono centinaia di condomini ai confini del deserto della Dancalia, lo scorso anno non c'erano. Ora arriveranno migliaia e migliaia di uomini e donne dagli altopiani. E Asayita sarà diversa. Città della nuova Africa. Costruita sui megaprogetti di cinesi e indiani.  Mi dicono che verranno in dodicimila a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero. Serviranno per produrre etanolo. 65mila ettari, mi raccontano. E i contadini dell'altopiano e i pastori afar diventeranno salariati. Niente più agricoltura di sopravvivenza. Ci vorranno soldi per comprare il cibo. 

La nuova moschea di Asayita


Amhara dell’altopiano, gente del Wollo, colonizzeranno queste terre musulmane di frontiera. Le religioni hanno mosso i loro passi sulla scacchiera di Asayita. Una grande moschea verso Oriente. La chiesa ortodossa, preti di latta scolpiti sulla porta, è fra le case di legna e fango. Il vecchio minareto, invece, si accuccia e guarda i nuovi movimenti. Sarà un caso o una disattenzione, ma nella notte nessuna luce lo illumina. Un tempo lo avevo sempre visto splendente. I vecchi con la barba dell’hennè camminano verso la preghiera appoggiandosi al bastone.

Un sarto ripara i miei pantaloni. Calcolo che ho speso cinquanta centesimi.

Osservo i ragazzi che ordinano alla donna del bar una salsa da raccogliere con il pane. Hanno l’aria orgogliosa di chi si sente grande. Fra poco si faranno crescere i capelli e andranno in cerca di ragazze.

Il Basha Hotel
La pista per Gibuti è interrotta. Non preme a nessuno ripararla. Meglio gestirsi i guadi e i dazi per i contrabbandieri. Il vecchio del guado sta appollaiato su una spalletta crollata. Campi di displaceds nelle savane fertilizzate dall’Awash.

Finisce il mondo, camminiamo nel tramonto, nella polvere, nello stradone di Asayita.


Il padrone del Basha Hotel



Ci sarà ancora un saluto al Basha Hotel. Alemayu, il padrone, uomo degli altopiani, fuggito in queste lontananze (aveva una storia dalla quale fuggire, intuisco), ha l’aria invecchiata, ma si ostina a gestire un potere. I suoi modi sono bruschi. Ma ci conosciamo da anni e allora il saluto è sincero. Nella sua stanza (adesso è in muratura, sta abbattendo le pareti in legno marcio del suo albergo) ha le tazzine del caffè, i fiori di plastica e i tappeti. Accende i ventilatori, il frigorifero. Funziona tutto. Ci scambiamo promesse. So che tornerò ad Asayita. Come una condanna. Come un privilegio. Quest’anno le piogge devono essere state generose e la piana oltre il fiume Awash è una prateria verde. Le ragazze montano i nostri letti sulla terrazza dell’albergo. Zanzariere celesti a proteggere la nostra notte.

Asayita, 16 febbraio













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