lunedì 21 marzo 2011

Istanti sul lago Afdera

Il lago Afdera dall'alto della strada che proviene da Sardo 


Il lago Afdera, ‘il lago dalla punta lunga’. ‘Plumbeo, tristissimo specchio d’acqua’, scrivono sulla vecchia guida della Consociazione Turistica italiana del 1938. Gli esploratori sono sempre barocchi e ossessionati dalle disgrazie: il lago Afdera è superbo, acqua che riflette il cielo con colori da impressionista. Per i colonialisti italiani, questo era il lago Giulietti. Altra ossessione dei bianchi di quel tempo: cambiare il nome ai luoghi.



Le saline di Afdera

Dieci anni fa, qua era il deserto. Vi vivevano pochi afar. Oggi è sorta una città del Far-East. Città del sale. Braccianti, migranti dall'altopiano, scorticano i loro anni lavorando nelle saline. Quasi non ci sono più sponde. Solo vasche per il sale.

Campo sul lago. Vento termico. Grande fatica. Il corpo si stanca, gli occhi si fanno pesanti e arrossati. Per la prima volta, bagno nell’acqua salata. Pochi centimetri di profondità, piedi in una poltiglia di fango. Si galleggia con facilità. Pozza calda di acqua dolce sulle rive. Quasi insopportabile il suo calore. Terra viva.


La moschea di Hairolafa

Minareto di legna e bastoni, mezza luna di ferro, torre in bilico nel nulla. Si chiama: ‘Sole con la bocca’, hairolafa, questo accampamento di vecchi nomadi sulla strada di Asayita. Qui c’è acqua, qui si può vivere. Quattro o cinquecento afar. ‘Fai vedere le foto della moschea’, mi dice un uomo. ‘Così ci aiutano a costruirne una vera’.

Mohamud Alì ha il suo carico di anni. Stringe con libidine la mano della cameriera e mi strizza l’occhio. Appartiene alla famiglia di Alì Mirah. Grandezza passata, conserva orgoglio del potere. Bastone per appoggiarsi. Vengono a trovarlo al suo tavolo. Un tempo possedeva una piantagione di cotone. Dice che la gente delle nuove piantagioni illuderà la sua gente. Hanno portato via 65mila ettari ai nomadi e ai contadini. Come sopravviveranno, si chiede. ‘Ci saranno problemi’. E poi cambierà la città. Cambieranno gli abitanti. ‘Gli afar perderanno. Ma il nostro territorio è grande. Un giorno saremo uniti’. Ho sentito queste parole molte volte.
Saluto con deferenza il vecchio Mohamud Alì. I suoi occhi si impigliano nel sedere della cameriera.

Il denaro, in questa Africa, è una ossessione priva di ipocrisia. Si chiede senza alcuna vergogna. Soldi per la birra. Soldi come status symbol. Soldi come potere. Soldi per la casa. Se hai soldi, hai donne. Si chiede ai bianchi. Hanno, abbiamo, soldi.
Voci di maligno. Non lontane da un verità che non esiste. In pochi anni di turismo, il capovillaggio ha messo assieme 8 milioni di birr. 350mila euro. In tre banche. Ad Asayita, a Nazareth, ad Addis Abeba. Un nomade allo sportello delle banche.

La regione afar ti impone quattro scout. Ma poi ne paghi due. Lasci i soldi nelle mani del capo della polizia locale.

La nostra guida sa cosa vogliono sentirsi dire i bianchi. Attore perfetto.

Grandi saluti, spalla contro spalla, sorrisi, occhi che sfuggono, che si rintanano, che si abbassano. Per poi diventare taglienti. Devi capire il momento del denaro. Dell’accordo su un prezzo. I soldi passano di mano senza che si vedano. Scompaiono negli incavi delle mano.


La donna della 'njera ad Asayita

La donna dell’njera ha ragione e rifiuta la poltiglia dei miei birr. Ho voluto fare il furbo, pagare meno di cinquanta centesimi per foto scattate a raffica.

La strada dei cinesi taglia la lava. Più forte della geologia. In un villaggio solitario, c’è un vecchio afar, Alì Mussa, dagli orecchi che sventolano, che ricorda ancora Alessandro, l’italiano che pagava un birr e venticinque centesimi a settimana e un sacco di farina per estrarre il sale. Alessandro è morto un giorno, all’improvviso, in un’estate dancala.

Mohamed Alì a Uracar
Chiedo al poliziotto: ‘Quali sono i crimini che si commettono ad Afdera?’. ‘Non parlo di queste cose’. Cento birr scivolano nelle sue mani perché ci accompagna per venti chilometri fino a un villaggio che non c’è. La corruzione non è un reato che viene commesso ad Afdera.

Mohamed Alì ha la barba rossa di hennè. La sua rabbia si stempera, si placa. Dà la mano ai bianchi. Viene circuito dall’abilità delle nostre guide. Quanti anni hai? ‘E’ da molto tempo che vivo’.
Afdera, 17 febbraio     

Nessun commento:

Posta un commento