Un sicomoro. Un grande albero. Immenso, quasi una cupola. Al riparo della sua ombra si svolgono incontri e assemblee di villaggio. Albero sacro. ‘Dicono che sia stato piantato dai patriarchi’, annota Egeria nel suo diario. E’ vecchissimo, il sicomoro. ‘Però da ancora dei frutti’. E ‘chiunque ha una malattia, va lì, prende dei ramoscelli e questo gli fa bene’. Egeria ascolta con attenzione il racconto del vescovo di Ramesse. Il sant’uomo le dice che l’albero è conosciuto come dendros alethiae, ‘l’albero della verità’. Chissà se esiste ancora. A volte, sono immortali i sicomori. Siamo nel Basso Egitto, delta del Nilo. Forse Ramesse è la città perduta di Quantir. I biblisti ne sono quasi certi. Egeria, in viaggio da pellegrina, ce ne ha lasciato il ricordo, la memoria, una traccia.
Posso immaginare l’ostinazione del monaco di Montecassino
che, nell’XI secolo, trascrisse quei fogli di pergamena sui quali Egeria, a
Costantinopoli, sulla via del ritorno, aveva scritto una infinita lettera-diario
alle proprie ‘sorelle’. Una scrittura di donna per una comunità di donne. Una
buona parte della fatica di quell’uomo silenzioso e solitario è andata perduta.
Molte pagine si sono smarrite, ma il cuore del racconto di uno dei viaggi più
appassionanti dell’antichità è arrivato fino a noi grazie a quell’amanuense
silenzioso.
Immagino anche la felicità riservata di Gian Francesco
Gamurrini, storico e archeologo aretino, quando, nel 1884, in una biblioteca
monastica della sua città rilesse, per la prima volta dopo sette secoli, quelle
pagine perdute ricopiate da quel monaco sconosciuto. Gamurrini nascose la sua
emozione, ma stese sul grande tavolo della sala di lettura una mappa del
Medioriente e provò, muovendo un dito, a ripercorre il viaggio di Egeria. Si stupì
dell’impresa di quella donna. Gamurrini aveva ritrovato il diario scomparso del
più importane pellegrinaggio cristiano dell’antichità romana.
Pellegrini a Gerusalemme |
Nella sola raffigurazione che sono riuscito a trovare, Egeria ha occhi profondi, scuri, malinconici. Occhiaie ben marcate. Un naso lungo, capelli riuniti quasi a crocchia, un giro di collana di pietre verdi attorno al collo. Orecchini che sembrano scintillare. Non riesco a intuire i suoi pensieri. Chi sei, Egeria? Perché, nel 381 dopo Cristo, anni della pax romana dei tempi post-costantiniani, ti sei messa in cammino? Tre anni di viaggio. Una donna sola sulle strade del Medioriente. Da Costantinopoli al Sinai, dall’Egitto del Nilo a Gerusalemme, dal monte Nebo a Edessa, dalla Palestina alla Mesopotamia. Certo, la forza dello spirito è stata una ragione profonda per convincerti a incamminarti sulle strade del Mediterraneo: volevi vedere i luoghi santi, andare a pregare sulla tomba di Giobbe e sfiorare il roveto ardente sul monte Sinai. Volevi guardare con i tuoi occhi le terre raccontate dalla Bibbia. E’ un motivo sufficiente? Egeria ha il ritmo del narratore essenziale: compie un viaggio straordinario e lo descrive con efficacia minimalista. Sentite: ‘Arrivammo ad un luogo dove i monti, attraverso i quali stavamo andando, si aprivano e formavano una valle immensa che si estendeva a perdita d'occhio, tutta pianeggiante e molto bella, e oltre la valle appariva la santa montagna di Dio: il Sinai’.
La Gerusalemme immaginata |
Era una donna colta, coraggiosa, certamente ricca, probabilmente dalle origini aristocratiche. Gli studiosi del sacro hanno pensato di identificarla con Silvia, una giovane della Gallia, imparentata con Flavio Rufino, ministro dell’imperatore Teodosio I. In realtà, si chiamava Egeria e il suo viaggio era stato ben più lungo. Era partita dalla Galizia spagnola, lontana periferia dell’Impero. Forse era vedova e non era più giovanissima. Si muoveva con calma, il suo cammino aveva saggezza. La sua spiritualità era profonda, ma non aveva la severa radicalità degli asceti. Non cercava la mortificazione, questa donna. Era allegra, pronta al sorriso e alla letizia, Egeria. Era una donna moderna nei tempi più arcaici del cristianesimo. In quegli stessi anni, Gregorio di Nissa, teologo e vescovo greco, sconsigliava i pellegrinaggi perché ponevano ‘a repentaglio la purità’. Soprattutto delle donne. Le locande dell’oriente, a leggere Gregorio, sono ‘assai licenziose e indifferenti riguardo al male’. Non vi si può soggiornare senza esserne ‘infetti’. Ma Egeria non desiste: a suo modo, è una rivoluzionaria. Scardina, con il suo andare di preghiera e di gioia, il mondo chiuso dell’antichità. E’ donna e la sua femminilità è ‘capace di aprire tutte le porte, nel segno della fede’.
La Gerusalemme reale |
Egeria si mette in cammino per religiosità, il cristianesimo è il nuovo credo delle terre romane, si può finalmente raggiungere Gerusalemme per andare a inginocchiarsi sul sepolcro di Cristo. Viaggia per pregare, questa donna. Per devozione. In ogni luogo, legge pagine della Bibbia, vera bussola di questo pellegrinaggio, e recita orazioni. Ma vi è altro. Ben altro: Egeria viaggia per curiosità. Viaggia, soprattutto, per desiderio. ‘Si muove in forza del suo desiderio’, scrive Agostino Clerici, sacerdote a Como e raffinato saggista. E via via, scorrendo le pagine del diario di Egeria, ce ne accorgiamo anche noi lettori. Viene anche a noi il desiderio di andare, di essere lì, con lei. Questa donna ha davvero forza: si arrampica, con fatica, sui sentieri che conducono alla vetta del monte Sinai, si ostina a raggiungere la tomba di Giobbe, affronta deserti e montagne, attraversa territori insicuri, vuole pregare là dove Giovanni Battista battezzava i fedeli della nuova religione. Egeria vuole vedere con i propri occhi il mare che si aprì davanti al popolo di Israele in fuga dall’Egitto. Percorre ogni strada del Medioriente, Egeria. Ruota attorno a Gerusalemme, si ferma a lungo nella città santa, ci regala una descrizione accurata delle liturgie della chiesa del IV secolo.
Avrei voluto vedere, assieme a Egeria, la processione di chi si era appena battezzato nelle acque della sorgente di Giovanni Battista. Valle del Giordano,‘valle bellissima e amena, piena di viti e di alberi’: doveva esserci una gran folla nei giorni di Pasqua. Al mattino, dopo il battesimo, la processione dei nuovi cristiani, dei monaci e dei chierici tornava alla sorgente ‘recitando salmi e antifone’. Solo la luce delle candele illuminava il sacro di queste acque. Egeria, nel suo pellegrinaggio, è riuscita nel miracolo di far marciare assieme ‘grazia e natura’.
Il Santo Sepolcro |
Avrei voluto vedere, assieme a Egeria, la processione di chi si era appena battezzato nelle acque della sorgente di Giovanni Battista. Valle del Giordano,‘valle bellissima e amena, piena di viti e di alberi’: doveva esserci una gran folla nei giorni di Pasqua. Al mattino, dopo il battesimo, la processione dei nuovi cristiani, dei monaci e dei chierici tornava alla sorgente ‘recitando salmi e antifone’. Solo la luce delle candele illuminava il sacro di queste acque. Egeria, nel suo pellegrinaggio, è riuscita nel miracolo di far marciare assieme ‘grazia e natura’.
‘Il diario di viaggio’ di Egeria, curato da Elena Giannarelli con introduzione di Agostino Clerici, è pubblicato dalle edizioni Paoline.
Dopo aver scritto, mi è venuto da pensare al sangue che oggi tinge di orrori le montagne del Sinai, le terre aspre della Siria, i fiumi dell’Iraq. Penso alle tensioni guerriere che attraversano la Palestina, il Libano, l’Egitto. Penso all’oscenità di Gaza. Oggi Egeria non potrebbe ripetere il suo pellegrinaggio.
(questo articolo è apparso sul numero di dicembre della rivista Combonifem, rivista delle suore comboniane)
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