E’ stato già scritto: ‘Avevo vent’anni…..’. E quel giorno,
undici di settembre del 1973, fu un tumulto. A sera ci ritrovammo in piazza San Lorenzo,
non so perché avessero scelto una piazza diversa da quelle solite delle
manifestazioni. Ricordo qualcuno che sul palco diceva: ‘Esiste uno
spartiacque…’. C’erano le bandiere. I
pugni levati. Una malinconia addosso. Essere senza parole. Un toccarsi l'un con l'altro. Tenersi per mano.
C’è un planisfero sulle scale della mia vecchia casa. In mezzo
all’oceano Atlantico ho messo, anni fa, una piccola foto: di Salvador Allende….ecco, oggi, quaranta anni fa, colpo di stato in Cile. Moriva un uomo
dall’aria di ‘cittadino comune’, venne ucciso (non importa se si sparò un
colpo in testa) il presidente che, davvero, aveva fatto sognare un giovane
generazione che un altro mondo fosse davvero possibile quando nemmeno sapevamo
che questo volevamo. Morì un uomo ‘comune’.
Molti anni dopo, Antonio Skàrmeta,
nella sua casa di Santiago, mi disse: ‘Allende non era un guerrigliero, non era
un profeta, non era un poeta: era un cittadino comune’. Ho riletto queste sue
parole in un articolo che ha scritto in questi giorni. Ha ragione Skàrmeta: Salvador Allende, con il
suo fisico rotondo, gli occhiali dalla montatura spessa, non era un eroe, ma un
uomo testardo, che credeva davvero che fosse possibile una società più giusta.
Non era un sognatore, era un uomo pratico. Per questo faceva paura. Non era
minoritario, non voleva esserlo, provava a davvero a realizzare un’utopia che
guerriglieri e poeti non erano riusciti a realizzare. Conosceva i pericoli che il mondo stava attraversando.
Noi eravamo cresciuti nella leggenda tragica di Ernesto Guevara,
erano ancora i tempi del Viet-nam, erano già scoppiate le bombe in Italia, non
eravamo più ragazzini. Eppure un uomo ‘tranquillo’ come Salvador Allende riuscì
a conquistarci. Avevamo fiducia in lui. E, oggi, mi chiedo perché un paese così
lontano come il Cile (ieri ho chiesto a ragazzi mediamente informati se sapessero chi
governa quel paese oggi e non hanno saputo rispondermi) fosse diventato per noi
una speranza così intensa e perché, fra i tanti drammi del mondo, il colpo di
stato in Cile provochi ancora un’emozione così forte. Forse perché era una
speranza vera, solida, un appoggio nel qualche trovare serenità per il futuro.
Allende sapeva dare entusiasmo oltre l’oceano. Raggiungeva i nostri cuori
europei. E, ancor oggi, il volto di quell’uomo mi emoziona.
Guardo la sua ultima foto: l’elmetto in testa, un maglione da
bancarella a losanghe, una pistola in mano, gli occhi rivolti al cielo. Sapeva
bene che la sua rivoluzione ‘a empanada e vino rosso’ stava per essere spazzata
via. Non poteva sopravviverne.
Ricordo la sua disperazione e la sua lucidità quando mesi prima, alle Nazioni
Unite, cercò di fermare, con le parole, la barbarie che stava per abbattersi non solo sul suo paese. Avvertì: 'la struttura politica del mondo sta per essere sconvolta. Le grandi imprese multinazionali non solo attentano agli interessi dei Paesi in via di sviluppo, ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei Paesi industrializzati in cui hanno sede'. Era il 1972. Allende era preveggente: quelle le parole fecero davvero paura e i
generali, e gli Stati Uniti, decisero che dovevano liberarsi di quell’uomo
‘pericoloso’. Ecco, i militari e Henry Kissinger vedevano un pericolo in
quell’uomo mite. La mitezza come minaccia per l’ordine spietato del mondo.
A Santiago, molti anni dopo, feci in tempo a incontrare Francisco Coloane, il
grande scrittore del furore della Patagonia. Volevo vederlo perché sapevo che era stato lui, in un giorno di pioggia e di pianto, a leggere l’orazione funebre per Pablo
Neruda. Nemmeno il poeta volle sopravvivere all’infamia dei militari. Morì pochi giorni dopo il colpo di stato. Ci voleva
coraggio per andare al cimitero, ci voleva coraggio ad alzare i pugni chiusi, a
piangere per Neruda e per Allende, a piangere per il Cile. Ma in tanti andarono
a quel funerale. Coloane era un uomo altissimo. Quel giorno, attorno a quella tomba, chiuso nel suo impermeabile, dominava una scena tragica. Sì, fu tragedia greca quel funerale.
‘Ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano’, disse
Allende nell’ultima sua ora. Cosa posso dire? Come rendere solide queste
parole? Il palazzo della Moneda, nel
Barrio Civico di Santiago, è un brutto palazzo. Grigio, basso, lungo,
schiacciato da grattacieli e accerchiato da strade troppo larghe. Oggi, accanto alla
Moneda, c’è la tua statua, Salvador. Ancora ci ricordi che ‘la ragione’ e la
giustizia sono più resistenti della ‘forza’. Salvador Allende è memoria,
speranza, ancora sogni per il futuro.
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